Il Pd evita la resa dei conti ma in Puglia trema per l’asse con Casini
26 Gennaio 2010
Il “laboratorio Puglia” crolla sotto i colpi delle primarie, il ciclone Vendola si abbatte sul Partito Democratico, Massimo D’Alema ingoia una sconfitta amarissima e Pier Ferdinando Casini decide di marciare da solo, appoggiando la candidatura di Adriana Poli Bortone.
E’ una cronaca fitta, confusa e dai molti significati simbolici quella che racconta della competizione per la presidenza della Regione Puglia. Una partita dura in cui gli schemi disegnati dagli allenatori sulle lavagne della teoria politica vengono scompaginati dai protagonisti che fiutano il vento e seguono gli umori popolari. Un match in cui il territorio si ribella alle decisioni prese dal Palazzo e dice no alle liturgie da apparato, bocciando in realtà non solo le scelte dettate da D’Alema ma lo stesso piano strategico del Pd e, in ultima analisi, il suo progetto fondante.
Di certo dopo la sconfessione che il popolo pugliese ha inflitto al candidato ufficiale Francesco Boccia i vertici del partito di Via del Nazareno vivono ore complicate. Tant’è che nella riunione della stato maggiore degli eredi dei Ds, convocata per discutere della debacle, le polveri della polemica fanno fatica ad accendersi e la rabbia sembra lasciare il posto alla rassegnazione, complice forse anche l’assenza di Massimo D’Alema, Enrico Letta e Walter Veltroni. “La nostra è stata una coerenza rischiosa” dice Pierluigi Bersani, difendendo la scelta di andare a elezioni primarie in Puglia. “Abbiamo messo in campo un progetto coerente con la strategia di avvicinamento tra forze di opposizione. Ora tutto il Pd è impegnato a sostenere Vendola”. Il segretario del Pd apre anche una riflessione sulle primarie e sul tratto di “contraddizione” che a volte si riscontra. “Noi”, ragiona, “proponiamo primarie di coalizione ma i nostri alleati non le accettano”. Quanto all’Udc, il segretario Pd definisce “strategica” la scelta di un’alleanza con il partito centrista, di cui però sottolinea le contraddizioni là dove intende allearsi con forze che dialogano con la Lega.
Una fotografia e un’analisi che certo non apre un fronte di autocritica rispetto alle scelte compiute e non contribuisce a sedare le preoccupazioni di chi teme che le Regionali presenteranno all’attuale leadership un conto salatissimo concretizzando il rischio di un “partito appenninico”, cioè sostanzialmente confinato alle regioni rosse. Se Atene piange, Sparta non ride. E così anche per l’Udc il fallimento del modello del nuovo centrosinistra pugliese è un colpo duro da incassare. Pier Ferdinando Casini, però, si tira fuori dall’angolo scegliendo l’avventura in solitaria e annuncia che non appoggerà Nichi Vendola, non farà accordi con il Pdl ma si presenterà con un proprio candidato, l’ex ministro e sindaco di Lecce, Adriana Poli Bortone. Il tutto accompagnato da una battuta: “Ora sarete tutti contenti visto che vi piace tanto la politica dei due forni, ora i forni diventano tre. Voglio ringraziare Boccia e D’Alema che si sono assunti la responsabilità di portare avanti una linea minoritaria rispetto al populismo oggi imperante”.
Alla fine, insomma, dopo tanto lavorio alla ricerca di candidature innovative il confronto su chi guiderà la Puglia per i prossimi cinque anni avverrà all’insegna della linearità: da un lato il presidente uscente, dall’altro per il Pdl il capo dell’opposizione nel consiglio regionale, Rocco Palese, per l’Udc un esponente conosciuta e ben radicata sul territorio.
Non c’è dubbio, però, che nelle carni del Pd resterà la ferita di un cammino di avvicinamento in cui si è tentato di realizzare una sorta di blitz centralistico e di dribblare le primarie, nonostante quest’ultime siano espressamente previste dallo Statuto. Un’anomalia rafforzata dalla ferma volontà di eliminare l’incumbent, il detentore della carica, nel nome di prove tecniche di alleanze con l’Udc mai decise nel congresso, oltretutto riproponendo come alternativa a Vendola chi aveva già perso proprio con lui cinque anni fa.
E se è vero che il regista è stato individuato quasi esclusivamente in Massimo D’Alema è evidente che, trascorsi tre mesi, novanta giorni esatti, dalla vittoria di Pierluigi Bersani alle primarie del Pd, non possono non avere una ricaduta negativa anche sul segretario. In ogni caso per la resa dei conti bisognerà attendere almeno fino al 29 marzo. Nessuno, infatti, vuole intestarsi ora una comunicazione da cupio dissolvi o vuole anteporre destini e interessi individuali a quelli collettivi. Il segretario, poi, non vuole diventare ostaggio della vicenda pugliese e dice con chiarezza che “non si chiuderà nella riserva indiana” e non rinuncerà a un dialogo di prospettiva con l’Udc.
Per il momento, però, lo strappo con il partito di Casini sul nome di Vendola impone un’operazione di verifica e assestamento della giovani giunte Pd-Udc che sono fiorite in Puglia e rischiano ora di patire il contraccolpo. Così come deve essere depotenziata ogni polemica che possa incrinare l’intesa democratico-centrista già varata in Piemonte, Liguria, Marche e Basilicata. Passa, infatti, da questo accordo la possibilità di trasformare una disfatta per 9 a 4 in un risultato dignitoso, arrivando a strappare quella sconfitta per 7 a 6 sul piano nazionale che sarebbe una panacea per i dolori del Partito Democratico e un salvacondotto per la sopravvivenza politica di Pierluigi Bersani.