Il Nobel per la pace diamolo anche a Vanna Marchi
07 Ottobre 2011
di redazione
Parola di Richard Nixon, in una delle sue conversazioni con David Frost, quando fu chiamato a parlare della sua politica in Indocina: “Avrei potuto ritirare le truppe dal Vietnam prima del previsto, e avrei anche potuto tirar fuori dall’affare qualche premio scandinavo, ma credevo nella causa”. Bei tempi gli anni ’70 quando l’America si batteva per la libertà nel mondo, le prendeva militarmente come le ha prese in Vietnam, e un pezzo di classe dirigente statunitense se ne fregava e guardava il Nobel come una roba da europei o da progressisti.
Di questi tempi quando al comitato Nobel norvegese si annuncia un nuovo vincitore del premio per la pace, si è quasi costretti a ghignare “chi sarà stavolta?”, e soprattutto “sarà qualcuno che ha veramente combinato qualcosa degno di nota, magari con grande ingegno e sacrificio?”. Da quando a vincerlo fu Barack Obama nel 2009, premiato a solo un anno dalla sua elezione alla Casa Bianca – notoriamente insignito per aver inventato, ebbene sì, l’obamania – è quasi doveroso porsi certe domande.
L’anno scorso era stata la volta del cinese attivista per i diritti umani (titolo ‘pubblico’ sempre più impalpabile, quasi etereo), Liu Xiaobo. Ora quest’anno, visto che il ‘dirittismo umanitario’ dalle parti del Nobel è in voga, il premio per la pace di quest’anno ‘l’hanno appiccicato’ – perdonateci il cinismo – a tre signore, tutt’e tre con foto pubbliche con veli o bandane liberiane, come “riconoscimento del rafforzamento del ruolo delle donne, in particolare nei paesi in via di sviluppo”.
Si chiamano Ellen Johnson Sirleaf, presidente della Liberia, Leymah Gbowee, la porta-bandiera dello ‘sciopero del sesso’ anti-guerra civile in Liberia, e Tawakkul Karman, la yemenita anti-Saleh. Due africane e un’araba. Ora sicuramente queste tre donne hanno dato il loro contributo al miglioramento della vita delle proprie comunità nei propri rispettivi paesi (almeno avranno tentato, non è dato sapere: le biografie sul sito del Nobel non sono ancora disponibile), e come loro anche Liu Xiaobo. Obama, no!
Ammettiamolo, c’è un côté ridicolo in tutto questo apparato svedese delle buoni azioni globali, e si manifesta sempre più a ogni premio Nobel per la pace che viene assegnato: quel che l’accademia fa è premiare solo le più superficiali manifestazioni dello Zeitgeist, lo spirito del tempo in cui viviamo. Rivolte araba, “tac! – come direbbe Guido Nicheli nel suo personaggio lumbard dello ‘Zampetti’- “ti premio la yemenita”. Il primo nero alla Casa Bianca: “Tac! Ti premio ‘il’ Barack Obama”. Insomma stanno talmente dietro la notizia, che non si capisce più a quale morale diano retta. Se fosse così perché non insignire anche Vanna Marchi, per aver messo la testa a posto ed essersi messa a cucinare il tiramisù nel bar milanese del genero. Fate presente la storia a Oslo, prego.