Il Nord guadagna di più se il Sud funziona e torna a produrre
21 Settembre 2009
di redazione
Giulio Tremonti ha ricordato in una recente intervista sul Corriere della Sera come la questione meridionale riguardi da vicino anche il nord e come questa parte dell’Italia debba aiutare l’altra a superare le sue difficoltà strutturali (ahimé di lunghissimo periodo), se vuole costruire una prospettiva ragionevole anche per se stessa. E tutto potrebbe essere possibile innanzi tutto grazie al federalismo. Per ora fiscale.
E’ senza dubbio vero che il sud sia un problema che una politica settentrionale non sbadata o non “sindacale” (come è molto spesso quella della Lega, concentrata sugli interessi a breve e senza grande visione: anche se poi singoli ministri mostrano di crescere costantemente di statura) deve porsi. Deve farlo certamente per ragioni storiche: una parte dei problemi del Meridione d’Italia viene, infatti, da vicende secolari, dal prevalere del latifondo sulle piccola proprietà contadina (piccola proprietà che è stata la base per il decollo di quella classe media che fa forte il settentrione). Dalla vita molto breve dei comuni (che pure ebbero punte di grande eccellenza come Amalfi ma che poi non sono rimasti all’altezza di quelli settentrionali, una altra chance in più di dinamicità per le aree del nord Italia) assorbiti dai feudalesimi bizantino, normanno, arabo e infine spagnolo. Ma una parte dei problemi del sud derivano da come si è fatta l’unità d’Italia: con il protezionismo dell’industria del nord a danno dell’agricoltura e delle produzioni meridionali, con gli spicci metodi piemontesi (si consideri solo la coscrizione militare obbligatoria) che non tenevano conto dei problemi dei “cafoni” , con repressioni spesso spietate e senza una logica costruttiva, con un’alleanza con i settori più arretrati (rileggersi in questo senso il Gattopardo) per mantenere il potere del nord. Con il declino di quella grande capitale europea che era stata Napoli.
Il problema però, naturalmente, non è solo agire sulla base di dovute riparazioni ma anche su quella della valutazione dei comuni interessi. E nell’interesse del nord c’è lo sviluppo del sud: e questo anche per motivi puramente egoistici. Si consideri quanto interesse il nord abbia a consolidare un mercato che arricchisca tutta l’economia nazionale ed in particolare quella settentrionale. Una volta a un leghista che si lamentava come a Catania si comprassero più pellicce “pro capite” che a Milano, un saggio politico settentrionale ma con visione nazionale rispose: magari è vero, ma comunque tutte le pellicce che si vendono a Catania, sono sicuramente prodotte a Pavia. L’economia lombarda o veneta sarebbero molto più debole se i consumi pugliesi o campani non fossero così integrati al mercato delle produzioni settentrionali, come è possibile grazie a uno stato nazionale unitario.
Anche la questione criminale che ha in alcune regioni del sud le sue manifestazioni e le sue radici più rilevanti e preoccupanti, oggi ha una dimensione nazionale, perché sia nel ramo riciclaggio sia nell’estensione dell’attività di gruppi economici dalle complicità illegali, è coinvolto il settentrione. Colpire basi di questa realtà extralegale è possibile solo con uno stato unitario, deciso a stroncare chi commette delitti ma anche capace di superare (senza fanatismi e ancora peggio strumentalizzazioni politiche) le situazioni grigie. Separare nord da sud non risolverebbe le cose, anzi probabilmente darebbe la possibilità a varie organizzazioni di tipo mafioso di farsi basi politiche ancora più solide che poi peserebbero anche su un nord “separato”.
Infine per quello che riguarda la mobilitazione delle energie intellettuali che sono necessarie per superare il lento sviluppo della produttività della nostra economia (spesso peraltro misurato un po’ a capocchia perché certe aree e segmenti industriali sono già oggi assai competitivi), quella meridionale può essere la base strutturale opportuna. Si è visto, con economie arretrate (da quella indiana a quella coreana) ma con una base storica di civilizzazione secolare, come la preparazione scientifica sia stato un elemento di accelerazione eccezionale per la struttura produttiva. Il nord ha bisogno per consolidare la sua consistenza industriale e terziaria di laureati in matematica, di tecnici e operai scientificamente preparati per sorreggere le nuove produzioni, ma il mercato del lavoro settentrionale non risponde a questo bisogno per diverse ragioni: tra queste un certo grave abbandono della predisposizione al lavoro manuale o la concorrenza con professioni più remunerative per quel che riguarda l’insegnamento della matematica. In questo senso avere una società dualistica, dove una parte più arretrata è già bella e pronta a rispondere, se sollecitata e con reciproco vantaggio, alle esigenze di quella più avanzata, può essere l’occasione per far fare un balzo in avanti a tutta la nazione.
Naturalmente la via per avanzare su questo terreno è quella federalista indicata da Tremonti, nessuna operazione – come si è visto in quasi sessanta anni di vita dell’Italia repubblicana – potrà riuscire, nessuno stimolo potrà funzionare se non vi sarà assunzione di responsabilità sul territorio, e si manterrà l’atteggiamento assistenziale ancora oggi assai diffuso.