Il Pakistan piange Benazir Bhutto e guarda alle elezioni politiche
28 Dicembre 2007
di redazione
Intervista a Margherita Boniver di Gaia Pandolfi
Benazir Bhutto non era solo il leader politico, la coraggiosa figlia di
Ali Bhutto, anche lui martire della patria. Benazir era soprattutto
una donna forte e determinata. La figura Benazir Bhutto resta
indissolubilmente legata, anche dopo la sua morte, a quella che
era la sua adorata terra, il Pakistan, che oggi si ritrova gettato nel
caos più
profondo, insieme ad una comunità internazionale che si interroga sul
da farsi. Margherita Boniver, che negli anni del governo Berlusconi era sottosegretario al ministero degli Esteri, l’ha conosciuta e la racconta
all’Occidentale.
Onorevole Margherita Boniver, come ricorda Benazir Bhutto?
Benazir Bhutto l’ho incontrata
due volte, se non tre, a Islamabad in Pakistan, e durante le riunioni
dell’Internazionale Socialista, verso la fine degli anni ’80. Era una donna
affascinante, molto determinata, dall’eloquio efficace, dotata di un notevole
carisma e, ovviamente, di una bellezza rimarchevole. Consapevole del ruolo di
erede del padre – il primo ministro pakistano, Zulfikar Ali Bhutto, fatto
giustiziare dal generale Zia nel ’79 – lei stessa portava avanti un programma di stampo
democratico e laico.
Uno dei più grandi paradossi del
Pakistan è proprio quello di essere allo stesso tempo un paese sia laico che
islamico. Infatti, se giriamo per le vie del paese, notiamo che le donne
indossano i loro costumi tradizionali, ma non portano il velo. Il Pakistan è
uno stato che rispettava alcune fra le principali tradizioni democratiche, come
l’indipendenza della magistratura, la presenza di un parlamento o ancora
università importanti e prestigiose. Garanzie che, però, sono andate
deteriorandosi nel corso degli anni, soprattutto dopo l’arrivo al potere di
Musharraf, artefice di una forte manipolazione della Costituzione che impedisce la presidenza militare e di recente l’imposizione dello stato di emergenza, l’intimidazione di molti giudici della corte suprema e l’arresto di diverse centinaia di attivisti dei diritti
umani.
La Bhutto era tornata in Pakistan
lo scorso ottobre, grazie ad un accordo imposto dagli Stati Uniti al Pakistan,
dopo otto anni di esilio, e una volta toccato il suolo natio aveva dichiarato:
“Sono tornata per sconfiggere il terrorismo che sta distruggendo il mio paese e
per far rispettare le istituzioni democratiche”. Parole che, purtroppo, le sono
state fatali.
Qual è la Sua opinione sulla formazione e la carriera politica della
Bhutto, una donna alla guida di un paese musulmano?
Il fatto che una donna sia stata
per ben due volte premier non deve stupire. Anche in altri paesi, come ad
esempio le Filippine, le vedove o le figlie dei leader politici assassinati
sono solite ereditare il ruolo del marito o del padre e portare avanti il
proprio programma. La Bhutto era, fra l’altro, una
donna molto colta e preparata, istruita nelle più prestigiose università
statunitensi e britanniche, come è consuetudine per l’alta borghesia pakistana, che
con la sua ricchezza conduce uno stile di vita assai raffinato e molto simile a
quello occidentale. Una situazione ben diversa da
quelle che sono le condizioni della maggior parte della popolazione pachistana,
costretta a vivere nella miseria, aiutata solo negli ultimi anni da una
crescita economica pari al 7%.
Secondo Lei, quali saranno in Pakistan le conseguenze di questo
attentato a livello sia politico che pratico?
E’ sicuramente molto difficile
dirlo il giorno dopo. Credo che sarà necessario vedere cosa accadrà nei
prossimi giorni. La situazione politica del
Pakistan era piuttosto difficile, sin da prima dell’attentato. All’interno del
paese, vi sono, infatti, alcuni territori che solo nominalmente dipendono dal
governo centrale, in quanto sono nelle mani di solide alleanze tribali. Sto
parlando del Baluchistan, del regno di Swat e il Waziristan, territori a
ridosso dell’Afghanistan, i cui confini non sono ancora stati tracciati in modo
definitivo. Non possiamo che augurarci che le
elezioni politiche possano tenersi regolarmente l’8 gennaio, o comunque quanto
prima. E il fatto che Musharraf non abbia ancora dichiarato lo stato di
emergenza ci fa ben sperare. Certo, bisognerà vedere chi si presenterà come candidato
del PPP, il partito del popolo pakistano, e sarà importante considerare anche
il comportamento dell’altro leader dell’opposizione, Nawaz Sharif, che mi è
sembrato un po’ schizofrenico nelle
ultime ore.
Il principale timore a seguito
dell’assassinio della Bhutto, riguarda non solo la possibilità della diffusione
in Pakistan del caos più profondo, ma soprattutto il rischio che simili
conseguenze si estendano e ricadano anche sui paesi circostanti, l’Afghanistan
primo fra tutti. E non è un caso che ieri si sia tenuto un colloquio fra il
presidente afgano Karzai e Musharraf, dove è stata espressa la necessità di
collaborare.
L’assassinio della Bhutto può essere considerato come una sconfitta
della politica estera statunitense e più in generale di quella occidentale?
Credo proprio che non ci sia un “piano B”. Gli Stati Uniti e
l’Unione Europea avevano sia sostenuto la Bhutto, sia gli sforzi di Musharraf
convincendolo anche a dimettersi dalla carica di capo dell’esercito. Lo scenario pakistano è certamente rimasto sconvolto da un
evento che però, forse, non era troppo inatteso. Noi sappiamo che la Bhutto
aveva addosso un giubbotto antiproiettile, anche se poi è stata uccisa
ugualmente. Il giorno del suo rientro in Pakistan, infatti, la Bhutto aveva rischiato
di morire in un attentato che colpì le auto che la scortavano. E’ necessario che la comunità internazionale ponga il
Pakistan sotto osservazione, dispensando senza freni aiuti di intelligence e
militari allo scopo di irrobustire la lotta agli estremisti e ai terroristi. E’ un
compito che, però, non deve essere delegato solo alla politica estera
statunitense. I paesi dell’Unione Europea devono, infatti, adottare una
strategia comune con gli Stati Uniti nei confronti del Pakistan, che per la sua
posizione geopolitica risulta un partner essenziale per la lotta al terrorismo. Circa tre anni fa si svolsero in Iraq con successo elezioni
democratiche, ed è proprio per questo motivo che non si può negare lo
svolgimento delle elezioni in Pakistan il prossimo 8 gennaio, in quanto evento
politico fondamentale.