Il Pdl deve puntare sul referendum per liberarsi del ricatto di Casini
10 Ottobre 2011
Se alle parole corrispondono atti politici concreti e significativi, quelle pronunciate da Angelino Alfano contro le pretese del petulante Casini vanno ben al di là della querelle occasionale. Esse dovrebbero chiudere il permanente ricatto dell’Udc – improprio nella forma ed illegittimo nella sostanza – al Pdl. Non si può chiedere, infatti, ad un partito politico che sostiene il governo di staccare la spina al premier quando questi gode della fiducia del Parlamento. Se ciò accadesse la maggioranza si allargherebbe non si capisce fino a dove ed i casiniani dicono che offrirebbero il loro appoggio ad un nuovo esecutivo guidato non si sa da chi.
In quale Paese al mondo, pur detestando chi ha vinto le lezioni ed è sostenuto dal consenso parlamentare e da un non trascurabile consenso popolare, si ragiona in questo modo?
In qualsiasi Paese normale (si dirà naturalmente che il nostro non lo è per gli eccessi di Berlusconi che si sovrappongono alle oggettive difficoltà politiche ed economiche) si attende la scadenza della legislatura per modificare gli schieramenti, le alleanze e, magari, dare vita a nuove coalizioni. In che modo Berlusconi, in assenza di un incidente, dovrebbe giustificare la via d’uscita da Palazzo Chigi, recarsi al Quirinale, rassegnare le dimissioni e rintanarsi ad Arcore? A Napolitano cosa dovrebbe dire? Che glielo ha suggerito, anzi imposto, Casini per rimettere in ordine l’Italia che un minuto dopo sarebbe quantomeno "rivalutata" da tutte le agenzie di rating mondiali? Demenziale.
Alfano, pur consapevole che la situazione è difficilissima, non potrebbe mai accettare i diktat di chicchessia per l’elementare principio che in casa propria non si soggiace a regole che vengono da fuori. Egli ha il compito, quantomai arduo, di traghettare il centrodestra nel futuro e per farlo non ha bisogno in questo momento di lacerazioni che farebbero precipitare il già malconcio Pdl nel baratro. C’è bisogno di reinventarlo il centrodestra, non di affossarlo. Ed a tal fine da tempo il Maldestro, talvolta in maniera un po’ ruvida, si permette di suggerire al segretario di tener conto di tutte le componenti che lo animano e che, in una sintesi progettuale, potrebbero dare un contributo alla sua ricomposizione.
Insomma, si tratta di riconoscere che il "partito mai nato" finalmente nasca, ma su basi politico-culturali tali da permettere l’apporto di tutte le istanze che in esso hanno intenzione di riconoscersi.
Ci si è chiesto, soprattutto in queste ultime convulse settimane, dove sia finita la destra che pure era stata l’asse portante, insieme con Forza Italia, del Polo delle libertà, della Casa delle libertà, del vagheggiato soggetto unitario del centrodestra. Risposte non mi sembra ne siano state date. Il malessere all’interno del Pdl è di natura politica. Ed è fin troppo naturale che si riverberi sul governo. O lo si affronta in radice o si ci si condanna alla marginalità, fino all’irrilevanza, attraverso guerre intestine per la gioia di tutti i Casini che con trepidazione attendono la dissoluzione del centrodestra piuttosto che l’esilio di Berlusconi per poterne ereditare l’elettorato.
Perciò ci piacerebbe veder respinte al mittente le pulsioni elettoralistiche che si fanno strada, stupidamente, nel centrodestra, mentre si dovrebbe cogliere l’occasione del referendum per riavvicinarsi ai cittadini e dare loro una nuova legge elettorale maggioritaria che salvaguardi il bipolarismo e costringa i moribondi del terzo polo finalmente a scegliere.
C’è, dunque, bisogno di fare politica, per quanto difficile possa essere. Il centrodestra non ha altro modo per assicurarsi un avvenire.