Il Pdl apre a Casini ma lo aspetta alla prova del nove: in Parlamento

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Il Pdl apre a Casini ma lo aspetta alla prova del nove: in Parlamento

18 Maggio 2010

Avanti, piano. I segnali ci sono, ma un conto sono le disponibilità di massima,  altro i fatti concreti. E’ su questo piano che il Pdl guarda alla ripresa di un dialogo coi centristi, calibrando l’ipotesi in una prospettiva di medio-lungo termine. Della serie: nessuna accelerazione, nessuna fretta. Anche perché, il quadro politico è molto fluido e la linea della prudenza, in questi casi, resta la via privilegiata. Sia dal Pdl che dall’Udc.

Nel centrodestra, poi, la riottosità di Umberto Bossi che dei centristi non si fida e non lo manda a dire, rappresenta comunque uno scoglio sul quale il Cav. in persona dovrà lavorare, puntando la fiches sul rapporto ben saldo che ha con il leader del Carroccio. Ma il monito di Bossi non circoscrive la questione al solo recinto leghista perché nei ranghi pidiellini sono in molti a volerci andare coi piedi di piombo, riconoscendo che il Senatur, in fondo, non ha tutti i torti. Il ragionamento suona così: se un’eventuale alleanza con gli ex dc dovesse significare riproporre il remake di film già visti, non è cosa. In altre parole, ben venga il dialogo ma occorre la certezza che si vada avanti, non certo indietro.

Ma qual è la “chiave” che potrebbe riaprire la porta che Casini ha chiuso in faccia al Cav. dai tempi del Predellino? I segnali che i centristi hanno spedito alla maggioranza ruotano attorno a due temi centrali nell’agenda di lavoro del governo: il capitolo giustizia e l’attuazione del federalismo fiscale. E’ da qui che si parte per verificare se ci sono le condizioni per ri-parlare di eventuali alleanze future, fanno notare autorevoli esponenti pidiellini; ed è su questo che i centristi sono attesi alla “prova del nove”, direttamente in Parlamento.

Se sulla giustizia la disponibilità dei centristi è sembrata più larga, non pare così per il federalismo fiscale, almeno a giudicare dall’esito del primo faccia a faccia tra Calderoli e Casini sul federalismo demaniale, il primo dei decreti attuativi del federalismo fiscale che sarà votato domani in commissione Bicamerale. I centristi, infatti, confermano le perplessità al provvedimento e il leader Udc ribadisce la contrarietà del partito (sia prima che adesso) pur registrando una “volontà di apertura” della maggioranza sotto il profilo tecnico. Che tradotto vuol dire: c’è l’intenzione di discutere gli emendamenti presentati dalle opposizioni, ma gli ex dc voteranno no. Certo, i lavori in Commissione non sono ancora conclusi e Casini su questo lascia aperto uno spiraglio sottolineando lo “sforzo reale” del ministro della Semplificazione. Da parte sua, Calderoli ricorda che già diverse proposte dell’Udc sono state recepite e che, dunque, ciò che c’è di buono verrà preso in considerazione.

Fin qui la base di partenza. Ma qual è la “cifra” politica di un’ipotetica intesa Pdl-Udc? In linea di principio, alla luce degli effetti della crisi economica che sta colpendo l’Europa (dopo il caso Grecia) e alla vigilia della manovra finanziaria che il governo si appresta a varare, un’intesa coi centristi potrebbe rappresentare una garanzia di maggiore stabilità per il centrodestra (quindi in Parlamento, in particolare alla Camera) e la compagine di governo. A questo si aggiunge il versante delle inchieste giudiziarie che hanno toccato alcuni uomini del Cav. e una certa preoccupazione che lo stesso premier non ha nascosto sui possibili sviluppi.  

Da questo punto di vista nella maggioranza c’è la consapevolezza di una maggiore “affidabilità” o comunque senso di responsabilità da parte degli ex dc rispetto al resto delle opposizioni – Pd e Idv – che invece, specie in questo momento, mantengono un atteggiamento oltranzista di chiusura. Insomma, un’opposizione dialogante con cui cominciare a confrontarsi non escludendo possibili intese, magari su provvedimenti specifici, da qui ai prossimi tre anni.

Ma se si guarda più in profondità, è facile comprendere come la “mossa” di Casini segnali quanto meno l’avvio di un ragionamento centrista su un dato oggettivo che peraltro le elezioni regionali (e l’esito del voto) hanno confermato: l’Udc cresce se sta nel centrodestra e col Pdl. E Casini questo lo ha capito. Ora – è l’analisi ai piani alti di via dell’Umiltà – si tratta di far sedimentare questa disponibilità. Perciò, si guarda con interesse ai centristi ma in una prospettiva di medio-lungo termine  ed è in questo inter-tempo che i centristi dovranno dimostrare quel cambio di passo rispetto al passato che, seppure per segnali, si comincia a intravedere già oggi.

Non è un caso se il vicepresidente dei senatori Pdl Gaetano Quagliariello osserva che la riflessione avviata dal leader Udc è un bene ed è “bene che vada avanti e trovi in noi interlocutori attenti” ma la questione non può e non deve risolversi ad un problema di posti. Meglio, dunque “dare tempo al tempo”. Da Montecitorio,  gli fa eco Fabrizio Cicchitto con l’auspicio che “venga tenuto fermo l’attuale equilibrio di governo e della maggioranza”, ma questo non esclude il fatto che “vista l’estrema gravità della situazione economica internazionale, non si facciano i conti con i settori più responsabili dell’opposizione e l’Udc certamente lo è”. 

Un segnale chiaro ai centristi, come pure in Transatlantico viene letto quello di oggi, lanciato dallo stesso presidente dei deputati Pdl che in conferenza capigruppo ha chiesto di posticipare a luglio le nomine delle presidenze di commissione in scadenza sabato prossimo. Un segnale per lasciare margini di manovra alle prove tecniche di dialogo con Casini ma al tempo stesso, si può leggere come una mossa tattica da spendere anche sul piano dei rapporti interni al Pdl (finora tempestosi) con i finiani.  Mossa che sarebbe anche l’effetto della tela che i “pontieri” stanno pazientemente tessendo per agevolare il faccia a faccia chiarificatore tra Berlusconi e Fini, o quantomeno per riannodare il filo del dialogo che si è spezzato bruscamente il giorno della direzione nazionale del partito e che pure la scorsa settimana, nonostante i tentativi delle “colombe”, è rimasto sospeso.  

Su questo versante, c’è una novità: nelle ultime ore si sarebbero registrati passi in avanti al punto che i pidiellini più ottimisti giurano che la questione “si va a risolvere”.  C’è dell’altro:  se le prove tecniche di dialogo tra Pdl e Udc  – si fa notare nel centrodestra –  porteranno buoni frutti, “è un fatto che i finiani perdano di centralità” nel tira e molla col Cav.

E proprio questa variabile sarebbe da inserire tra gli elementi che giocano a favore di una ricomposizione dello strappo tra finiani e berlusconiani. E forse, anche  in questo senso può essere letta la riunione (saltata la scorsa settimana) che stasera metterà attorno al tavolo di un noto ristorante romano, gli esponenti dell’ala moderata dei finiani – quelli di “Spazio Aperto” per intendersi, guidati dal sottosegretario Andrea Augello e Silvano Moffa e i pasdaran di “Generazione Italia” capeggiati  da Bocchino, Granata e Briguglio. Che sia un ulteriore passo verso la ricucitura o quanto meno una tregua tra i due co-fondatori del Pdl? Può darsi e le tracce delle ultime ore vanno in questo senso.  

Il tutto, in attesa di capire forma e sostanza della strategia di Casini che giovedì e venerdì a Todi dovrebbe porre la prima pietra per la costruzione del nuovo partito (partito della nazione o degli italiani le due opzioni sul nome) previsto per fine anno.  Un soggetto politico che vada oltre l’Udc, che guardi a Francesco Rutelli, ai tanti cattolici delusi dal Pd ma che lasci una finestra aperta pure a Gianfranco Fini.

Nel Pdl si vuole capire quale sarà la cifra della nuova formazione politica ma questo, almeno per il momento, non può precludere la verifica delle condizioni per un riavvicinamento. Anche se, c’è chi non nasconde un certo scetticismo e bolla l’iniziativa di Casini come l’ennesima conferma di un movimentismo a geoemetrie variabili.

Tra prudenze e aperture, l’unico elemento certo è che il quadro politico è in movimento. Per questo la prudenza è la regola che si impone. Per non accelerare e poi dover fare marcia indietro. Ma neppure per lasciare cadere un’opportunità che vale la pena di sondare.