Il PdL dovrebbe smetterla con l’autolesionismo
15 Dicembre 2012
Nella mattinata di giovedì 6 dicembre i lavori della Camera erano sospesi in attesa di votare la fiducia, nel pomeriggio, per il decreto sui costi della politica. Io partecipavo ad un incontro con una delegazione di parlamentari del Togo, quando, le agenzie di stampa prima, una telefonata, poi, mi informavano di ciò che stava succedendo al Senato, come reazione del Pdl alle considerazioni svolte poche ore prima dal ministro Corrado Passera a proposito dell’orientamento di Silvio Berlusconi di essere di nuovo in campo. Più tardi, a casa, grazie ai tg, aveva ricostruito quanto era avvenuto.
Il Pdl si era astenuto per protesta pur assicurando il mantenimento del numero legale allo scopo di consentire all’Assemblea di approvare il provvedimento all’esame. Allora mi era sembrato ovvio che qualche strappo fosse prevedibile, poco dopo, anche a Montecitorio. Ad inizio seduta avevamo ricevuto il consueto sms nel quale venivamo invitati ad astenerci. “La politica ha sue regole – mi ero detto – anche a noi deputati viene chiesto di tenere il punto”. Nelle loro dichiarazioni di voto gli esponenti degli altri partiti ci avevano sommersi di critiche, fino a quando non prese la parola il capogruppo Fabrizio Cicchitto. Fin dalle prime battute mi resi subito conto che si stava preparando qualche cosa di ben più grave.
Cicchitto, infatti, liquidò con una battuta il caso Passera (definendolo <untorello>) per passare poi a presentare il voto di astensione come una modifica di carattere generale della collocazione del Pdl nei confronti dell’esecutivo derivante da una critica alla sua linea di condotta in particolare nell’economia. Per sostenere questa posizione Cicchitto andò a rinvangare quasi tute le occasioni di conflitto emerse nell’anno precedente, dimenticando che, su ciascuna di esse, una composizione più o meno brillante era stata in seguito raggiunta. Non ci volle molto a capire che – mentre al Senato i capi gruppo avevano avuto il buon senso di circoscrivere la rottura ad un caso specifico, recuperabile con un atto di scuse da parte del ministro Passera – alla Camera si era andati ben oltre, fino al rischio di aprire una crisi di governo. E così decisi di votare a favore in dissenso dal gruppo, come ho continuato a fare.
Il giorno dopo, nel voto finale, Angelino Alfano arrivò persino a staccare la spina al governo, accusandolo di essere responsabile di un peggioramento complessivo dell’economia del Paese (per fortuna si era ricordato di includere tra i motivi di dissenso anche il voto all’Onu a favore della Palestina, il solo evento meritevole di una dura presa di distanza). Gli avvenimenti successivi sono noti. In cinquant’anni di vita politica raramente mi è capitato di assistere ad errori così gravi. La questione non riguarda tanto i danni per il Paese che sono stati ben più limitati del previsto. Inoltre, se la legislatura fosse arrivata alla scadenza naturale, sarebbero stati approvati alcuni altri provvedimenti, che è meglio dimenticare, come la legge sulle province, un pasticcio giacobino realizzato con una matita ed una carta geografica su cui sono stati tracciati dei cerchi a casaccio.
Il problema vero consiste nell’autolesionismo del Pdl, il quale è riuscito, in poche ore, a passare dalla parte della ragione a quella del torto. Non c’è alcun dubbio, infatti, che le rimostranze svolte al Senato erano giustificate. Gli avversari avrebbero potuto accusare il partito di strumentalizzare un incidente tutto sommato banale, ma sarebbe toccato a Monti trovare una soluzione per soddisfare un alleato che aveva sollevato un problema vero. Alla Camera, il Pdl si è caricato sulle spalle un errore che, oggi, a fronte di una situazione completamente nuova, gli crea non poche difficoltà nel condurre in porto la strategia di Italia popolare per confluire nel rassemblement di Mario Monti <unto> solennemente dal Ppe come suo plenipotenziario in Italia.
C’è qualcuno che paga per un errore tanto grave e gratuito? No. Che peccato! Il Pdl avrebbe avuto l’opportunità di presentarsi adesso come la forza politica più vicina a Mario Monti, se non ci fossero stati tanti malpancisti al suo interno nel corso dell’ultimo anno. Ma si trattava pur sempre di opinioni legittime. Non ci si poteva aspettare, invece, che fossero proprio quei dirigenti (che maggiormente avevano lavorato duramente per mantenere la barra del partito allineata con quella del Governo) ad assumersi in prima persona la responsabilità della crisi.