Il Pdl prepara norme anti-ribaltone e accelera sulle riforme costituzionali
02 Giugno 2009
Archiviato il voto europeo e amministrativo, la prossima settimana il confronto tra centrodestra e centrosinistra dalle piazze elettorali torna nelle aule del Parlamento. Tema: le riforme.
Ma a ben guardare, il clima avvelenato che ha accompagnato l’ultimo scorcio di campagna elettorale propone un quadro tutt’altro che improntato al dialogo e alla ricerca di possibili convergenze sul pacchetto di provvedimenti finalizzati alla modernizzazione delle istituzioni. Perchè anche sul capitolo riforme le posizioni dei due schieramenti restano agli antipodi.
Si ricomincia da Palazzo Madama dove è già incardinato il dossier per la riduzione del numero dei parlamentari. Questione che ha tenuto banco in campagna elettorale e sulla quale il premier Berlusconi ha impresso un’accelerazione, sia lungo i binari dell’iter legislativo istituzionale, sia sul versante della mobilitazione popolare con una proposta di legge e una petizione ad hoc che vede come proponenti proprio i cittadini che decideranno di sostenere con la loro firma entrambe le iniziative. In questo senso, la macchina organizzativa del Pdl è già al lavoro e nei prossimi giorni nelle piazze d’Italia ripartirà l’operazione gazebo.
In Senato la commissione Affari Costituzionali dovrà esaminare le proposte di legge già depositate, praticamente da tutte le forze politiche: Pdl, Pd, Idv e Udc. L’obiettivo è arrivare, per quanto possibile, a un testo unico che tiene conto delle posizioni espresse da ciascun partito. Ma non sarà certo un compito agevole.
E’ tuttavia sulla riduzione del numero dei parlamentari che si registrano le prime schermaglie tra centrodestra e centrosinistra. Perchè dopo l’iniziativa annunciata dal presidente del Consiglio che della riforma dei regolamenti parlamentari e del rafforzamento dei poteri del primo ministro e dell’esecutivo ha fatto un punto imprescindibile di questa legislatura, il Pd nei giorni scorsi si è affrettato a rispolverare il ddl Zanda chiedendone la calendarizzazione in Aula tra il 9 e l’11 giugno. Richiesta respinta coi voti della maggioranza ed ennesima polemica al fulmicotone. Il capogruppo Finocchiaro ha gridato allo scandalo e perfino D’Alema ha tuonato contro il no del Pdl sostenendo che questa "è la riprova che siamo governati da una comitiva ridicola" e che il taglio dei parlamentari non è altro che "un gigantesco imbroglio, una manovra diversiva per distrarre l’opinione pubblica".
Diamentralmente opposta la versione della maggioranza che attorno all’iniziativa democrat ha sentito puzza di bruciato, in altri termini un "trappolone". Le ragioni che il Pdl rivendica sono chiare: non si può limitare il tutto a una mera riduzione dei numeri degli eletti nei due rami del Parlamento, "non ha senso, messa in questi termini è pura propaganda demagogica intrisa del più sterile moralismo", spiega Gaetano Quagliariello, vicepresidente vicario dei senatori del Popolo della Libertà. Per due motivi: la cura dimagrante "ancorchè necessaria come più volte abbiamo ribadito e proposto anche in tempi non sospetti, non può prescindere da un lato dal rafforzamento dei poteri del presidente del Consiglio e dalla velocizzazione dell’iter legislativo nelle due Camere per rendere più spedita ed efficace l’azione dell’esecutivo pur nel pieno rispetto delle prerogative del Parlamento; dall’altro dalla diversificazione di compiti e funzioni per Camera e Senato. In sostanza, occorre mettere mano a una riforma più ampia per modernizzare le istituzioni".
In altri termini per il Pdl si tratta di un passaggio obbligato che va fatto "dalla parte dei cittadini i quali devono comprendere che avere un Parlamento più efficiente, un esecutivo in grado effettivamente di guidare il Paese, e Camere che svolgano compiti diversi non è roba da ingegneri istituzionali astratti" ribadisce Quagliariello convinto che un impianto di riforme così articolato servirà "affinchè, usciti dalla crisi economica mondiale, l’italia possa per davvero ultimare un processo di modernizzazione che la collochi stabilmente nel gruppo di testa dei paesi europei".
E in tema di riforme c’è un’altra questione che ha acceso la miccia del dibattito politico: il caso Lombardo, in Sicilia. Il governatore in quattro e quattr’otto ha azzerato la giunta regionale e nonostante le sollecitazioni del Pdl ad individuare un percorso condiviso per uscire dalle secche dell’empasse politico, ha rimesso in piedi il "parlamentino" nello spazio di un giorno senza tenere conto degli equilibri interni alla maggioranza, men che meno del principale partito dell’alleanza (appunto il Pdl). Un caso certo limitato alla vicenda sicialiana, ma che potrebbe rappresentare di per sè un pericoloso precedente per la stabilità dei governi – di centrodestra e di centrosinistra – anche in altre Regioni. Per questo, in Senato è stato presentato un disegno di legge costituzionale firmato dal presidente dei senatori del Pdl Gasparri e dallo stesso Quagliariello che introduce la formula della "sfiducia costruttiva" in Sicilia, regione a statuto speciale, ma che teoricamente potrebbe diventare un modello anche per le altre Regioni.
"Indubbiamente il ddl muove da un’occasione particolare e dalla natura peculiare della vita politica siciliana che già in passato ha conosciuto casi eclatanti di trasformismo e opportunismo politico, ma c’è anche una ragione più seria e fondamentale", osserva Quagliariello. Il punto ruota attorno ai poteri di sindaci e presidenti di Regione e alla necessità da un lato di non perdere i vantaggi che derivano dall’elezione diretta e dalla personalizzazione del potere; dall’altra di evitare che questi siano "delle monadi che in un certo senso prescindano del tutto dalle loro maggioranze e dai partiti che li hanno indicati", rimarca il vicepresidente vicario dei senatori Pdl ricordando i casi frequenti di sindaci che al secondo mandato diventano una sorta di podestà o di governatori che rischiano di restare tali a vita.
L’obiettivo del ddl, insomma, è quello di individuare il giusto equilibrio tra chi governa e la maggioranza che lo ha indicato e lo sostiene. Anche perchè, va ricordato che sia chi guida un ente locale, sia la sua maggioranza sono eletti contestualmente, quindi legittimati entrambi dalla sovranità popolare. Di qui l’impegno a evitare o comunque rendere difficili i ribaltoni da parte delle forze di maggioranza ma anche di sindaci o governatori che oggi possono fare e disfare, spingendosi perfino a ricercare voti al di fuori della coalizione con la quale hanno vinto le elezioni.
"E’ singolare che coloro in quali, a livello nazionale, appena si parla di rendere più efficienti le istituzioni e attribuire più poteri agli esecutivi parlino di deriva plebiscitaria, poi di fronte a iniziative del genere alzano barricate solo per questioni demagogiche, non rendendosi conto che questo sarebbe un modo per stabilizzare le istituzioni", attacca Quagliariello riferendosi alle critiche sul ddl costituzionale arrivate puntualmente dall’opposizione.
La battaglia in Senato è solo agli inizi. Ma la posta in gioco, questa volta, non ammette i riti bizantini della politica, perchè istituzioni stabili e funzionanti significano servizi più efficienti ai cittadini e governi (locali e nazionali) in grado di portare a compimento i programmi per i quali gli elettori li hanno premiati nelle urne.