Il “nuovo” antisemitismo in salsa british
24 Dicembre 2008
di Daniela Coli
Sinagoghe attaccate, studenti ebrei aggrediti sui mezzi pubblici, rabbini picchiati e accoltellati, cimiteri israeliti ricoperti di svastiche. Non accade nell’ultima roccaforte di Le Pen, ma nel Regno Unito, dove l’antisemitismo è in crescita. Globalising hatred: the new anti-Semitism, di Denis MacShane, già presidente di una commissione bipartisan sul problema dell’antisemitismo in Gran Bretagna, è uno dei libri più discussi del momento. La propaganda di Noam Chomsky e Edward Said contro Israele ha gravi responsabilità per MacShane nella diffusione del fenomeno: dai campus americani, con accademici autorevoli come John Mearsheimer e Stephen Walt, la critica contro lo stato ebraico ha trovato fertile terreno nelle università inglesi, ma non si tratta solo di antisionismo. Il vecchio antisemitismo, come quello di radio Maria in Polonia, e l’antisionismo hanno creato una miscela esplosiva il cui obiettivo non è solo cancellare gli ebrei dalla Palestina, come chiede Ahmadinejad, ma dal mondo. Per Christopher Hitchens, che ha recensito il libro di MacShane sul TLS, il nuovo antisemitismo non è tanto il risultato del successo di Chomsky, degli accademici americani antisraeliani o del negazionismo di David Irving ripresi dall’estremismo islamico contro Israele, come sostiene MacShane, perché l’ostilità inglese nei confronti degli ebrei ha caratteri particolari. Mentre gli inglesi ai quali non piacciono i pakistani e gli irlandesi li accusano di essere sporchi, pigri, ignoranti e di fare troppi bambini, nei confronti degli ebrei hanno un misto di ammirazione e paura. La riflessione di Hitchens, ateo, provocatorio e in genere fuori dal coro, permette di stabilire che in un paese come la Gran Bretagna i motivi delle antipatie per i diversi gruppi etnici e culturali non sono simili. Gli ebrei sono considerati una tribù con poteri segreti, un genio speciale per la finanza, ingegneri del capitalismo e del comunismo. E non sono i britons emarginati e privi di cultura a pensarlo e teorizzarlo, ma le élite.
È significativo per Hitchens il diverso atteggiamento inglese nei confronti del Pakistan e di Israele, due stati nati quasi contemporaneamente dalla fine dell’impero britannico. Il Pakistan è responsabile di invasioni di paesi vicini come l’Afghanistan, di avere oppresso minoranze, di massacri in Bangladesh, ha armi nucleari, ma non esiste alcuna campagna internazionale con giornalisti, intellettuali e accademici britannici per boicottare il Pakistan, come invece accade per Israele. L’antipatia per Israele non solo è legata all’orgoglio frustrato per la perdita del mandato in Palestina, ma anche al fatto che in Inghilterra gli ebrei hanno avuto un ruolo importante mai avuto dai pakistani. Per Hitchens non c’entrano i famigerati Protocolli di Sion a cui viene tradizionalmente addebitata l’origine dell’antisemitismo nell’800 e nel ‘900, ora diffusi in tutto il Medio Oriente come simbolo della congiura sionista, anche se nei Protocolli non si nomina mai Israele o il sionismo. Diversamente da MacShane, per Hitchens occorre distinguere tra l’ostilità contro Israele e quella nei confronti degli ebrei. Hitchens non è neppure convinto si tratti di un antisemitismo nuovo, anche se se si presenta in forme nuove per la presenza dello stato di Israele. E’ un fenomeno alle cui basi c’è una forma mentis come quella di Thomas S. Eliot, che denuncia la crisi della cultura occidentale, la fine della comunità, la perdita delle radici, rimpiazzate da un cosmopolitismo tendente all’uniformazione globale. Idee simili a quelle dei militari argentini convinti che Marx avesse distrutto il concetto “cristiano” di società e Freud quello di famiglia. Dalle osservazioni di Hitchens si può desumere che una parte della cultura occidentale ritenga Marx e Freud responsabili della crisi dell’Occidente e insieme si ritenga attaccata da una finanza ebraica spregiudicata il cui obiettivo è la distruzione delle credenze e delle tradizioni delle diverse nazioni occidentali. Possiamo ipotizzare che il conflitto descritto da Hitchens, un intellettuale ateo, non sia riducibile all’ambito religioso, anche se con faciloneria viene sintetizzato come un conflitto tra cristiani ed ebrei, senza tenere conto delle guerre di religione tra cristiani, nelle quali i contrasti economici e politici erano messi in secondo piano dalle retoriche teologiche e religiose. Eliot è l’editore di Pound, un poeta che nei Cantos scrisse parole di fuoco contro gli ebrei e l’usura, come ricorda Hitchens, ma anche Hobbes assimila astuzia e usura e le considera negative. Hobbes è soprattutto preoccupato dalla minaccia papista, tanto da concludere il Leviathan con lo spettro dei missionari gesuiti in Cina, Giappone e India: la piovra papista nel Leviathan ha caratteri simili a quella ebraica nei testi antisemiti. Pur appoggiando i neocon Hitchens non si è mai definito neocon, perché non ritiene che il conflitto in atto in Medio Oriente sia un semplice conflitto di religione, anche se la religione è usata come un’ideologia efficace dall’estremismo musulmano.
Hitchens ha ragione a non considerare nuovo l’attuale antisemitismo british, perché oltre al risentimento nei confronti di Israele, uno stato avversato dagli inglesi e considerato un fantoccio dei sovietici, la storia britannica non è sempre stata tenera con gli ebrei. L’Inghilterra fu la prima nazione europea a cacciare gli ebrei nel 1290 durante il regno Edoardo I. Fu l’England’s Jewish Solution, come è stata definita dallo storico Robin R. Mudill. Sugli ebrei inglesi si abbatterono accuse di omicidi rituali e di crimini di ogni tipo. Edoardo fu un re guerriero e brutale, al cui confronto il Valentino pare un apprendista, ed ebbe l’obiettivo di unificare tutta l’isola. Riuscì a sottomettere la Scozia e per conquistare il Galles tassò gli usurai ebrei. Di fronte al rifiuto degli ebrei di finanziarlo, Edoardo li sostituì con i Riccardi di Lucca, allora in fase di espansione nei paesi del nord Europa come i banchieri di Firenze e Siena. Edoardo accusò gli ebrei di tradimento, vietò loro di prestare denaro, uccise tutti i capi famiglia ed espulse i sopravvissuti dal paese. Gli ebrei poterono tornare in Inghilterra solo nel 1655, ma sulla figura dell’ebreo – da Shylock di Shakespeare a The Jew of Malta di Marlowe – rimase un’ombra negativa e solo nel 1858 ottennero l’emancipazione e la piena integrazione. Basti pensare al successo dell’opera di Marlowe, replicata 36 volte tra il 1592 e il 1596 con il pubblico inglese in visibilio. Una follia di cui fu vittima l’anziano ebreo portoghese Rodrigo Lopez, medico personale della regina Elisabetta, accusato di aver complottato contro la sua vita, impiccato e squartato, come dopo Enrico VIII si usava con i cattolici, ritenuti traditori e spie del papa. La fobia dei cattolici raggiunse tali livelli di paranoia nell’Inghilterra del ‘600, quando erano ormai una minoranza esigua, da arrivare ad accusarli e a massacrarli per complotti inesistenti e fino al XIX secolo il cattolicesimo fu proibito. Agli ebrei fu concesso di tornare in Inghilterra nel 1655 per intercessione dell’Olanda, divenuta dopo la guerra civile inglese l’alleato principale dell’Inghilterra. La guerra civile inglese fu comunque una questione tutta inglese, dove contarono soprattutto gli interessi economici e politici e fu una guerra tutta interna ai riformati. La Spagna non era detestata perché cattolica, ma perché era la principale rivale nella colonizzazione delle Americhe. Forse potremmo capire qualcosa di più della razionalità british se invece dei dibattiti politico-teologici consideriamo la raffinatezza della psicologia inglese, le analisi sottili sulle passioni umane e quella sicurezza tutta britannica di vincerle giocando le une contro le altre.
Nonostante la fortuna di Rothschild durante il regno della regina Vittoria e la promessa del primo ministro Disraeli di una terra in Palestina per gli ebrei, gli inglesi non hanno mai del tutto digerito l’Hotel King David. C’entra poco la religione in questo “nuovo” antisemitismo. Quando Peter Mandelson è stato nominato barone, uno dei suoi pari ha detto che era “la quintessenza dell’ebraismo”, anche se Mandelson non è un ebreo ortodosso e ha solo un cognome ebraico. Come ha scritto il Guardian, quella definizione era un’allusione allo stereotipo ottocentesco del parvenu ebreo e forse era anche un modo per ricordare a chi non ha un Dna tutto british di essere soltanto in visita.
Denis MacShane, Globalising hatred. The new anti-Semitism, Weidenfeld, 2008, £ 12.99.