Il Nuovo Centrodestra è nato “digital”
29 Marzo 2014
Noi riteniamo che il tema dell’agenda digitale sia centrale per la rigenerazione non solo delle amministrazioni pubbliche o dei distretti industriali, ma anche della politica. Affrontare l’argomento impone una certa dose di buonsenso. Una cosa è dire «vogliamo un partito 2.0», altro è realizzarlo nei fatti. Le ultime elezioni hanno dimostrato che il centrodestra è rimasto molto indietro sul tema della rete, anche se sforzi importanti sono stati compiuti. Non possiamo pensare, però, di fermarci e attivare Internet soltanto a ridosso degli appuntamenti elettorali. Perché l’Italia e gli elettori sono connessi 365 giorni all’anno e perché, cosa più importante, la rete è un luogo in cui l’improvvisazione non paga e, anzi, viene riconosciuta la costanza e la capacità di programmare.
La vera o presunta superiorità della sinistra e dei grillini nel gestire la propria comunicazione in rete appare connessa soprattutto, secondo molti, al fattore demografico. Avendo l’elettorato moderato un’età media superiore a quella dei suoi competitori, sarebbe naturalmente meno portato a utilizzare la rete e i nuovi media per farsi un’opinione e per contribuire al processo di crescita politica della propria area culturale di riferimento. Potrebbe essere vero. Ma potrebbe anche essere vero, paradossalmente, l’esatto contrario. La rete garantisce una partecipazione non solo a basso costo, ma anche rapida e poco invasiva. E’ l’utente a scegliere quando cercare informazioni, quando leggerle, quando condividerle o commentarle. Decide anche, liberamente, quando essere connesso e quando no.
Caratteristiche che rendono possibile la partecipazione politica anche a chi ha una famiglia, un lavoro e un’agenda ricca di impegni pronta a scoraggiare distrazioni. E, normalmente, la politica è vissuta come un’assorbente distrazione, la cui capacità attrattiva diminuisce con il crescere dell’età e l’aumentare delle incombenze. Soprattutto tra i moderati, naturalmente propensi a una militanza leggera e meno totalizzante. Per questi utenti, poco inclini a navigare in rete, ma molto inclini a ricercare e intercettare informazioni immediate e puntuali, va ideata una comunicazione online in grado di offrire loro l’essenziale e di garantire possibilità di interazione rapida. Lo strumento da prediligere, in un assetto a geometrie totalmente variabili, è quello delle mail e degli sms.
Questo perché, se è vero che una parte della popolazione è poco abituata a utilizzare i computer, fissi o portatili, è evidente che in Italia vi è una penetrazione senza precedenti, e in tutte le fasce d’età, dei telefoni cellulari. Un’attitudine che si è rapidamente adattata all’utilizzo dei cosiddetti smartphone, mezzi di ultima generazione capaci di garantire accesso semplice e rapido a mail e applicazioni. Queste ultime sono sempre più in grado, grazie alla tecnologia push, di comunicare con gli utenti, che possono trasformarsi rapidamente da soggetti passivi a nodi proattivi.
Oltre alla doverosa sensibilizzazione di un’utenza che va guidata all’utilizzo dei nuovi strumenti, la sfida più importante rimane quella di mettere in relazione tutte le comunità che naturalmente si formeranno online. Servirà un approccio completamente diverso da quello sin qui adottato. Accanto a una minimale attività gestita in termini di propaganda e proposta ai singoli utenti, bisognerà incentivare quanto più possibile la discussione tra «anime» e «ambienti». Le comunità online che si gestiscono autonomamente difficilmente potranno rappresentare organiche e fideistiche adesioni al movimento, ma garantiranno, nella loro interazione, la versione in rete della cosiddetta «apertura» alla società civile, a tutte le persone cresciute nelle associazioni etiche, nei movimenti civici, negli interessi organizzati.
Noi crediamo che il tema della riorganizzazione dei partiti al tempo della rete e nel perdurare di una crisi economica e sociale senza precedenti si imponga con decisione non solo in Italia. Ed è evidente come le crescenti difficoltà dei movimenti tradizionali a intercettare il consenso siano inversamente proporzionali al radicamento e alla profondità del legame che lega militanti e partiti. Minore è la capillarità territoriale di questi soggetti e il grado di militanza dei loro iscritti, maggiori sono le difficoltà che si ritrovano a fronteggiare in un momento di sostanziale sfiducia nei messaggi trasmessi dai soggetti politici. Invertire questa tendenza agendo semplicemente sulla leva della migliore strutturazione di un partito sul territorio rischia di essere, in un tempo di grande crisi per le dinamiche tradizionali della rappresentanza, un’azione velleitaria.
Douglas Carswell, deputato conservatore britannico, ha recentemente sintetizzato con chiarezza questa condizione. In un editoriale sul «Daily Mail» ha spiegato come i partiti politici siano sostanzialmente assimilabili a operatori del commercio al dettaglio. Il loro compito è «vendere» idee e personalità politiche a un’ampia fascia di mercato che si chiama elettorato. Ma la rivoluzione di Internet sta sconvolgendo anche i sistemi con cui si realizzano e si vendono idee e prodotti. «Stiamo gestendo il Partito conservatore», ha spiegato Carswell, «come è stata gestita Hmv [storica catena di negozi che vendevano cd e prodotti musicali, ndr] e, se non cambieremo, chiuderemo come ha chiuso Hmv».
Oggi i mercati di acquisto stabile e tradizionale come questi vengono sostituiti rapidamente da servizi online di streaming musicale o da piattaforme che permettono agli utenti di selezionare, a costi molto inferiori, singoli contenuti da scaricare, componendo compilation e offerte musicali che una volta si trovavano, standardizzate e precostituite, sugli scaffali dei negozi. Internet esalta, invece, le relazioni informali, la capacità di entrare e uscire da ambienti contigui ma diversi, di orientare la propria vita online in base ai propri gusti in ordine di musica, film, giornali da leggere. E, ovviamente, orientamenti politici e culturali.
La risposta a questo cambio di paradigma non è e non può essere la creazione di negozi (o partiti) più grandi, più belli, più strutturati, ma con la stessa filosofia di base. Così come non servirebbe a nulla partire dal preconcetto che la gente sia diventata, all’improvviso, poco interessata alla politica e alla propria partecipazione alle decisioni pubbliche. Non è così, esattamente come la crisi nella vendita in negozio di cd e dvd non corrisponde al minore interesse degli utenti per musica e film.
Serve invertire la prospettiva. Carswell invita il Partito conservatore a somigliare più a Spotify e a incamminarsi con coraggio sulla strada di un partito modellato sulla capacità di elettori e organizzazioni spontanee di stabilire l’agenda politica: un movimento capace di riflettere la società che si auto-organizza e di modificare radicalmente il concetto di membership. Non più iscritti chiamati a misurarsi in congressi spesso muscolari, ma elettori che, a seconda del momento e dell’argomento trattato, assumono importanza e rilevanza. Esprimendosi, discutendo, votando se necessario su singole politiche o, con strumenti di partecipazione quanto più aperti possibili, anche per la selezione di classe dirigente e candidati.
(Tratto da Moderati. Per un nuovo umanesimo politico, Marsilio 2014)