Il parlamento dà la sveglia al Governo: quello contro i cristiani si chiama “genocidio”

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Il parlamento dà la sveglia al Governo: quello contro i cristiani si chiama “genocidio”

10 Giugno 2016

Sulla scia di uno studio condotto dal Media Research Center si scopre che i principali canali televisivi americani hanno dedicato alla morte del gorilla Harambe (colpito dai guardiani di uno zoo di Cincinnati per proteggere la vita di un bimbo precipitato nella gabbia dell’animale) sei volte il tempo riservato alla notizia delle decapitazioni di cristiani copti eseguite da Isis un anno fa.

Per dire di quanto contano i massacri di cristiani per i media mainstream occidentali. Una quindicina di giorni fa un giovane cristiano in Pakistan è stato costretto a darsi alla fuga perché sulla sua testa pende una cospicua taglia. L’accusa? La solita, blasfemia. Secondo quanto riferisce un’organizzazione che aiuta i cristiani perseguitati in Pakistan, il giovane è stato denunciato per il possesso di un video che riprende un pastore protestante mentre critica alcuni aspetti dell’islam.

Venuti a conoscenza dell’episodio gli imam del villaggio hanno emesso una fatwa, e immediatamente gli empori hanno cessato di vendere cibo a tutti i cristiani del villaggio. Siamo nell’area di Bosaan, il rapporto tra famiglie musulmane e quelle cristiane è di 4000 a 45. Un ricco imprenditore ha, poi, voluto offrire 10 mila dollari per la testa del giovane cristiano. La cosa ha inevitabilmente fomentato l’odio dei musulmani del villaggio, ora intenti in una caccia all’uomo nella brama di bruciarlo vivo davanti alla chiesa. Per punizione.

Di queste ore è, invece, la storia agghiacciante di cui è venuta a conoscenza l’organizzazione americana In Defense of Christians, ripresa da Fox News: una cristiana di Mosul, che non è riuscita a scappare dalla città dopo che Isis l’ha conquistata nel 2014, veniva stuprata ogni sera, fino a nove volte. E perché fosse tutto conforme dal punto di vista dei dettami islamici, ogni violenza veniva preceduta da un matrimonio celebrato rapidamente cui seguiva un altrettanto celere divorzio (forse neanche in Italia si giungerà ad un divorzio così “brevissimo”).

La donna, madre di tre figli, nel filmato realizzato dalla ong, riferisce: “Mi prendevano ogni volta che ne avevano voglia. Ce n’era uno in particolare, Farouk, che era ossessionato da me e diceva: ‘Mi piacciono le donne di Gesù’”. Se ci spostiamo ad Aleppo, sappiamo che i tre quarti degli abitanti sono andati via: scappati in cerca di salvezza o trucidati. Resiste, invece, il 95% del clero, che non intende mollare quel che resta della comunità. Quanto agli altri, sono stati tutti rapiti o uccisi, nessuno è scappato.

Ed è uno di loro, padre Ibrahim, parroco di Aleppo dal 2014, a lanciare un messaggio che schiaffeggia l’interlocutore: “La soluzione dei nostri problemi non verrà dalle mani degli uomini, ma per intervento divino. Tanti pensano di emigrare, noi restiamo per la forza della fede”. Non si contano più gli episodi che vedono padri e madri di famiglia posti davanti alla ‘scelta’ di salvare i propri figli, o consegnarsi pur di non rinnegare la propria fede. Proprio qualche settimana fa, Jan Kubis, l’inviato ONU, ha reso noto il ritrovamento di fosse comuni: sono stati riconosciuti centinaia di cadaveri di cristiani.

Per quanto si stia facendo di tutto per svilire la realtà dei fatti, chi non teme l’onestà c’è. “Sì, gli attacchi e le violenze contro i cristiani nei campi profughi hanno motivazioni religiose”. A sostenerlo è il portavoce di Open Doors, una missione internazionale che dal 1995 si occupa di dare supporto ai cristiani perseguitati nel mondo. Che aggiunge: “i leader politici e quelli della società civile finora non si sono resi conto di quanti casi ci sono, perché probabilmente c’è carenza di informazioni, o forse nessuno è andato a cercarle, quelle informazioni”.

C’è una atroce riluttanza da parte della società, dei governi, della chiesa, nel fare il muso duro e sostenere giudizi negativi sull’islam. Ma ignorare quelli che sono solo fatti a cosa porta?
L’Aiuto alla Chiesa che Soffre in questi giorni sta invitando le comunità internazionali ad avere il coraggio di definire “genocidio” le atrocità commesse: #DefiniamoloGenocidio, così  è stato lanciato l’appello.

Il 4 febbraio scorso il Parlamento europeo ha approvato una Risoluzione sullo sterminio sistematico delle minoranze religiose da parte dell’Isis. Il documento non usa mezzi termini e, esplicitamente, parla di massacri, rapimenti, torture, violenze sessuali, conversioni forzate all’islam. E le persecuzioni commesse con l’intenzione di distruggere un gruppo etnico, razziale o religioso sono, giuridicamente, riconosciute come genocidio. E’ così che l’ACS vorrebbe incentivare il coraggio di riconoscerlo come tale, anche nel solco delle risoluzioni e mozioni approvate nel 2016 dalla Camera dei Rappresentanti degli USA e dalla Camera dei Comuni britannica.

L’Italia, finora silente, ha voluto rispondere all’invito. E proprio negli ultimi giorni è stata presentata una mozione a difesa della libertà religiosa. “E’ quanto mai urgente  un’inversione di rotta rispetto all’immobilismo, o all’accoglienza tiepida che hanno avuto altre iniziative su questo fondamentale tema; si riconosca  come genocidio la carneficina che si sta consumando in Medio Oriente, Siria e Iraq ad opera dell’Isis contro le minoranze religiose  così come è già avvenuto in altri forum internazionali”, così Eugenia Roccella (Idea) che, insieme ai parlamentari Giorgetti, Fiano e Pagano, ha presentato la mozione.

I parlamentari, in questo modo, stanno chiedendo al governo di impegnarsi ad assicurare una più intensa azione diplomatica per superare gli ostacoli di carattere politico che impediscono l’attivazione della giustizia penale internazionale; di avviare al Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale un Tavolo di consultazione permanente teso a fornire il sostegno istituzionale possibile e adeguato e, ovviamente, che venga riconosciuta la qualifica di genocidio.

Non è una battaglia “confessionale”, ma una battaglia di libertà. E richiede energie non indifferenti. Proprio in questo Occidente che, commosso, intristito e sdegnato, ha promosso manifestazioni e petizioni online perché si prendano provvedimenti nei confronti dei genitori del bimbo finito nella gabbia del gorilla abbattuto nello zoo di Cincinnati (400 mila firme raccolte per togliere ai genitori la custodia), o contro chi in Cile ha preferito abbattere i due leoni che stavano uccidendo il ventenne lanciatosi nella loro gabbia con l’intenzione di suicidarsi. Si piange la morte degli animali, ma quella delle vite umane innocenti spezzate?

Mentre l’Occidente si interroga sulla differenza che passa tra la vita di uomo e quella di una bestia, per i cristiani c’è il silenzio. Allora, sì, firmiamo le mozioni, ma organizziamo anche corsi di realtà che rieduchino alla compassione.