Il Pdl all’attacco di Tremonti, il Prof. e Bossi all’attacco di Berlusconi

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Il Pdl all’attacco di Tremonti, il Prof. e Bossi all’attacco di Berlusconi

05 Ottobre 2011

Manovra a tenaglia: gli anti-tremontiani del Pdl su Tremonti, Tremonti e Bossi sul Cav. Oggi vertice di maggioranza su pacchetto sviluppo e Bankitalia; dicono sia quello decisivo e c’è da augurarselo perché se è vero che ogni giorno ha la sua pena, troppe pene per troppi giorni rischiano di far saltare il banco, come Giuliano Ferrara avverte nel post-it da Palazzo Grazioli.  

 La pena di ieri è doppia. Da un lato l’aut aut di un esponente del governo a un altro; dall’altro quello del Senatur al premier su Bankitalia. Guido Crosetto non ha digerito le parole, poi precisate, del superministro sull’andamento dello spread spagnolo ma ancora di più, quelle sul fatto che le misure per la crescita in questo momento non servirebbero più di tanto perché ciò che conta è il pareggio di bilancio e quindi la politica del rigore. Passaggio nel quale da più parti, si è letta una distanza siderale dalla linea del premier che, invece, sulle misure per la crescita ci punta e molto.

Il sottosegretario alla Difesa che già in piena estate aveva definito la manovra tremontiana (versione numero uno) un provvedimento “da psicanalista” aprendo così le cateratte di molti esponenti pidiellini irritati dal ‘modello Tremonti’ (confronto zero e tagli lineari) ieri ci ha messo il carico da novanta sopra, commentando alla “Zanzara” ciò che il titolare di via XX Settembre aveva detto da Bruxelles: “Tremonti è un problema. Si dimetta se pensa che questo governo è un ostacolo alla crescita dell’Italia. Se fossi Berlusconi sarei furibondo. Se uno dice una cosa è perché la pensa. Il problema è lui, perchè non presenta proposte e non produce risultati. Se in un’azienda una persona non produce nessun risultato, viene mandato a casa”.

Al di là del parallelismo aziendale che mal si attaglia alle dinamiche della politica, il detto di Crosetto raccoglie, rilancia e fa deflagrare il detto di molti parlamentari della maggioranza (pidiellini, leghisti e responsabili). E’ come se avesse rotto un tabù, quello dell’intangibilità del ministro più ‘potente’ dell’esecutivo che ha in mano le deleghe di Tesoro, Finanze e Bilancio. Ma l’effetto è pericoloso perché non solo accresce il livello di tensione, ma soprattutto dentro il Pdl può sedimentare (se non lo sta già facendo) una componente strutturata che sui temi economici è sempre più in rotta di collisione con la linea tremontiana e che in parlamento può esercitare un appeal trasversale.

Se nel mirino ci sono il Prof. di Sondrio e le sue dimissioni, tra i frondisti dei quali Crosetto è il referente si fa notare che in realtà il messaggio è indirizzato al Cav. affinchè “faccia il premier, riprenda in mano la situazione ed eserciti le sue funzioni decisionali fino in fondo” sul pacchetto sviluppo e sul nodo Bankitalia. Un’iniziativa ‘non ispirata’ la definiscono i frondisti perché “Berlusconi non parla per interposto Crosetto”: è la linea per stroncare sul nascere qualsiasi dietrologia sul fatto che il premier, sotto sotto, approvi la marea anti-tremontiana. Al di là dei tatticismi, la questione va risolta perché ogni giorno che passa sembra sempre più evidente che nella maggioranza si stiano fronteggiando due politiche economiche.   

A tarda sera Crosetto tenta di indorare la pillola scrivendo in una nota che il suo ragionamento è stato eccessivamente asciugato, tagliato, dai conduttori del programma di Radio 24: “Ho semplicemente detto che se io ritenessi negativo il governo per il paese mi dimetterei. E quindi che se Tremonti la pensa così dovrebbe dimettersi. Se non lo fa vuol dire che non lo pensa e che si è sbagliato. Cosa che può succedere a tutti e che a lui negli ultimi tempi è successo spesso”. Un modo un po’ più soft che tuttavia non cambia la sostanza delle cose e che cade alla vigilia del faccia a faccia Tremonti-Berlusconi oggi a Palazzo Grazioli, prima del vertice di maggioranza e dopochè i contatti tra i due nei giorni scorsi non hanno prodotto granchè sui temi in agenda.  

Se oggi non sarà il Tremonti-day è però pur vero che a questo punto i due dovrebbero chiarirsi una volta per tutte e soprattutto agire in un’unica direzione. E questo vale anche per Bossi che in asse col superministro sta portando avanti una battaglia che pare  più politica (e personale) su Bankitalia. Ieri il ministro per la Semplificazione ha alzato di nuovo i toni: “Berlusconi si decida a scegliere Grilli, il milanese”. Un’entrata a gamba tesa in una vicenda delicata che si sta avvitando su se stessa, anziché avviarsi a una soluzione condivisa. E che mette in gioco equilibri e ruoli altrettanto delicati che Berlusconi non vuole pregiudicare: in primis il rapporto col capo dello Stato che deve firmare la nomina del successore di Draghi su indicazione di Palazzo Chigi e sentito il parere del Consiglio superiore di Bankitalia, come la prassi impone.

Sul nome di Fabrizio Saccomanni – che per il premier resta in pole position – c’è l’ok di via Nazionale, l’indicazione dello stesso Draghi e il gradimento del Colle. Sulla candidatura di Vittorio Grilli ci sono Bossi e Tremonti con quest’ultimo deciso a non retrocedere di un millimetro. Ma nel braccio di ferro tra il superministro e il premier ha un peso rilevante il dossier sviluppo col primo intenzionato a stoppare le richieste di ministri e parlamentari che, invece, secondo il Cav. dovranno avere voce in capitolo sulle proposte da mettere nero su bianco, rispetto alle quali solo lui, alla fine farà sintesi e dirà l’ultima parola.

Non è un caso che Berlusconi abbia intenzione di presentare il pacchetto-crescita proprio alla riunione del Consiglio europeo a metà mese. E di certo non può presentarsi a Bruxelles con un pacchetto semi-vuoto dal momento che l’Europa si aspetta e sollecita risultati concreti, pur riconoscendo all’Italia il massimo sforzo e la massima serietà per uscire dalla crisi. Ma per affrontare efficacemente la crisi economica, prima andrebbe evitato ogni elemento che possa far scivolare la situazione verso la deriva di una crisi politica.