Il nucleare italiano e il lampadario della signora Gina
27 Maggio 2008
Nel 2020, se ci sarò, avrò 66 anni. La distanza mi pare una vita; però energeticamente è meno di una scintilla.
L’altro giorno il Ministro Scajola ha detto che si pone l’obiettivo di posare entro cinque anni (2013) la prima pietra per la costruzione di un “gruppo” di centrali nucleari “di nuova generazione”. Mi è oscuro sia cosa volesse dire sia con “pietra” (che spererei non se ne usino), che con “gruppo” (quante?), che infine con “nuova generazione” (che quelle che dicono di terza generazione girano già da un po’ d’anni, e al massimo nelle edizioni nuove le chiamano “migliorate”; e quelle che dicono di quarta ancora non si capisce bene quali saranno, ma tutti sembrano d’accordo a dire che prima del 2030 non si comincia- il che dal punto di vista del mio ciclo vitale può rendermele meno che appassionanti).
Transeat. Al netto delle licenze della poetica del linguaggio politico, cerchiamo di capire. Intendeva dire che vuole rendere possibile consumare anche in Italia elettricità prodotta da centrali nucleari? Questo no di certo, perché ne consumiamo già. L’energia elettrica che ci gira per casa è generata per oltre il 68% da “fossili” (essenzialmente gas, poi carbone e petrolio) , per oltre il 17 da rinnovabili (non commuovetevi. La parte del leone in questo contributo non è del sole e del vento, ma delle care vecchie dighe…), e per il restante 14% ce la importiamo già fatta; già in forma cioè di energia elettrica derivata dalla trasformazione di una qualche fonte primaria. Dentro questo 14% una parte più che consistente è poi prodotta fuori d’Italia per generazione nucleare. Mi prendo licenza anch’io, e d’ora innanzi arrotondo i numeri (che l’importante a nostri fini sono gli ordini di grandezza). Una quota sensibile dell’energia elettrica che consumiamo (energia elettrica che a sua volta rappresenta solo una quota del nostro consumo totale di energia) proviene da generazione nucleare. Il vecchio lampadario della Signora Gina ha dieci lampadine; e già oggi, quando accende, una le funziona ad atomo.
Intendeva forse dire che vuole imboccare l’opzione atomica “integrale”, e rendere così il Paese energeticamente indipendente? Ad attribuirgliela, c’è il rischio che quereli. Tralasciamo l’indipendenza, se non per dire che dipendiamo da idrocarburi per l’80%, che non cambierà in fretta, e che comunque non consta che si siano scoperti filoni di uranio nel giardino di casa. Di quante centrali, vorrei dire if any , stiamo parlando? Tralasciando i pii desideri, anche ammesso che il progetto vada in moto non è in alcun modo realistico (anche per ragioni squisitamente tecnico-finanziarie ed industriali) pensare che per il fatidico 2020 si possa anche solo ipotizzare un obiettivo molto lontano dalle 4 centrali (numero che tra l’altro sembrerebbe anche quello ipotizzato da Enel.). Questo è il realistico ordine di grandezza che è ragionevole ipotizzare allorquando il Ministro parla di “gruppo” di centrali ; e di centrali di terza generazione, migliorate quanto si vuole, ma che comunque in termini di potenza vogliono dire 1500 MWe cadauna. Stiamo parlando – sempre con licenza, e rispetto alle correnti previsioni circa i consumi 2020 con licenza per eccesso, di un 10% dei consumi elettrici (e non dei complessivi e maggiori consumi energetici) nazionali; e dunque ancora una volta di una lampadina del lampadario della Signora Gina.
Magari ho capito male, ma mi sembra che in definitiva Scajola abbia annunciato l’impegno suo e della sua parte a rendere possibile che, verso il 2020, un 3-4% del consumo energetico nazionale e specificamente un 10% del fabbisogno elettrico siano coperti da energia nucleare autoprodotta. Detto così è sicuramente molto meno sexy; però è del se questo sia possibile e conveniente che ci dovremmo limitare fuor di canaio a discutere. Per cominciare. Se non lo faccio, che cosa ci metto al posto? Già si sprecano le lamentazioni, perché se questo si fa a discapito dello sviluppo delle energie alternative. Che è come dire che se ordini l’insalata non puoi mangiare la bistecca. La buona fede si dovrebbe ancora presumere; ed esiste un piccolo vincolo U.E. che impegna comunque al raggiungimento del 20% di utilizzo di energie alternative sul consumo energetico totale. Tradotto in termini elettrici, vuol dire che nel fatidico 2020 tre lampadine della Signora Gina dovrebbero funzionare ad alternativo invece del poco più di una e mezza di adesso. Auguri. Però farcela o meno non si capisce cosa c’entri col nucleare; e comunque non mi consta che il Governo abbia ripudiato l’impegno, ed è solo ciancia presumere intenzioni per poi farvi processo.
Il nucleare fa elettrico; ed in Italia l’elettrico lo facciamo di gran lunga più che altrove a gas, e su basi as is oggi di centrali nuove o se ne fanno a gas o non se ne fanno proprio. Se facciamo quattro centrali nucleari in più, finirà che l’aumento dei consumi (e/o la sostituzione delle centrali obsolete) sarà sostenuto da 8-10 nuove centrali termoelettriche in meno. Se l’elettrico nucleare non lo usiamo per eliminare la quota importata, la Signora Gina toglierà una lampadina a gas dal suo lampadario (oggi ne ha praticamente 6…) e la cambierà con una nuova lampadina nucleare. Meglio a gas o meglio a nucleare? E nel caso in che proporzioni? Già se fosse questo il dibattito sarebbe meglio.
E dunque ci conviene farlo? E, soprattutto, siamo capaci di farlo? Le due questioni viaggiano assieme. Nel Paese dove massima è la diffusione delle tribù BANANA (Build Absolutely Nothing Anywhere Near Anything) ha senso parlare di produzione nucleare? Umberto Veronesi chiede autorevolmente 10-20 centrali. E’ sicuro che, anche fosse in sovrabbondanza di mezzi finanziari, gli riuscirebbe in questo Paese di realizzare entro il 2020 venti centri oncologici? Per quale strana congiunzione astrale si dovrebbe realizzare per poter far partire una centrale in un quarto del tempo che ci sta ancora volendo per fare il Passante di Mestre? Alberto Clò ha difeso il nucleare e la sua continuazione nei tempi più bui. Nel suo ultimo libro ci dice che oggi non gli pare il caso. Che per carità tutta la ricerca possibile e che le nostre aziende continuino a starci ed a investirci all’Estero. Ma nelle condizioni di questo Paese, meglio star fermi un giro; e vedere se prima o poi si rimettono assieme le condizioni per costruir qualcosa. Il pessimismo dolente di Clò contro il si può fare (ops…) di Scajola. L’idea che se vogliamo mettere un po’ di nucleare nel paniere ci convenga giusto comprarne di più dalla Francia, che adesso una centrale nuova finirà per farla e faranno prima e gli costerà meno soldi che a noi (questo non lo scrive Clò; ed è giusto pensiero e domanda che a volte attraversa me…); contro l’idea che dobbiamo farlo noi, che abbiamo aziende capaci farlo (e di questo nessuno dubita), e che sapremo gestire consenso, amministrazione e giurisdizione in modo da conseguire l’obiettivo con tempestività ed efficienza (scongiuri vivissimi in tutta la sala). Se Confindustria si entusiasma fa solo il suo mestiere – una centrale tutto compreso è un giocattolo che costa dai 2 ai 4 miliardi, e di fronte a un tale monte premi non s’è mai visto un sistema-imprese non dichiarare entusiasta la sua prontezza da ieri; ma l’idea che al di là delle buone intenzioni ci sia rischio di imbarcarci nell’ennesimo labirinto di sperperi e ritardi pare già cominci ad aggiungersi alla tante ragioni d’insonnia del patrio contribuente.
Ci sono due snodi che dovrebbero farci capire meglio se ci riesce di essere capaci. Il primo è quello delle scorie. Il Ministro trovi il modo di individuare e rendere rapidamente operativo un sito di stoccaggio; ed oltre ad aver adempiuto ad una condizione necessaria per smantellare quel che c’è ed avviare una roadmap in direzione di quello che ci dovrebbe essere, ci avrà regalato la notizia che costruire un’infrastruttura in questo Paese sia ancora possibile.
Poi bisognerà mettere in piedi un qualche impianto di riforma legislativa e temo anche costituzionale che dia una qualche cornice di certezza di riferimenti ai tempi della marcia e delle sue autorizzazioni. Se lo si fa, sarebbe anche opportuno non farlo ad hoc giusto per il nucleare, ma estenderne la fruibilità anche a quell’altro po’ di bisogni energetici ed infrastrutturali che sarebbe quasi civile riuscire infine a soddisfare. Se queste due cose succedono, pensare a produrre nucleare a casa nostra comincia a non diventare giusto velleità. Ci si dimostrerebbe che “possiamo” farlo, e renderebbero concreta la discussione, che qui rimando, sul se “convenga” farlo.
In conclusione. Per dimensioni ed impatto, non vi è nulla di epocale nel programma nucleare che, per come capisco, si sta preparando; ed invece molto in ciò che è necessario fare per renderlo possibile. Magari poi decidiamo che non ci conviene, o comunque che non vogliamo farlo a casa nostra. Però se sul percorso della sua fattibilità riusciamo a rinchiudere i BANANA nelle riserve, a limitare ai casi di reale allarme sociale il diritto del giudiziario di sequestrare un cantiere o sospendere un lavoro, a rendere meno conferenza e più servizio l’iter autorizzativo, e magari pure a dare forza ed azionabilità alla nozione di interesse nazionale (mi esilieranno dalla Lombardia per averlo scritto?) stiamo facendo la rivoluzione. Se succede, la Signora Gina mi ha annunciato che per la gioia si compra un lampadario nuovo; e con una lampadina sola, che di gas ce ne salva molto più il risparmio che l’atomo.