“Il nucleare è una garanzia per l’energia, l’occupazione e lo sviluppo”
09 Giugno 2011
Una strategia energetica che possa definirsi razionale non può prescindere dal nucleare. Ne è convinto il professor Renato Angelo Ricci, presidente di Galileo 2001, un’associazione che ha lo scopo di supportare la politica nella corretta interpretazione delle questioni tecniche nell’esercizio dell’attività legislativa in materia di sviluppo. Il fisico nucleare, insieme ai colleghi Carlo Bernardini, Edoardo Boncinelli, Umberto Tirelli e Carlo Stagnaro, ha firmato un “appello alla ragione” scendendo in campo per affermare l’insostenibilità del referendum sull’atomo che si terrà il 12 e 13 giugno. Con lui parliamo delle ragioni tecniche per cui, abbandonando il nucleare, si chiuderebbe per l’Italia una partita altamente strategica.
Professor Ricci, quale messaggio avete voluto lanciare ai cittadini firmando questo appello?
Il messaggio è che il referendum è inutile e dannoso. Non è ragionevole pensare che i cittadini siano di nuovo chiamati a decidere su una questione così importante come il nucleare sotto l’effetto dell’emozione di Fukushima. Non si può discutere in modo sereno con questo clima da caccia al “mostro”.
In Europa ci sono 195 centrali nucleari. Solo tre paesi non ne hanno, fra questi l’Italia. Perché?
Perché c’è stato il referendum nel 1987 che ha chiuso ogni produzione nucleare. Nel 1963 l’Italia era uno dei paesi più all’avanguardia sulla tecnologia nucleare. Poi c’è stato Chernobyl e una politica che ha latitato preferendo favorire altri interessi. Quando sembrava si potesse ripartire si è verificato l’incidente di Fukushima. A quel punto la solita esagerazione sugli effetti del disastro ha fatto il resto.
Ora qual è la situazione in Giappone?
L’impatto radiologico esterno è stato del 10% rispetto a quello di Chernobyl. Gli effetti radiologici, sanitari e ambientali sono ormai sotto controllo e gli isotopi di vita media più breve stanno decadendo. Il problema di Fukushima è derivato da un terremoto e da un maremoto di inaudite proporzioni che, pur non avendo distrutto gli impianti, hanno messo fuori uso i sistemi di raffreddamento. L’incidente ha messo in luce i difetti delle strutture edilizie poiché, se gli impianti contenenti i generatori elettrici di emergenza fossero stati costruiti dietro la centrale, invece che davanti, questi non sarebbero stati sommersi dall’acqua sollevata dallo tsunami e avrebbero continuato a raffreddare normalmente il reattore.
Perché in Italia, al contrario che negli altri Paesi europei, si vive con il terrore del nucleare?
Non è esattamente così. In realtà i sondaggi commissionati un anno fa dall’Associazione Italiana Nucleare a Mannheimer attestavano che il 63% degli italiani sarebbero stati favorevoli al nucleare. Il problema sta nel fatto che la popolazione preferisce evitare rogne: quello che ancora perdura nella coscienza è la cosiddetta sindrome NIMBY (Not In My Back Yard, ndr), che colpisce anche nel caso della localizzazione delle miniere di carbone, dei gasificatori e dei termovalorizzatori. Ora si è aggravata trasformandosi in BANANA (Build Absolutely Nothing Anywhere Near Anything). In Italia non si può costruire nulla da nessuna parte. Chi si straccia le vesti dicendo “mai più nucleare” dice una cosa ipocrita, perché l’Italia usa l’energia elettronucleare dopo averla comprata dalla Francia.
Perché gli ambientalisti sembrano temere più gli effetti del nucleare che quelli del gas o del petrolio?
Perché il nucleare non ha mai “pagato” gli ambientalisti. Questi sostengono che la radioattività, in qualunque dose, sia dannosa per le persone: niente di più falso. Noi viviamo in un ambiente naturalmente radioattivo. Emanano radiazioni anche le pietre con le quali costruiamo le nostre case e persino il nostro corpo, che contiene potassio, carbonio e trizio radioattivi, ci rende radioattivi con un’intensità superiore di una volta e mezzo rispetto alla norma radiologica italiana. Se manteniamo la radioattività sotto una certa soglia, come facciamo ogni giorno, non avremo problemi.
Quali fonti sfrutta oggi il nostro Paese per ricavare l’energia necessaria?
Tra quelle rinnovabili, idroelettricio, eolico, fotovoltaico, geotermico e biomasse. Se prendiamo tutte le rinnovabili e le sommiamo insieme si soddisfa al massimo il 20% del fabbisogno nazionale. Il restante 80% dell’energia la compriamo dall’estero. In questa ultima percentuale c’è il nucleare, che compriamo dalla Francia, e il petrolio, che paghiamo a un prezzo che è subordinato alle crisi geopolitiche. Il nucleare invece non è sottoposto a questo tipo di problemi, perché l’uranio costa poco rispetto agli altri combustibili ed è reperibile in zone che non sono a rischio geopolitico.
E il nucleare quanto ci costerebbe?
I costi di un impianto nucleare sono tutti sull’investimento. Sono alti, ma parliamo di soldi che rimangono in casa. Sono una garanzia in termini di energia, di occupazione e di sviluppo. Mantenere lo status quo ci farà spendere cifre esorbitanti per il petrolio, per di più inquinando l’ambiente. Consideriamo che nel 2010 l’Italia avrebbe dovuto abbassare le emissioni di CO2 del 6,5%. Ad oggi abbiamo superato il 19%. Insomma, dubito che Russia, Repubblica Ceca, Turchia, Francia e Inghilterra chiuderanno la partita del nucleare. Gli Stati Uniti, inoltre, hanno deciso da poco di implementare questa tecnologia e di continuare su questa strada.
Quanta energia si potrebbe produrre con una centrale in Italia?
Con otto centrali, fornite di reattori EPR di ultima generazione come quelli francesi, potremmo produrre circa il 20% del fabbisogno nazionale. Il solo nucleare non è certo la soluzione a tutti i mali, ma è una parte essenziale di ogni strategia energetica. Una centrale nucleare lavora con un maggior fattore di carico – cioè quanto può essere tenuta in esercizio una centrale – rispetto a tutte le altre fonti. Carbone e gas hanno un fattore dell’80%, il nucleare il 90%, mentre le rinnovabili hanno rendimenti sotto il 15% e in più sono discontinue, perché dipendono dalla variabilità climatica e atmosferica.
Quanto costa quest’energia?
Se in Italia si vuole produrre il 25% dell’energia elettrica con il nucleare bisogna istallare una potenza di 11.500 MegaWatt, con una spesa di 36,5 miliardi di euro. Con l’eolico, si devono sviluppare 64.000 MegaWatt e spendere 76 miliardi di euro. Per quello che riguarda il fotovoltaico la potenza da istallare è di 128.000 MegaWatt con un costo di 770 mila miliardi di euro. Ciò significa che, a parità di rendimento, il costo del nucleare è notevolmente inferiore. In più, come le rinnovabili, non immette inquinanti e gas serra nell’ambiente. Bisogna essere degli sprovveduti nel pensare che si possa fare a meno del nucleare nel mix energetico necessario al Paese.
E le scorie? Come si possono gestire col minor impatto possibile?
Il problema delle scorie è solo politico. Ormai i danni da scorie si possono ridurre al minimo. Se si mescola l’uranio col plutonio, il combustibile che serve per fare energia si può riutilizzare. Gli elementi che rimangono, già notevolmente ridotti, si mettono in appropriati depositi. Questi non sono mere discariche, bensì laboratori in cui si studiano nuovi modi per poter riutilizzare il materiale di scarto. Se non è possibile si mantengono in sicurezza. Molti non sanno che la radioattività di un elemento decade nel tempo. Se una sostanza, dopo il suo utilizzo fino al massimo delle potenzialità, arriva a tempi di decadimento radioattivo molto lunghi, significa che l’emissione è di livelli bassi. Quindi è meno dannosa, perché le particelle radioattive si propagano lentamente e frazionate nel tempo.
Quali forze potrebbe mettere in campo la comunità scientifica italiana per realizzare il nucleare in modo produttivo e sicuro?
Abbiamo già cercato di farlo, per esempio con l’Associazione Galileo 2001 che annovera tecnici provenienti da formazioni culturali e politiche differenti. Ma finché in Italia le questioni tecniche verranno sfruttate per un tornaconto politico non si andrà molto lontano e si sprecheranno soldi, tempo e credibilità.