Il Papa, il Presidente e l’America che non si arrende

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Il Papa, il Presidente e l’America che non si arrende

Il Papa, il Presidente e l’America che non si arrende

10 Maggio 2025

I professionisti del declino americano hanno trascorso gli ultimi anni a descriverci un impero in dissoluzione: una potenza stanca, lacerata, polverizzata, sempre più incapace di guidare il mondo, prima ancora che se stessa. Poi, nel volgere di poco tempo, due immagini hanno capovolto quella narrazione. La prima: il giuramento di Donald Trump per l’inizio del suo secondo mandato alla Casa Bianca – tra dazi, intemerate contro Zelensky e proclami muscolari contro le università liberal. La seconda: la fumata bianca che ha proclamato papa un cittadino americano, Robert Francis Prevost, con il nome di Leone XIV.

Due immagini che non potrebbero essere più lontane, ma che – insieme – riaccendono il dibattito sul destino di un “impero” che a quanto pare non si rassegna a finire. L’America torna grande, ma – com’è nel suo stile – lo fa a modo suo: in forme diametralmente opposte. Da un lato le dichiarazioni incendiarie da Mar-a-Lago, dall’altro la mitezza pastorale di un papa agostiniano che benedice in spagnolo, pensa in inglese e sogna in latino.

In attesa che ci venga somministrata la consueta lettura binaria – il papa buono che parla di pace, e il presidente cattivo che pure, ohibò, invoca la pace – bisognerebbe forse porsi una domanda diversa: com’è possibile che una stessa nazione, nella stessa stagione storica, sia in grado di produrre due leadership così diverse, e tuttavia entrambe in grado di renderla ancora una volta il centro del mondo? Ancora una volta, gli Stati Uniti dimostrano di saper generare leadership strategiche e simboliche, politiche e spirituali. E il messaggio cristiano – dato per spacciato da chi racconta da decenni la fine dell’Occidente – torna a essere universale proprio passando per la capitale dell’impero.

Leone XIV non è un papa trumpiano – e sarebbe sciocco incasellarlo nelle categorie della politica. Ma è americano. Ed è la prima volta nella storia che un cittadino degli Stati Uniti siede sul soglio di Pietro. Missionario agostiniano, cresciuto tra le due Americhe – Chicago e il Perù – porta con sé una vocazione pastorale che può farsi globale, tenendo insieme Nord e Sud del mondo, nella difficile arte di coniugare dottrina e misericordia, identità e dialogo.

Il nome stesso scelto – Leone – richiama tanto la Rerum Novarum, manifesto sociale della Chiesa moderna, quanto il papa che fermò Attila e, con lui, la caduta di un altro Occidente. Ma ciò che colpisce ancor più della biografia è la dinamica dell’elezione: in un tempo segnato da fratture e polarizzazioni, il conclave ha chiuso al rialzo. Ha trovato una sintesi che ha sorpreso per la sua capacità di unire le diverse anime della Chiesa. Un compromesso, sì, ma un compromesso verso l’alto: tra conservatori e progressisti, tra Curia e periferie, tra commentatori e pastori. Un’unità ritrovata?

Tra le prime parole del nuovo Pontefice, l’invito a “scomparire perché resti solo Cristo”. È un segnale forte: Leone XIV non è un papa di rottura, ma segna una netta discontinuità nel metodo. Meno personalismi, più collegialità. Meno esposizione mediatica, più governo interno. Meno soggettivismo emotivo, più equilibrio. La sua mitezza potrebbe rivelarsi un’arma disarmante, capace di rimettere ordine anche nei dossier economici lasciati aperti dai suoi predecessori.

Così, se Trump è il presidente dell’America First, Leone XIV sembra essere il papa americano di tutti. Entrambi, a loro modo, ricordano una verità che troppi – in Europa, ma non solo – non vogliono sentire: gli Stati Uniti sono ancora vivi. E sono ancora legittimati a esercitare egemonia, perché sanno tenere insieme contraddizioni, visioni, carismi diversi. Piano, quindi, ad archiviare il ventunesimo come il secolo cinese, multipolare o post-ideologico. Per ora  continua a essere il secolo americano. E lo fa con due scettri: uno temporale, uno spirituale. Da una parte, il presidente più divisivo della storia recente. Dall’altra, un papa che parla al Sud del mondo e riconcilia le Americhe.

Due figure agli antipodi, eppure espressione della stessa civiltà che ancora non ha smesso di generare rotture feconde. Non sappiamo se si incontreranno. Ma se e quando accadrà, quell’incontro avrà un significato profondo: il presidente e il pontefice, la forza e la parola, il comando e la misericordia. L’America del XXI secolo non è una sola – ma è ancora il centro del mondo. E la Chiesa, con Leone XIV, ha ripreso a parlarci dal soglio più alto.