Il partito islamista Ennahdha vince le elezioni in Tunisia
26 Ottobre 2011
Ci sono tre notizie da dare oggi sulla Tunisia. La prima è che ieri sono stati ufficializzati i dati agricoli che dicono che è stato un anno record per la produzione di datteri. La seconda, decisamente più rilevante, è che Ennahdha, il partito islamista di Rashid Ghannouchi, è il vincitore delle prime elezioni tunisine nel dopo Ben Ali. La terza è che la Tunisia esce a testa alta dalle elezioni democratiche appena conclusesi.
I dati ufficiali sono resi pubblici d’ora in ora dall’Istance supérieure indépendante pour les élections, l’Isie, un organismo ad hoc nato nel 2011 per monitorare proprio le elezioni dell’Assemblea costituente tunisina del 23-24 ottobre scorso. Un risultato, quello di Ennahdha, in parte previsto da molti osservatori, ma di cui si era forse sottostimata la potenziale ampiezza. Il partito islamista tunisino ha certamente raccolto più del 40% dei suffragi, e ad ora, può contare con certezza su 72 dei 217 seggi messi in palio alla Costituente.
Diventato primo partito nazionale e ormai il pivot della politica nazionale tunisina, Ennahdha sarà chiamata alla grande responsabilità di scrivere la costituzione tunisina, assieme agli altri partiti in Assemblea, e a esprimere un nuovo governo in attesa che la costituzione venga approvata. Ieri alla sede centrale del partito, nel quartiere centrale di Montplaisir a Tunisi, i dirigenti e i militanti del partito hanno aspettato fino a tarda sera per ottenere la ‘consacrazione’ dall’Isie, benché avessero divulgato le stime di partito nella prima serata, proclamandosi vincitori con il 40% e più di consensi nel paese. La vittoria di Ennahdha – il partito islamista ‘moderato’ come lo ha definito il Wall Street journal – apre tutta una serie di interrogativi sul cammino politico tunisino, e crea molti interrogativi sul futuro di Libia ed Egitto, due tra i paesi limitrofi alla Tunisia, coinvolti anch’essi nei rovesciamenti di regime sulla scia delle rivolte arabe.
Molti ormai temono che l’ascesa islamista tunisina possa ripetersi anche a Tripoli e a Il Cairo, in uno strano effetto domino regionale. Insomma, si imporranno i ‘fratelli musulmani’ quando – e se – si svolgeranno le elezioni in Egitto? E in Libia? Ancora ieri il presidente reggente Mustafa Abdel Jalil, ha ribadito di voler dare alla Libia leggi espressione della sharia, la legge coranica, impegnandosi alla cancellazione di tutte le altre.
Da parte sua, la leadership tunisina di Ennahdha rifiuta la stigmatizzazione che va sotto la formula del ‘pericolo islamista’. Intisar Ghannouchi, una delle portavoce del partito e figlia di Rachid Ghannouchi, il settantenne fondatore del movimento il cui nome significa ‘Rinascita’, ha caratterizzato il partito islamista come non dissimile da altri fenomeni partitici europei: “Non siamo un partito religioso. … Siamo un partito politico, che agisce in una cornice democratica, non dissimile ai Cristiani Democratici in Europa”.
Di Recep Erdogan e del suo partito ‘Giustizia e Sviluppo’, si diceva la stessa cosa (Marco Pannella docet) e sappiamo come sta andando. Proprio alla Turchia di Erdogan, Rachid Ghannouchi ha dichiarato di ispirarsi, in un tentativo più che esplicito di rassicurare quanti all’estero ma soprattutto in Tunisia, temono che l’acquis laïc possa essere compromesso.
In un editoriale apparso due giorni fa sul sito del quotidiano francofono tunisino, Le Temps, Raouf Khalzi invitava lo sceicco Rachid Ghannouchi ad andarsi a “rileggere la costituzione turca”, facendo un neanche tanto velato riferimento alle blindature laiche di estrazione ataturkiane e le riforme scardinanti appena messe in campo dal referendum costituzionale del settembre 2010, vinto dal partito di Erdogan.
Ennahdha ha contato durante queste elezioni di sostegni economici significativi. L’adagio che vuole che “la politica non si faccia senza soldi”, è vero anche in Tunisia. Non è chiaro dove abbiano preso i denari di cui dispongono, e di quanti possano disporre effttivamente. Fonti de l’Occidentale suggeriscono che Arabia Saudita e Qatar siano con le mani in pasta. Se confermato, non stupirebbe affatto. Maggiori fondi non dicono però tutto della vittoria di Ennahdha.
Il partito infatti ha potuto contare su una migliore organizzazione, e soprattutto su un messaggio politico incastonato nel ruolo del perseguitato dal regime di Ben Ali. Quanto al sentimento ‘laico’ di Ennahdha, nelle sue “365 proposte” – il programma messo in campo dal partito islamista a queste tornata elettorale – il riferimento all’imposizione della sharia è minimo, benché certe posture secolarizzate da parte del partito islamista appaiano inficiate da quelle continuità già esistenti tra Ennahdha e movimenti salafiti tunisini.
Quel che è certo, a questo punto, è che Ennahdha dovrà dimostrare di essere all’altezza delle aspettative, rassicurando se può gli scettici dentro e fuori dal paese, facendo ricorso, anche ad alleanze ‘riparatrici’. Nei giorni precedenti al voto, contatti tra la leadership di Ennahdha e quella di Ettakatol, un partito di sinistra tunisino – e che a quanto pare non è affatto andato male a quanto dicono gli ultimi dati parziali – si sono ritrovati per discutere di una possibile alleanza post-elettorale.
Indiscrezioni confermate però dall’intervista rilasciata al giornale belga ‘Le Soir’ dal leader del partito Ettakatol, Mustafa Ben Jaafar, dottore e già ministro della sanità tunisino, ha confermato apertamente i pourparler tra i due partiti e si è lanciato in parole rassicuranti sul destino di Ennahdha: “Smettiamola di farci paura da soli. Non ve n’è ragione. Ennahdha fa pienamente parte del paesaggio politico tunisino.
Bisogna integrarlo nel gioco politico, non escluderlo”. Se le sorti di Ettakatol sono in direzione Ennahdha, quelle del PDP, il Partito Democratico Progressista tunisino sembra posizionarsi all’opposizione. I leader del PDP, Maya Jribi e Ahmed Chebbi, i veri sconfitti delle elezioni, hanno incassato la sconfitta, ‘augurando’ a Ennahdha di riuscire a mettere in pratica le generosissime promesse fatte in materia economia dal partito islamista.
Proprio le promesse fatte dal movimento islamista con le sue “365 proposte”, potrebbero dimostrarsi un boomerang per il partito di Rachid Ghannouchi. In sintesi, gli islamisti hanno promesso ai tunisini un tasso di crescita medio al 7 per cento, nel periodo 2012-2016; un reddito pro capite per ciascun tunisino a 10.000 dinari annui (poco meno di 5.000 euro) entro il 2016, contro i 6.300 di oggi (circa 3.200 euro); la creazione di 590 mila nuovi posti di lavoro nel prossimo quinquennio per portare il tasso di disoccupazione all’8,5 per cento contro il 14,4 per cento attuale; tasso di investimenti del 31 per cento sul Pil, mentre oggi è del 25 per cento; ricondurre il tasso di inflazione al 3 per cento entro il 2016. Vere promesse.
Quanto al Congresso per la Repubblica – che a dati parziali sembra a ver raccolto un consistente 16% – guidato da Morcef Marzouki, il professore universitario in Francia prima di tornare in Tunisia con la cacciata di Ben Ali, sembra propendere anch’esso per un’alleanza con Ennahdha.
Rischia invece di diventare un caso la vicenda di Petition Polulaire (el Arhida), il partito che ha guadagnato, al momento, cioè a scrutinio non ancora ultimato, già 18 seggi e che è a rischio cancellazione. Il partito è, infatti, oggetto di una istruttoria da parte dell’Alta istanza per le elezioni per ripetute, nonostanti i molti ammonimenti, violazioni del codice elettorale. Petition Polulaire è stato fondato da Hachmi El Hamdi, che ha condotto la sua campagna attraverso un canale satellitare che trasmette da Londra.
I suoi avversari politici gli muovono l’accusa – da lui sempre respinta – di essere espressione dell’Rcd, il partito che fu di Ben Ali e che è stato sciolto con sentenza della magistratura tunisina. Se l’istruttoria dovesse, come tutto lascia pensare, concludersi con la bocciatura di Petition Polulaire, i suoi seggi dovrebbero essere ridistribuiti tra i partiti delle circoscrizioni dove essi sono stati conquistati e, per il gioco delle percentuali, a beneficiarne sarebbe essenzialmente Ennahdha che vedrebbe aumentare, in modo consistente, il peso nell’Assemblea.
Quel che è certo è che d’ora in avanti la leadership d’Ennahdha dovrà dimostrare che le malevoli voci sul proprio conto, sono solo pregiudizi. On verra!