Il nuovo Afghanistan russo si chiama Caucaso
23 Luglio 2010
Era il 1994 quando il generale Gromov, viceministro della difesa ed eroe del conflitto sovietico-
afgano, rassegnò le dimissioni per protesta contro l’invasione della Cecenia. “Sarà un bagno di sangue, un altro Afghanistan” dichiarò, probabilmente senza immaginare quanto sarebbe stato preveggente.
Da allora il “problema Cecenia” non è mai stato risolto ma, al contrario, è peggiorato allargandosi
alle repubbliche etniche del caucaso russo. Quando, nel 2000, vinta la seconda guerra russo-cecena ed eliminati i tentativi della guerriglia di ricacciare l’armata russa, ci si era illusi sulla fine dell’incubo, si commise un grave errore di valutazione.
La sconfitta, per la guerriglia cecena, rese necessaria una svolta radicale. Fino ad allora i due caratteri fondanti della resistenza antirussa erano l’essere “Cecena” e “nazionalista”. Ma battere i russi da soli si rivelò impossibile e fu chiaro che solo allargando la ribellione e dandole un carattere pancaucasico, si sarebbe potuto creare una situazione politicamente, militarmente ed economicamente insostenibile per Mosca.
Fu quindi naturale abbandonare l’idea dell’indipendenza cecena a favore di un più vasto “Emirato
del Caucaso” e assumere la religione islamica come ideologia dominante, essendo l’unica cosa che
unisce popoli spesso addirittura in contrasto tra loro. La nuova scelta politico-strategica conobbe un insperato successo allargando la guerriglia in tutte le repubbliche caucasiche dove i russi non sono la maggioranza della popolazione (ossia tutte salvo l’Adygea).
E se nella Karachay-Cherkessia, Kabardino-Balkaria e Ossezia del nord attacchi e attentati si
possono considerare fatti sporadici, nelle repubbliche di Inguscezia e Daghestan ormai siamo al
far-west. In queste due regioni, confinanti con la Cecenia, gli attacchi contro poliziotti, militari, politici, giudici e altri importanti membri della pubblica amministrazione sono un fatto quotidiano di cui nessuno più si stupisce. Lo stesso presidente dell’Inguscezia è rimasto gravemente ferito in un attentato e alcuni dei suoi accompagnatori sono finiti al camposanto.
Di fronte a questa diffusione a macchia d’olio della guerriglia si è reagito col pugno di ferro in
guanto di ferro e seguendo la nota regola del “prima si spara e poi si fanno domande”. Tutto questo non ha fatto che creare una diffusa avversione popolare e favorire le adesioni alla guerriglia stessa.
Il paradosso è che alla guerriglia cecena è convenuto ridurre al minimo le proprie attività per
convincere Mosca del successo del massiccio dispiegamento di polizia ed esercito e del “regime di
antiterrorismo”. Quando, su forte sollecitazione del governo ceceno, il “regime di antiterrorismo” è stato abolito e ci si è preparati a un ritiro militare parziale, Dokka Umarov, “l’Emiro del Caucaso”, ha scatenato una serie di attacchi in Cecenia come non si vedevano da anni.
Questo ha costretto a ripristinare il vecchio regime speciale nei distretti montani del sud, dove la
guerriglia opera, e a rallentare il ritiro militare. Per i combattenti islamici la concentrazione massiccia in Cecenia era diventata positiva, perché teneva sguarnite le altre regioni caucasiche, visto che uomini e mezzi non sono infiniti nemmeno per il Cremlino. Non contenti, si è pensato bene di allargare gli attentati a Mosca, al treno Mosca-San Pietroburgo e, cosa sfuggita a molta stampa straniera, alla città di Stavropol (7 morti e 40 feriti). Un segnale, quest’ultimo, probabilmente allusivo alle olimpiadi invernali 2014 che si terranno a Sochi, città più vicina, alle basi della guerriglia, della stessa Stavropol.
In mezzo a questo disastro, di cui la Russia non vede la fine, arrivano in questi giorni notizie
preoccupanti dalla Cecenia ufficialmente “pacificata”. Le forze speciali russe (Spetsnaz), accusano gli appartenenti al battaglione ceceno “Sever”, che opera agli ordini del GRU, il servizio segreto militare russo, di fornire informazioni e armi alla resistenza, arrivando a sparare ai reparti russi, e addirittura di propagandare, presso i militari di religione islamica, l’idea che non dovrebbero venire in Cecenia a combattere i confratelli di fede. A queste affermazioni si accompagnano minacce di “vendetta” e a poco sembra essere servita la difesa del battaglione operata dal presidente ceceno Kadyrov.
La Russia spende per ogni ceceno (dati ufficiali) 1600 $, quasi dieci volte quello che spende per gli
altri russi (165 $), ma la regione è economicamente morta e la disoccupazione stratosferica.
Come si possa uscire da tutto questo resta un mistero e forse aveva proprio ragione Gromov:"Sarà un altro Afghanistan”, ma questo si trova proprio è in Russia e non ci si può ritirare…