Il Parlamento europeo boccia la settimana di lavoro di 65 ore
17 Dicembre 2008
di redazione
Il Parlamento europeo ha respinto in seconda lettura la proposta di portare la settimana di lavoro nell’Ue fino a 65 ore, accogliendo tutti gli emendamenti della commissione lavoro. Un’aspettata e tensa votazione oggi nell’Eurocamera dove doveva essere deciso se introdurre con una direttiva l’ampliamento della settimana lavorativa per tutti i paesi dell’Ue.
Tutti gli emendamenti sono stati approvati con una maggioranza superiore ai 393 voti richiesti. Quello determinante, passato con 421 sì, 273 no e 11 astensioni e accolto da un applauso dagli eurodeputati, stabilisce che l’orario settimanale è di 48 ore e concede tre anni agli Stati Ue per derogarvi arrivando alle 65 ore settimanali, di fatto eliminando la possibilità di ‘opt out’ al termine del periodo transitorio.
Questa facoltà, in ogni caso, resta sottoposta a rigorose condizioni volte a garantire una protezione efficace della salute e della sicurezza del lavoratore. Prima fra tutte, occorre il consenso del lavoratore stesso che, precisano i deputati, è valido non più di sei mesi, rinnovabili, contro un anno sostenuto dal Consiglio. Nessun lavoratore, inoltre, deve subire un danno per il fatto di non essere disposto ad accettare di lavorare più del massimo consentito o per aver revocato la sua disponibilità a farlo.
Il relatore, lo spagnolo Alejandro Cercas (Pse), è stato abbracciato da molti colleghi subito dopo le votazioni sugli emendamenti. "Questa è un trionfo per tutti i gruppi del parlamento europeo ed è l’occasione per il Consiglio di cogliere questa opportunità per rendere la nostra agenda più vicina a quella dei cittadini europei", ha affermato Cercas subito dopo il voto.
La vittoria è del Parlamento contro i governi dei Ventisette paesi e della Commissione europea. La maggioranza degli eurodeputati, socialisti e popolari indistintamente, hanno approvato una legislazione che potrebbe obbligare alcuni paesi – come la Gran Bretagna – ad accorciare la giornata di lavoro.
Gli inglesi, così come i lavoratori di altri 14 membri dell’Ue (Bulgaria, Cipro, Estonia, Malta e Regno Unito consentono l’opt-out in tutti i settori, mentre Repubblica ceca, Francia, Germania, Ungheria, Lussemburgo, Paesi Bassi, Polonia, Slovacchia, Slovenia e Spagna lo consentono solo nei settori in cui vi è un esteso ricorso ai periodi di guardia), attualmente possono lavorare più ore del massimo comune di 48 ore, in ragione di un "opt-out" approvato dalla legislazione nazionale.
In base alla nuova versione emendata tale eccezione dovrà essere elimitata entro un periodo transitorio di tre anni. Solo in seguito a questo periodo sarà possibile riprendere una strada di riconciliazione tra Parlamento e Commissione per cercare di raggiungere un accordo comune. Nel frattempo, però, prevarrà tale limite.
E’ stato bocciato, quindi, il tentativo di derogare il principio delle 48 ore settimanali. Una proposta appoggiata anche dal ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, fin dall’insediamento del nuovo governo Berlusconi.
Secondo il ministro ombra del Pd Cesare Damiano, "Sacconi è stato abbandonato dalla gran parte degli stessi parlamentari italiani del centrodestra che siedono al Parlamento europeo. Questo a dimostrazione dell’incongruenza, in questa grave situazione, di proposte che allungano gli orari di lavoro e detassano gli straordinari. Una salutare retromarcia dalla quale il governo deve trarre insegnamento".