Il Pakistan riapre il corridoio ‘AfPak’ agli Usa ma lo spettro del qaedismo rimane
07 Luglio 2012
“They did not apologize. They said ‘sorry’“. E’ quanto dichiarato da Enver Baig – esponente della Lega Musulmana Nawaz – a seguito delle scuse porte dal Segretario di Stato americano, Hillary Clinton, al Ministro degli Esteri di Islamabad, Hina Rabbani Khar. Scuse propedeutiche alla riapertura della supply route pakistana verso l’Afghanistan. Il campo della diplomazia, sia sotto l’aspetto interno (a Novembre negli Usa si vota, ndr) che internazionale, risulta essere assai impervio e il Segretario di Stato nel suo statement ha dovuto soppesare anche le virgole.
Le scuse, al riguardo, sarebbero dovute arrivare già nel mese di Febbraio quando era già in cantiere un incontro tra Hillary Clinton e Hira Khar. Tuttavia, a scombussolare il piano ci si misero i roghi del Corano nella base americana di Bagram, e il ‘we are sorry’ clintoniano, in questo senso, venne messo momentaneamente da parte. La Casa Bianca, infatti, si dovette fiondare a chiedere scusa al Presidente afghano Hamid Karzai per tali incresciosi episodi. Insomma, scusarsi nello stesso giorno con Afghanistan e Pakistan sarebbe stato un boomerang non da poco per un Obama in procinto di lanciarsi verso l’avventura della (già difficile) rielezione; un Obama, tra le altre cose, in più d’un’occasione additato dagli esponenti del GOP – in primis da Newt Gingrich – come ‘The Apology President’.
Ma andiamo con ordine. I fatti: nel corso di un raid Isaf al confine con l’Afghanistan, nel Novembre scorso, ventiquattro soldati pakistani rimasero uccisi. Immediato il rimpallo di responsabilità, con il Pentagono e gli alti ufficiali pakistani a litigare apertamente su chi avesse cominciato per primo i combattimenti.
Non solo, tuttavia. I motivi d’attrito, le ragioni di una crisi diplomatico-politica di questo genere, evidentemente, affondano le radici in altri ben noti avvenimenti: dall’uccisione di Osama Bin Laden, avvenuta nel Maggio del 2011, nonostante il Pakistan avesse più volte negato si trovasse nel Paese, a quella degli altri militanti apicali di Al Qaeda, tramite l’utilizzo degli ormai celeberrimi droni (gli aerei senza pilota, ndr). Da ultimo, occorre ricordare la morte di Al Libi, influente capo militare e numero due dell’organizzazione, ucciso lunedì 5 Giugno, assieme ad altre quattordici persone nella regione pakistana del Waziristan settentrionale, al confine con l’Afghanistan e vera roccaforte del terrorismo internazionale.
Ora, entro tale scenario si sono inserite le già citate scuse formali del Segretario di Stato statunitense, mediante la stesura di un comunicato diffuso nella giornata di martedì: “Ci dispiace (we are sorry, ndr) per le perdite sofferte dall’esercito pakistano”. E ancora: “Proseguiremo a lavorare in stretta collaborazione con il Pakistan e l’Afghanistan per prevenire altri simili incidenti”. Il raggiungimento del compromesso è stato reso possibile grazie a un incontro tenutosi lunedì tra il vice di Hillary Clinton, Thomas R. Nides, e taluni eminenti diplomatici pakistani. In assenza di tale accordo, occorre dirlo, gli attriti avrebbero continuato a provocare danni di tipo politico sia al Pakistan, privato degli aiuti economici provenienti da Washington nell’ambito della lotta al terrorismo di matrice qaedista, sia agli stessi Usa a trazione obamiana.
Nell’ottica di una chiusura del corridoio pakistano, infatti, l’amministrazione Obama era stata costretta a ricercare soluzioni alternative per l’approvvigionamento delle truppe impegnate in teatro afghano. Così, per mesi, era stata utilizzata la route russa, attraverso l’Uzbekistan, senz’ombra di dubbio più sicura ma nel contempo più dispendiosa sotto l’aspetto economico rispetto alla via pakistana. Secondo le stime del segretario alla Difesa, Leon Panetta, essa costava agli Usa ben 100 milioni di dollari in più ogni mese. Inoltre, sul piano diplomatico, l’ancoraggio alla linea di rifornimento putiniano aveva causato altri negativi effetti collaterali: su tutti, si veda il freno a mano tirato nei colloqui con Putin nel corso del G20 di Los Cabos in Messico del Giugno scorso sui potenziali scenari della crisi siriana, stante la consapevolezza di dover dipendere dai voleri dello Zar.
Eppure, sempre in termini economici, l’accordo di martedì si presta anche a talune differenti analisi. Vero, la diplomazia americana è riuscita a sfangarla sull’aumento delle tariffe. Esse, dunque, rimarranno ancorate al prezzo in vigore sette mesi or sono: 250 dollari per ogni carro, a fronte dei 500 richiesti da Islamabad nel corso delle trattative. Ma è un altro dato ad apparire fuori discussione: l’amministrazione Obama, per tornare a rifornirsi dal Pakistan, chiederà al Congresso di stanziare all’incirca 1.2 miliardi di dollari per i costi sopportati dalle truppe pakistane al confine con l’Afghanistan in chiave anti-terrorismo. Non proprio ciò che può definirsi una cifra esigua. Anzi.
E i Talebani? Assieme ad altri esponenti del Defense Council of Pakistan – la coalizione dei partiti islamici del Paese – hanno immediatamente scaldato i motori e auspicato un’opposizione senza quartiere all’accordo. A dimostrare, se ancora ve ne fosse bisogno, l’esistenza di una guerra tutt’altro che vinta, e di un nemico, virulento, ancora assai potente, in piena salute e tutt’altro che fiaccato.