Il Pd, schiacciato tra radicali e ldv, è costretto alla piazza
10 Marzo 2010
La fotografia è un po’ surreale ma in fondo tutt’altro che inconsueta. Da una parte c’è il Partito Democratico preoccupato per la manifestazione di sabato, convocazione di piazza già di per sé degna del teatro dell’assurdo visto che a urlare la propria indignazione non è chi viene escluso dalle urne ma chi beneficia della gentile estromissione. Dall’altra c’è il “cartiere”, Antonio Di Pietro, a cui gli alleati chiedono un po’ imbarazzati di venire sì ma di non farsi notare troppo, di stare lontano dal palco ed esercitare la virtù della cautela e della prudenza, snaturando se stesso e diventando per un giorno un conversatore cortese e moderato.
Un dialogo tra sordi, ovviamente, che finisce nell’unico modo possibile, con l’ex pm che chiude subito la porta e dice chiaro e tondo che lui sul palco di Piazza del Popolo sabato parlerà eccome. “Io certamente interverrò, non so gli altri leader ma la manifestazione serve agli italiani per informarli dei rischi della deriva antidemocratica e io ci sarò”. Una prova di forza accompagnata dalla promessa che nel suo discorso non toccherà il Quirinale e riserverà i suoi strali al solo Silvio Berlusconi. Un impegno che non tranquillizza molto gli altri organizzatori che temono che gli oratori e la piazza possano alzare i toni contro il Colle, oppure che qualche esponente politico si faccia prendere la mano e lanci il sasso come ha fatto ieri Luigi De Magistris che ha accusato il Capo dello Stato nientemeno di “avallare il piano piduista di Berlusconi”.
Ma c’è anche un altro rischio che si sta valutando in queste ore: quello che a piazza del Popolo vengano fischiati gli esponenti del Partito Democratico così come è avvenuto a Piazza del Pantheon con Massimo D’Alema. E così, per evitare il peggio, si fa strada l’idea di far parlare soltanto testimonial esterni alla politica, esponenti della società civile, magari uno o più costituzionalisti, in modo da dare più facilmente seguito alla moratoria delle offese a Napolitano. Oppure per il partito di Via del Nazareno di consegnare il microfono alla sola Rosy Bindi, gradita anche al Popolo Viola.
Una manifestazione, insomma, con oratori certificati da un curriculum di antiberlusconismo a prova di piazza e che rischia di produrre, nel processo di selezione, ulteriore impaccio e imbarazzo. Tanto che Paolo Ferrero, portavoce nazionale della Federazione della Sinistra, si offre di dare una mano e propone che parlino “Scalfaro, un lavoratore e un esponente del popolo viola e facciamola finita con questa indegna e irresponsabile gazzarra”.
Il punto vero, però, è che il Pd non ha la forza di tornare alla politica, si aggrappa alla strategia dei ricorsi e della legalità tradita (anche se non si capisce bene da chi visto che il famoso decreto oltre ad essere rimasto inapplicato è stato anche firmato dal Capo dello Stato) e, come al solito, si fa dettare l’agenda dallo scomodo alleato dipietrista. Una condizione di subalternità a cui neppure i Radicali hanno la forza di sottrarsi, seppur tentando di giustificare la loro presenza più nel nome della protesta contro il farraginoso sistema di presentazione delle firme piuttosto che come uno sbertucciamento di chi è rimasto impigliato nella rete di questo sistema.
Alla fine la convinzione diffusa è che l’ennesima manifestazione “a rimorchio” del vero leader dell’opposizione, Antonio Di Pietro, risulterà per il Pd un boomerang e un pasticcio politico, una sintesi di tutte le debolezze declinate in questi mesi di confusa opposizione. Non a caso Angelo Panebianco arriva a definire il Pd “un partito prigioniero, debole ed etero-diretto” e quella di sabato come una manifestazione trappola che ancora una volta darà la misura di un partito che fa fatica a rivendicare il proprio senso delle istituzioni e soprattutto appare incapace di scegliere da solo la propria agenda.
Ci sarebbe poi il nodo della richiesta avanzata da Marco Pannella di un rinvio delle elezioni. Ma la risposta di Pier Luigi Bersani a un possibile rinvio del voto resta la stessa: un no secco. Il Pd non vuole rinunciare alla “strategia dell’avvoltoio” e perdere l’occasione del possibile calo di consensi nel centrodestra collegato all’assenza forzata della lista del Pdl e nemmeno dare l’impressione di accordarsi con Berlusconi dopo il caos dei ricorsi. “Noi abbiamo ottime ragioni, il pasticcio è tutto nel loro campo, andiamo a votare e vinciamo”, è l’invito rivolto ai Radicali dal leader Pd. Una linea che non tiene conto dei possibili strascichi post-voto ma che appare comunque come quella più gradita dalla piazza. E questo, non c’è bisogno di dirlo, basta al Pd per perseguirla fino in fondo.