Il Pakistan è in ginocchio ma il resto del mondo sta a guardare

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Il Pakistan è in ginocchio ma il resto del mondo sta a guardare

06 Settembre 2010

Nel mese di agosto le piogge monsoniche hanno messo in ginocchio il Pakistan. Circa 17 milioni di persone sono state colpite dalle inondazioni, le più terribili che si ricordino dagli anni Venti. 1.600 morti, oltre 2.300 feriti, 1.200.000 abitazioni andate distrutte. Le famiglie si sono disperse, donne e bambini hanno pagato per primi la violenza della natura. Molti profughi non hanno acqua potabile, rischiano di contrarre malattie di ogni tipo e i casi di malaria crescono in modo esponenziale. L’economia del Paese sta per saltare in aria, almeno 2 miliardi di dollari i danni nel settore agricolo. Il governo ha dimezzato le prospettive di crescita e chiede che il prestito concesso dall’FMI nel 2008 venga rinegoziato. Ci vorranno anni per ricostruire il Paese.

Il 15 agosto scorso il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki Moon, è andato in Pakistan lanciando un appello in favore delle popolazioni colpite dal disastro naturale. “L’Onu è con voi”, ha detto paragonando la catastrofe al terremoto di Haiti o allo Tsunami del 2004, ma l’impressione è che la tragedia pakistana sia stata declassata rispetto alle precedenti. L’FMI fa sapere che verranno stanziate alcune centinaia di milioni di dollari in prestiti di emergenza ma il piano di aiuti sarà approvato formalmente dal consiglio di amministrazione solo a fine mese, e in ogni caso il premier pakistano Gilani ha dichiarato che i danni ammontano a più di 40 miliardi di dollari. Per fortuna che c’è l’esercito, una istituzione che regge ancora in Pakistan ed è in prima linea nel fornire aiuto alla gente. Ci sono le Ong, l’Unicef, Save The Children, Medici Senza Frontiere, anche se non è verosimile contare solo su di loro. La scarsezza degli aiuti umanitari sta provocando rabbia e sconcerto fra la popolazione, tanto che la Croce Rossa denuncia episodi di violenze contro i soccorritori, gli unici contro cui prendersela per la lentezza con cui arrivano viveri, scorte e medicinali. La ciliegiena sulla torta sono le persecuzioni contro i cristiani: “Ci sono prove che i grandi latifondisti hanno deviato le acque verso i villaggi degli agricoltori poveri” ha detto l’ambasciatore pakistano alle Nazioni Unite in una intervista alla BBC, confermando le notizie diffuse dalla agenzia Fides.

La solidarietà del mondo musulmano è stata più immediata. L’Arabia Saudita, la Turchia, le ricche petrocrazie del Golfo, avrebbero raccolto un miliardo di dollari ai fratelli pakistani. A tutto questo bisogna aggiungere la piaga endemica del terrorismo che non si ferma neppure davanti a un lutto così grave. Un kamikaze si è fatto esplodere a Quetta facendo almeno 50 morti, ci sono stati altri attentati, con pesanti perdite fra le forze della sicurezza pakistana. A rivendicare gli attacchi il gruppo Tehrik-e-Taliban Pakistan, incluso di recente dagli Usa nella lista delle organizzazioni terroriste. I gruppi Talebani avrebbero minacciato di colpire i convogli delle organizzazioni umanitarie Il portavoce di un gruppo islamico legato a Lashkar-e-Taiba, l’organizzazione colpevole degli attentati di Mumbai del 2008, ha fatto sapere di aver distribuito razioni a più di 80.000 famiglie e di aver curato decine di migliaia di persone. I ritardi nell’invio degli aiuti potrebbero favorire l’estremismo islamico, offrendogli delle chance agli occhi della popolazione, sempre più sfiduciata e piena di risentimento verso il governo nazionale e la comunità internazionale. Il Pakistan, vale la pena ricordarlo, è una potenza atomica al centro degli sforzi diplomatici americani per arrivare a un progressivo disimpegno delle truppe della Coalizione dall’Afghanistan e ad una stabilizzazione dell’area, che sembra farsi sempre più difficile.