Il Pdl frena Bossi sul voto e studia la exit strategy per neutralizzare Fini
07 Settembre 2010
Una via d’uscita per non farsi logorare dai finiani e al tempo stesso non lasciare troppo terreno al Senatur, che invece spinge forte sull’acceleratore delle elezioni anticipate. Nella riunione a Palazzo Grazioli il Pdl ha ragionato sul dopo-Mirabello e non sono mancati perplessità e dubbi sull’idea di andare da Napolitano a chiedere le dimissioni di Fini.
Così come l’ha messa giù Bossi uscendo dal vertice di Arcore – è il ragionamento nei ranghi pidiellini – appare una forzatura eccessiva che specie in questa fase convulsa, rischia di gettare nuova benzina sul fuoco.
Quello che il presidente della Camera ieri ospite del tg di Mentana non ha certo contribuito a spegnere mantenendo la linea declinata a Mirabello e confermando che Fli voterà il documento programmatico ma non a scatola chiusa. Nessun passo indietro neppure sulle dimissioni da presidente della Camera. Puro tatticismo che però ha un suo obiettivo: far passare il concetto che se qualcuno intende rompere definitivamente, quello non è certo lui.
Il Pdl preferisce una posizione attendista per evitare di presentarsi dal Capo dello Stato con le armi bagnate, bilanciare le spinte del Carroccio (pure ieri Bossi ha insistito sul ritorno alle urne come unica via possibile per uscire dal pantano) e nel frattempo, studiare bene le mosse: a cominciare dalla messa a punto delle mozioni programmatiche ma soprattutto dalla verifica concreta dei numeri in Parlamento. E lo spartiacque sul quale la maggioranza sta riflettendo è proprio questo: o il governo è autosufficiente, cioè ha i numeri in Parlamento (qualche finiano moderato che fa marcia indietro o alcuni voti che potrebbero arrivare dalle file dell’opposizione) oppure ciò che si deve fare è guidare, governare il processo che porta alle elezioni.
Sì ma in che modo? Secondo alcuni esponenti Pdl non rinchiudendo tutta la questione all’interno del recinto Pdl-Lega ma allargando i confini del dialogo a possibili alleanze elettorali, magari con l’Udc. La linea attendista serve anche a capire, nell’immediato, quale sarà l’atteggiamento di Fini nella riunione dei capigruppo convocata per stamani a Montecitorio e chiamata a calendarizzare i provvedimenti da esaminare nelle prossime settimane.
La linea del partito sarà tracciata nell’ufficio di presidenza del Pdl convocato oggi pomeriggio a Palazzo Grazioli e tra le questioni da affrontare ci sarà anche quella del ruolo dei finiani all’interno dello stesso partito che per Fini “non esiste più”. Per questo non è escluso che oggi parte della riflessione venga dedicata al concetto di incompatibilità degli incarichi dei finiani e sull’avvio della discussione (in una prospettiva di medio termine) anche sulla presenza degli esponenti di Fli nel governo.
Linea dura dunque contro nei confronti di chi ha deciso di stare col presidente della Camera. Linea soft, per il momento, sull’eventualità di chiedere subito il voto. Anche perché una simile prospettiva in tempi molto ravvicinati, impedirebbe di mettere a punto norme che garantiscano uno scudo giudiziario al premier e le alte cariche dello Stato. Non solo, ma la forzatura di Bossi, di fatto, chiude la strada a qualsiasi ipotesi di accordo con la parte moderata dei finiani.
D’altra parte, la strategia da mettere in campo richiede tempo e testa per evitare che gli “spifferi” che, provocatoriamente, già cominciano ad arrivare dalle file leghiste possano trasformarsi in un vento di tramontana. In altre parole, occorre evitare che il Carroccio per uscire dall’empasse e rendere la corsa verso il voto irreversibile, forzi ulteriormente la mano decidendo di ritirare la propria delegazione dal governo.
Ecco perché si preferisce muoversi con prudenza, ecco perché il Cav. vuole concentrasi sul dibattito parlamentare. Ecco perché chiedere a Napolitano le dimissioni di Fini ed elezioni subito senza un vero “incidente” nel percorso parlamentare che lo giustifichi, appare come un rischio troppo grosso da correre, almeno in questa fase. Ecco perché dai piani alti di via dell’Umiltà si attribuisce all’iniziativa di Berlusconi e Bossi un valore più che altro politico.
Non a caso il vicepresidente dei senatori Pdl Gaetano Quagliariello commentando la situazione politica a margine della Summer School a Frascati osserva che “con le prese di posizione di Fini a Mirabello e con la formazioni dei gruppi parlamentari di Fli siamo giunti in una situazione oggettivamente inedita”. E il fatto di rivolgersi al capo dello Stato – “il massimo garante e tutore delle istituzioni” – non rappresenta un fatto eccezionale, “naturalmente con tutte le cautele e le attenzioni necessarie”. Sulla stessa lunghezza d’onda il presidente dei senatori Maurizio Gasparri che tuttavia auspica una “soluzione veloce perché la chiarezza verso i cittadini e gli interessi del Paese la impongono".
Insomma, il quadro politico è ancora molto fluido e tesissimo nel delicato equilibrio tra tattica e strategia, nella ricerca di una exit strategy che possa mantenere in vita la legislatura e “neutralizzare” il disegno di Fini.
Lo strappo di Fini alla Summer School.
Tema ricorrente nei dibattiti alla scuola di alta formazione politica promossa da Magna Carta e Italia Protagonista. Prima nella conversazione coi ragazzi di Gaetano Quagliariello e Mario Sechi, direttore de Il Tempo, presentando il libro del senatore “La persona, il popolo e la libertà”, poi nella tavola rotonda sull’”Antimafia dei fatti” alla quale hanno preso parte oltre a Gasparri, il sottosegretario all’Interno Alfredo Mantovano e il procuratore capo di Bari Antonio Laudati.
Mettendo a confronto i cinque punti (bioetica, immigrazione, giustizia, scuola, economia) che Quagliariello sviluppa nel suo libro e le incompatibilità con le posizioni del presidente della Camera, il vicepresidente dei senatori rivela di non essere stato colto di sorpresa dallo strappo dei finiani, ma lo aveva intuito da mesi, almeno dalla scorsa primavera.
E rispondendo alle domande dei giovani si spinge ad una “confessione” su un episodio che, a fine marzo ne ha rafforzato la convinzione “sulle reali intenzioni di Gianfranco Fini. La mattina del 29 marzo, ad urne ancora aperte per le elezioni regionali, sono stato contattato da un parlamentare vicino a Fini, che mi ha detto: il Pdl ha perso; nel Lazio e in Piemonte la sconfitta è certa; la Campania è in forse. Questa persona mi parlò dell’intenzione di costituirsi in minoranza, di rivedere le quote degli organismi del partito, rivendicando un 33 per cento per gli uomini del presidente della Camera. Volevano per loro un coordinatore e i due vicepresidenti vicari: capii – è la chiosa ironica di Quagliariello – che volevano sfrattarmi, ma le cose non sono andate così”.
I fatti nella lotta alla criminalità organizzata stanno nei dati degli arresti di pericolosi boss e latitanti ma anche in un nuovo modus operandi che Mantovano richiama parlando del “modello Caserta”, cioè del costante collegamento tra Viminale e territorio con una fitta rete di interscambio di informazioni, confronto e proposte con i magistrati e gli uomini delle forze dell’ordine che operano nelle realtà da bollino rosso. E il modello Caserta – rivendica il sottosegretario all’Interno – oggi “viene applicato a Palermo, Bari e Reggio Calabria”.
Altra cosa è “l’antimafia delle chiacchiere, quella dei cosiddetti professionisti dell’antimafia. Fino a qualche tempo fa si trovavano solo a sinistra, oggi siamo alle prese con il fuoco amico”. Rispondendo alle domande dei ragazzi Laudati sottolinea che il carcere ”non può essere l’unica risposta. Il carcere davvero redime il condannato? Sappiamo che è una delle ipocrisie di oggi. Le sanzioni patrimoniali vanno molto meglio; vanno oltre, hanno una funzione simbolica”.
Il riferimento diretto sta in un’immagine emblematica: “La gente che passava sotto la casa di un boss con timidezza, con gli occhi bassi, un giorno vede lo stesso edificio trasformato in scuola o in una caserma e questo è un tangibile risultato positivo che assume un forte significato simbolico molto più del sapere che quel boss sta in galera e forse ci resterà poco”.
La casa di Provenzano a Corleone oggi è la sede di una cooperativa agricola. E i beni dei boss, per la prima volta, sono finiti nella cassaforte dello Stato.