Il Pd fiorentino nel caos in vista del dopo-Domenici

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Il Pd fiorentino nel caos in vista del dopo-Domenici

03 Febbraio 2009

Le coordinate (temporali e politiche) del “frullatore-primarie” a Firenze stanno nelle esternazioni scandite, in tre momenti diversi, da altrettanti democrat “di peso”. Con in testa il segretario Veltroni. Già a settembre bollò la vicenda in riva d’Arno in modo impietoso e parlando di primarie a Bologna ammonì i suoi: “Evitare come la peste il caso Firenze”. Tre mesi dopo, a sbottare fu Giuseppe Fioroni: “Va scongiurato il ripetersi di tafferugli come a Firenze”. Tre giorni fa il toscano Enrico Letta ha parlato di “vicenda gestita male” al punto che è “meglio concluderla il prima possibile”. In mezzo ci sono quattro mesi incredibili se si pensa che siamo in Toscana, in una delle ultime ma solidissime “roccaforti rosse” dove ancora esiste e resiste l’Unione voluta a tutti i costi dal governatore toscano Claudio Martini anche quando il progetto Prodi fallì clamorosamente a Roma portandosi dietro due anni di governo da dimenticare. E ancor più incredibile nella Firenze dove il Pd alle politiche 2008 ha sfiorato il 49% dei consensi.

Invece è tutto drammaticamente vero. La competizione tra candidati per il post-Domenici ha finito per dilaniare il partito costretto a ripiegare sulle primarie di coalizione dopo aver costatato che quelle interne rivendicate nel nome dell’autosufficienza sono tristemente franate sotto il peso di quella che è diventata una guerra per bande. E il risultato è che al voto del 15 febbraio si presenteranno cinque candidati: quattro del Pd e uno de La Sinistra.

Con l’ultima new entry sotto le insegne democratiche: Michele Ventura, dalemiano di ferro (tra i promotori della dalemiana “Red”), ministro ombra del governo ombra con delega all’attuazione del programma del governo ombra (sic!). Ex Pci doc, classe 1943, alla quarta legislatura da parlamentare, è stato vicesindaco di Firenze dall’85 al ’90, quindi consigliere regionale del Pds, prima del “salto” romano. I maligni nel suo partito dicono che su di lui qualcuno ha lanciato “l’anatema Castello”. Il riferimento corre a quella sera del 1989 quando da Roma il leader del Pci Achille Occhetto telefonò al segretario fiorentino del partito per fermare l’operazione Castello (“Sento puzza di bruciato”, sentenziò). L’area a quel tempo era di proprietà Fiat-Fondiaria e il giorno dopo in consiglio comunale era previsto il voto su una variante urbanistica. A quel dicktat, l’allora vicesindaco Ventura, seppure favorevole all’operazione Castello, obbedì senza fiatare. Gli costò caro, perchè lo stop di Occhetto provocò l’azzeramento di un’intera classe dirigente, compreso lui. Che oggi, dice che quell’ordine di Occhetto fu “un errore”. Insomma, vent’anni dopo, seppure in tutt’altra dimensione, con “l’operazione Castello” ci dovrà fare ancora i conti, sia in campagna elettorale se vincerà le primarie, sia da sindaco se i fiorentini lo sceglieranno. Politico di lungo corso e di vecchia scuola comunista, Ventura entra adesso nell’agone delle primarie con un profilo “morbido”, orientando il suo impegno (pare destinato ad una sola legislatura in caso di vittoria) alla “riunificazione dei riformisti”. I suoi detrattori lo hanno già ribattezzato “il candidato felpato”, uno che “traccheggia da quarant’anni”, ironizzando (secondo la migliore tradizione dissacrante dei fiorentini) sulla sua capacità oratoria, sul suo volare alto senza dire granchè. Nelle file democratiche si dice sia il candidato che uscirà vincitore dalle urne delle primarie e c’è perfino chi lo considera “il candidato del partito”: su di lui convergono oltre all’ala dalemiana, una robusta parte degli ex popolari (con in testa la folta schiera dei mariniani) e  di ex ds delusi dal veltronismo in salsa gigliata. Compreso l’assessore-sceriffo Graziano Cioni, estromesso dalle primarie di partito perchè indagato nella vicenda urbanistica di Castello al centro di un’inchiesta della procura, e prima dell’avvento di Ventura pronto a correre con una sua lista sfidando il partito. Ma la lettura che corre tra gli addetti ai lavori è che in realtà l”operazione Ventura” sia finalizzata a sbarrare la strada delle primarie ad un altro candidato di punta, il parlamentare ex Dl Lapo Pistelli gradito a Veltroni e finora dato per favorito in città. In corsa ci sono anche il presidente della Provincia Matteo Renzi, giovane rampante per anni “delfino” di Rutelli e la “pasionaria” ex Ds Daniela Lastri (assessore). Quest’ultima ha risposto picche al tentativo dei venturiani di farle ritirare la candidatura, magari in cambio della poltrona di vicesindaco. Della partita è anche il presidente del consiglio comunale Eros Cruccolini, straconvinto pacifista, colonna della galassia movimentista e no global, esponente di punta de La Sinistra.

C’è tutto questo nel pentolone delle primarie, anche se c’è chi assicura che “se ne vedranno ancora delle belle” in riva d’Arno. Un quadro alquanto deprimente che, indipendentemente dall’esito del voto del 15 febbraio, certifica il fallimento di una classe politica che ha perso la bussola, lontana anni luce non solo dai problemi di una città ormai in declino, ma pure dalle legittime aspettative del proprio elettorato.
In questi mesi si è cercato di contenere la tracimazione del caso primarie tirando su il fragilissimo argine delle regole, scritte poi stracciate e riscritte mille volte dopo assemblee-fiume tra clamorose assenze dei militanti chiamati al voto, colpi bassi e strategie affossa-tutto. E non sono valsi nemmeno i richiami romani di Veltroni (due faccia a faccia coi candidati e i vertici del partito fiorentino puntualmente disattesi) che, alla fine, ha dovuto scomodare il vicepresidente del Senato Vannino Chiti (ex numero uno della Regione e uomo forte del Pd toscano) calato dalla Capitale a fare da “garante”.
In tutti questi mesi che in più d’uno nei ranghi democratici hanno definito “di follia collettiva”, pesa come un macigno la vicenda urbanistica di Castello (area nella zona nord della città di proprietà di un gruppo imprenditoriale lombardo, destinata ad accogliere edifici residenziali, commerciali, le nuove sedi di Regione e Provincia e pure l’ipotesi del nuovo stadio di calcio), sulla quale la procura vuole vederci chiaro. Vicenda che ha portato alle dimissioni dell’assessore Gianni Biagi (urbanistica) indagato insieme al collega di giunta Cioni e provocato una serie di contraccolpi politici nel centrosinistra che governa Palazzo Vecchio (il Pdci ha ritirato il suo assessore Coggiola che, guarda caso, pochi giorni fa è stato nominato consulente del Comune fino al voto amministrativo, creando imbarazzi nel suo partito; mentre La Sinistra minaccia di non votare in Consiglio comunale il piano strutturale che, invece, il sindaco vorrebbe consegnare alla città dopo averlo propagandato come fiore all’occhiello del suo secondo mandato amministrativo). Vicende politiche e amministrative che in tutto questo pazzesco rompicapo si intrecciano e che col voto di giugno all’orizzonte, amplificano irritazioni e veleni all’ombra del Biancone. Sia dentro il partito che a Palazzo Vecchio dove Domenici, che guarda con interesse ad una sua candidatura alle europee, non ci sta a lasciare le consegne in un clima da “tutti contro tutti”, rischiando così di appannare se non di compromettere la propria immagine politica, l’operato di amministratore e sulla ribalta nazionale il profilo di presidente dell’associazione dei Comuni italiani. E’ anche per questo che di recente ha lanciato strali e dispensato fendenti all’indirizzo dei vertici locali del suo partito. Lo ha fatto con dichiarazioni al fiele sul Pd fiorentino definito “un partito che non c’è” per i troppi candidati interni in corsa, per il mancato rispetto delle indicazioni veltroniane. Al punto che proprio a Veltroni ne aveva chiesto il commissariamento; al punto da minacciare di non ritirare la tessera del Pd (poi invece presa). Domenici non ha risparmiato stoccate neppure al leader regionale dei democratici Andrea Manciulli, reo a suo dire, di “usare schemi legati al passato”.

Il peso di una situazione che forse è sfuggita di mano un po’ a tutti, lo sente anche lo stesso Manciulli, preoccupato per la piega che queste primarie (non gestite  cum granu salis dal livello fiorentino) hanno preso, specie a quattro mesi dalle amministrative e con tutto il caos che, finora, ha provocato disorientamento e maldipancia tra gli elettori. E così, pochi giorni fa, di fronte alle critiche dei militanti riuniti all’assemblea del circolo di Santa Croce, Manciulli ha criticato un partito troppo condizionato dai comitati elettorali e puntato l’indice su primarie “in cui non si percepisce la sintesi ma la competizione divaricante”, con candidati impegnati a rivendicare l’esigenza di una discontinuità dall’amministrazione Domenici. Insomma un partito diviso tra correnti e comitati elettorali, incapace di parlare alla gente, rispetto al quale il segretario regionale non nasconde tutta la sua delusione. Di qui il monito: “Se questo è il modello di partito che si vuole, non è il partito che io dirigerei”. Il Pd, ha aggiunto, si deve risollevare, “guardare al futuro” e recuperare “il rapporto, la capacità di rappresentare le persone”. E che le cose per il Pd di Veltroni non vadano bene neppure nel “fortino rosso” della Toscana lo si evince dall’andamento di una campagna per il tesseramento che “non sta andando bene” come ha ammesso Manciulli rispondendo al j’accuse della base sulla mancanza di sedi nel territorio, di occasioni di confronto e di unità nel partito. Difficoltà che il quarantenne segretario toscano conosce bene e ha rimarcato sottolineando anche i ritardi nel trasferimento di risorse da Roma: “Siamo stati costretti a pagare le bollette a 68 sezioni”. A quell’assemblea c’era anche il sindaco Domenici che non ci ha girato intorno quando ha detto di considerare “la situazione del partito così difficile, per non dire grave”. Arrivando addirittura a invocare il ricorso a una terapia “come l’elettroshock per curarlo”.