Il “Papello” di Ciancimino dimostra che la giustizia va riformata

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Il “Papello” di Ciancimino dimostra che la giustizia va riformata

21 Ottobre 2009

Il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso è persona che non ha mai parlato a vanvera in vita sua e le sue parole sull’esistenza negli anni novanta della trattativa tra Stato e Cosa Nostra vanno prese sul serio, soprattutto perché inducono a compiere una seria riflessione in un momento in cui si discute di riforma della giustizia.

Dopo l’ammissione di Grasso non si può più considerare un tabù l’abolizione dell’obbligatorietà dell’azione penale. Dunque la magistratura sapeva o ha saputo successivamente della trattativa e non ha aperto alcun fascicolo pur essendo abituata a farlo per molto meno. "Servì per salvare la vita a diversi uomini politici" è stata la spiegazione del procuratore antimafia e si tratta di parole che rendono il quadro ancora più inquietante. "Si tratta dello stesso Stato che non volle trattare per salvare la vita di Aldo Moro" avevo scritto su Il Foglio nei giorni scorsi. E Perluigi Battista sul Corriere della Sera ha firmato un pezzo dal titolo: "Ma allora si doveva trattare per salvare Moro?".

Così facendo non parliamo solo del passato, ma soprattutto del presente e del futuro. 31 anni fa il cosiddetto "Fronte della fermezza"  non esitò a ricorrere a menzogne colossali pur di avere ragione e di convincere l’opinione pubblica sul fatto che non vi fosse altra strada per combattere il terrorismo armato. Brevemente: "Lettere non ascrivibili a lui"; il falso comunicato sul cavadere di Moro nel lago della Duchessa che apparve sin da subito targato servizi segreti e non certo "deviati"; la superballa su una vedova di via Fani pronta a darsi fuoco in caso di trattativa con le Br. Coerenza avrebbe voluto che dalla linea della fermezza non si derogasse mai. E invece lo si è fatto in numerose circostanze, ricordando l’affare Cirillo e episodi più vicini a noi di ostaggi in zone di guerre. Ma nulla di paragonabile alla tratttativa con la mafia "per fermare le stragi".

E se la magistratura è stata silente e immobile pur sapendo, allora è anche arrivato il momento di affrontare in modo pacato e sereno il tema dell’obbligatorietà dell’azione penale. Per diverse ragioni, a cominciare dalla massa spropositata di notizie di reato che affluiscono quotidianamente negli uffici inquirenti, il principio non è mai stato praticato. Lo ammette la maggior parte dei magistrati, anche se fanno eccezione quelli convinti di essere impegnati non a indagare e giudicare persone ma a dover salvare il mondo dai mali che l’affliggono. Nel momento in cui concretamente si sceglie su cosa indagare e cosa no, a quel punto è sacrosanto che la scelta non sia discrezionale di funzionari dello stato vincitori di un concorso, ma appartenga alla politica. E’ ovvio che su modi e tempi di questo cambiamento la discussione dovrà essere più aperta possibile. Ma non appare accettabile far riemergere fantasmi del passato agitati al solo scopo di bloccare qualsiasi ipotesi di modifica dell’ordinamento. Non dovebbe servire a nessuno, invece, evocare il piano di Licio Gelli, tutte le volte che si affrontano temi come quelli dell’azione penale obbligatoria e della separazione delle carriere.

In materia di separazione delle carriere va ricodato che all’epoca del processo Sofri, quando il presidente della corte d’assise di Milano aveva già ottenuto il trasferimento in procura e quindi stava per giudicare una istruttoria svolta in quello che di lì a poco sarebbe stato il suo nuovo ufficio, Rossana Rossanda su "il manifesto" scrisse parole di fuoco. Rossanda disse di essere a favore della separazione tra chi indaga e chi giudica. In quell’occasione nessuno disse che dietro c’era Gelli. Del resto nella maggior parte dei paesi democratici le carriere sono separate.

Sull’azione penale obbligatoria il discorso è ancora più semplice: si tratta di abolire ciò che in pratica non è mai esistito. E inoltre con la fine della discrezionalità da parte dei magistrati aumenterebbe la responsabilità da parte della politica. Allargando il discorso a un altro tabù, il ripristino dell’immunità parlamentare, va detto che tornando alla norma pre-Mani pulite il Parlamento volta per volta si  dovrà assumere l’onere di dire se un suo componente si può indagare o meno e spiegare le ragioni.