Il Pd ribolle e Franceschini chiede una tregua pre-ballottaggi
09 Giugno 2009
Il Partito Democratico esce dalle elezioni con le vesti stracciate e con la cassaforte del voto decisamente più leggera. Ma di fronte alla debacle il partito di Dario Franceschini sceglie la via del negazionismo ad oltranza, tentando di trasformare la stentata sopravvivenza nell’inizio di una nuova vita.
In realtà la strategia del sorriso e della suggestione appare piena di crepe e di scricchiolii e non sembra destinata a resistere ad una analisi a freddo del risultato e all’ondata di malcontento interno che di ora in ora inizia ad acquistare vigore. D’altra parte dire, all’indomani della perdita secca di sette punti percentuali alle Europee e di quindici province consegnate al centrodestra già al primo turno, che “il governo è in minoranza nel paese" e che “non c’è stata l’avanzata invincibile” non può che accendere malumori e perplessità sulla gestione della sconfitta.
Il mito della vittoria fantasma rischia di accendere le proteste – come già sta avvenendo – di coloro che non ci stanno a trasformare il Pd in una ridotta parlamentare che gioca per sopravvivere e non per rappresentare un’alternativa al governo in carica. Il problema, però, è definire una strategia, una qualunque, in vista del congresso. Appare evidente, infatti, che il voto concesso dagli italiani ai partiti dell’opposizione si disperde e si distribuisce in mille rivoli, impossibili da ricondurre in unità. Immaginare una realistica politica delle alleanze, insomma, appare come un’utopia, un’impresa disperata perché mettere insieme Pier Ferdinando Casini, Antonio Di Pietro e le varie liste di sinistra non sembra avere alcuna agibilità politica.
Di fronte a questo scenario sarà difficile anche tenere salda la cosiddetta “tregua-congresso”, il periodo di pace coatta che Franceschini chiede a tutte le componenti fino all’esaurimento dei ballottaggi. Pierluigi Bersani, ad esempio, non si tira indietro e commenta in maniera decisamente poco entusiasta il risultato del partito ("Siamo in vita, ma così non va bene") e descrive la propria idea di Pd invitando ad andare “oltre l’esperienza socialdemocratica”. In pratica un messaggio inviato ai non diessini del Pd, agli ex Ppi che Bersani deve tentare di portare dalla propria parte e che guardano a lui con una certa diffidenza.
Il derby interno Ds-Margherita, infatti, continua a giocarsi, seppure sottotraccia. Francesco Rutelli, ad esempio, sarebbe piuttosto soddisfatto della prestazione dei candidati “bianchi” nella gara delle preferenze: sei su ventuno degli eletti sono infatti di provenienza Dl, mentre undici sono gli ex Ds e quattro i candidati non ascrivibili a nessuno dei due partiti. Anche il risultato del partito nelle varie regioni si presta ad interpretazioni contrastanti: popolari e veltroniani sottolineano che tra le regioni dove il Pd ha ottenuto i peggiori risultati ci sono l’Umbria, governata dalla dalemiana Lorenzetti, e la Puglia, storicamente vicina all’ex ministro degli Esteri. I dalemiani, al contrario, si attribuiscono 9 degli eletti del Pd a Strasburgo, contando tra questi il bassoliniano Cozzolino, Luigi Berlinguer, e Antonio Panzeri. Come al solito, insomma, i punti di vista sono diversi e il gioco dei vincitori e dei perdenti non produce mai un risultato netto a favore dell’uno o dell’altro.
Resta poi da capire se davvero Dario Franceschini, in vista del congresso d’autunno, si ritirerà in buon ordine o deciderà di giocarsi le proprie chances. RichiestE di restare sono arrivate sia da Cacciari, che Chiamparino e per lui c’è anche l’appoggio di Beppe Fioroni e quindi di Franco Marini. E qualcuno attribuisce anche a Piero Fassino la volontà di appoggiare l’attuale segretario. Così come non è escluso una sorta di patto D’Alema-Franceschini che potrebbe portare il primo alla presidenza del partito. Per il momento, comunque, le grandi manovre restano ancora sotto traccia. Bisognerà attendere ancora due settimane prima che i candidati e le alleanze vengano davvero allo scoperto e la bagarre pre-congressuale prenda davvero corpo.