Il papà di Dolly fa marcia indietro: la clonazione non serve alla scienza
19 Novembre 2007
Con le dichiarazioni raccolte
dal Daily Telegraph di sabato scorso, Ian Wilmut, lo scienziato che dieci anni
fa ha fatto nascere la pecora clonata Dolly, ha messo la parola fine alla tecnica
che lui stesso ha promosso nel mondo, la cosiddetta “clonazione terapeutica”, ed
ha nei fatti ipotecato quella ricerca scientifica che, in nome di future
terapie, crea e distrugge embrioni umani.
Wilmut ha infatti dichiarato
che la strada “100 volte più promettente” per ottenere staminali embrionali non
è quella di clonare embrioni, ma di utilizzare cellule adulte, e manipolarle in
modo da farle ritornare “giovani”, così come illustrato da un gruppo di
scienziati giapponesi in un lavoro che sarà reso pubblico domani.
Se le anticipazioni saranno
confermate, gli indirizzi e le politiche della ricerca scientifica
internazionale subiranno inevitabilmente un profondo riassetto: sarebbe stata
individuata una strada per produrre
cellule staminali embrionali umane senza utilizzare embrioni.
Sicuramente fin da subito
possiamo desumere che se proprio Ian Wilmut ha dichiarato che questo approccio
è il futuro della ricerca sulle cellule staminali, e che non vuole più
continuare sulla via della clonazione che lui stesso ha lanciato, le evidenze
scientifiche di cui dispone devono essere ben robuste.
Perché servirebbero le staminali embrionali.
La principale promessa delle cellule staminali
embrionali è la possibilità di sostituire cellule o tessuti danneggiati: se
ognuno di noi potesse disporre di cellule di ricambio, con il nostro stesso
patrimonio genetico, in caso di patologie potrebbe ricorrere ad autotrapianti
senza tutti i problemi legati a compatibilità e rigetto.
La potenzialità delle cellule staminali embrionali sta
nel fatto che possono trasformarsi in cellule di ogni tipo di tessuto presente
nel nostro corpo. Disponendo di staminali embrionali con il nostro stesso
patrimonio genetico, quindi, le si potrebbero convertire in cellule del tessuto
di cui c’è bisogno – neuronale, osseo, muscolare, etc. – e trapiantare senza problemi
in caso di patologie.
C’è da ricordare che fino a oggi i ricercatori non
sono riusciti a convertire efficacemente le cellule staminali embrionali in
altri tipi di tessuti, perché non riescono a controllarne e gestirne lo
sviluppo; bisogna aggiungere che le medesime cellule, iniettate nelle cavie, danno
origine a forme tumorali. Quindi finora con
le staminali embrionali non sono state realizzate le terapie promesse, mentre
molti progressi sono stati ottenuti con le cellule staminali adulte.
La fonte
Ma il problema principale è la fonte di queste
cellule, e cioè gli embrioni umani. Per realizzare linee cellulari staminali per
la ricerca scientifica, finora si sono utilizzati embrioni derivati da tecniche
di fecondazione in vitro: nei primissimi giorni dello sviluppo, raggiunto lo
stadio di blastocisti, vengono distrutti per ricavarne le preziose staminali.
Per le eventuali e future applicazioni cliniche,
invece, ne servono con il patrimonio genetico identico al malato, per aggirare
il problema del rigetto. La tecnica della “clonazione terapeutica”, che ha
fatto nascere la pecora Dolly, avrebbe dovuto permettere di creare embrioni con
il Dna identico a quello di un donatore adulto, embrioni clonati da cui
estrarre le cellule necessarie a sviluppare linee cellulari.
La tecnica è quella del trasferimento nucleare: da un
gamete femminile, cioè un ovocita, si estrae il nucleo, e si sostituisce con
quello di una cellula somatica adulta. L’ovocita così modificato viene
stimolato e inizia a dividersi e svilupparsi come un embrione. Raggiunto lo
stadio di blastocisti, dopo qualche giorno, si estraggono le sue cellule
staminali, e quindi viene distrutto.
Tecnica
fallimentare
Nei dieci anni trascorsi
dalla clonazione di Dolly questa tecnica si è dimostrata un fallimento totale.
Applicata agli animali, la sua efficacia non ha mai superato il 2%, mentre
sull’uomo non è mai riuscita. Non esiste al mondo una sola cellula staminale
embrionale umana ottenuta con questo procedimento.
Anche la recente notizia
della clonazione dei macachi, annunciata come “un passo da gigante” verso la
clonazione, si è rivelata l’ennesimo fallimento: da 304 ovociti sono state
ottenute solamente due linee staminali embrionali, di cui una con anomalie
cromosomiche, e da 100 embrioni trasferiti in utero in 50 femmine, non si è
sviluppata nessuna gravidanza. L’intera ricerca ha utilizzato 15.000 ovociti di
macaco.
Numeri impensabili per
esperimenti negli esseri umani.
Se le anticipazioni del Daily
Telegraph saranno confermate dalle pubblicazioni scientifiche, per ottenere
cellule staminali con le stesse proprietà delle embrionali sarà sufficiente
disporre di cellule adulte, da convertire poi nel tessuto desiderato: la via
per l’autotrapianto, insomma, senza creare embrioni da dover poi distruggere.
Una vera e propria
rivoluzione per la ricerca scientifica e il dibattito bioetico internazionale.
Staremo a vedere.