Il Pdl ri-tenta l’intesa tra Fini e il Cav. ma la partita rischia di finire senza gol

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Il Pdl ri-tenta l’intesa tra Fini e il Cav. ma la partita rischia di finire senza gol

15 Giugno 2010

Almeno su un punto berlusconiani e finiani sono d’accordo: quello di oggi è il giorno clou nel quale si capirà se tra maggioranza e minoranza interna c’è ancora spazio per una convivenza se proprio non pacifica, almeno civile. Lo strumento è quello di un accordo politico su due dossier che viaggiano insieme, anche temporalmente: manovra e intercettazioni.

Della serie: se Fini vuole partire dalla manovra ok, ma subito dopo tocca al testo già licenziato dal Senato, senza rinvii. Il "prezzo" dell’intesa potrebbe stare in alcuni ritocchi, certo non sostanziali, alla manovra economica, in cambio di un ‘lasciapassare’ sulle intercettazioni che potrebbero arrivare al voto dell’Aula tra la fine di luglio e la prima settimana di agosto. Se l’accordo non ci sarà,  governo e maggioranza potrebbero decidere di giocare la carta della "fiducia" per neutralizzare non solo l’ostruzionismo dell’opposizione ma anche le possibili"incursioni" che su entrambi i provvedimenti i finiani hanno già ampiamente annunciato.

Dunque, molto dipende dal vertice convocato per oggi da Silvio Berlusconi a Palazzo Grazioli.  In molti nei ranghi del partito auspicano un punto di incontro, anche se non è scontato e non sarà facile. In caso contrario, c’è chi non esclude che si vada a passo spedito verso la rottura. Ma l’accordo politico dovrà tenere conto anche della componente maggioritaria di An, ormai traghettata nella grande area berlsconiana dai colonnelli che sabato a Roma hanno di fatto sancito l’addio definitivo al loro ex leader.

Perché, è il ragionamento di fondo, se per chiudere il fronte con Fini si rischia di aprire quello ben più grande con Gasparri, Matteoli, La Russa e Alemanno, allora il gioco non vale la candela. E  la candela, in questo caso, potrebbe essere il ritorno alle urne, secondo le previsioni dei pidiellini più pessimisti ma non ancora rassegnati.

Non solo: c’è chi non esclude che l’accordo con gli uomini del presidente della Camera possa giocarsi anche su un pacchetto di richieste che Fini già da tempo ha fatto arrivare sulla scrivania del Cav.: congresso entro l’anno, quote di rappresentanza adeguate negli organismi di partito e nei gruppi parlamentari. In una parola: riconoscimento formale della corrente finiana.

Ipotesi quest’ultima che tuttavia pare impraticabile, a sentire le analisi dei berlusconiani, perché il 6 per cento conta meno del 94 per cento e in virtù di questo rapporto numerico, a Fini non si può concedere tutto ciò che chiede. Più o meno ciò che pensa anche il premier che dopo l’uscita dell’inquilino di Montecitorio sul ‘niente fretta’ col ddl intercettazioni,  prende posizione e ribadisce che il testo è blindato e non si tocca, l’ufficio di presidenza del partito ha già deciso e non ci sarà alcun dietrofront.

Una mossa per dire che il pallino dell’intesa resta nelle sue mani, preceduta dall’iniziativa dal capogruppo Pdl alla Camer Fabrizio Cicchitto che serra le fila e con una lettera avverte i suoi di prepararsi a stare in Aula anche ad agosto. Non sono ammesse defezioni e chi sgarra sarà sanzionato. La raccomandazione di Cicchitto riguarda anche i deputati che da qui ai primi di agosto dovessero essere impegnati in missione: meglio rinunciare e stare in Aula, è il senso del monito del capogruppo e lo stesso discorso vale per gli impegni politici dei parlamentari sul territorio.

Rincara la dose il vicepresidente dei senatori Gaetano Quagliariello per il quale se si volesse cambiare la decisione assunta all’unanimità dall’ufficio di presidenza del Pdl "saremmo di fronte all’atto di nascita di un partito all’interno di un altro partito" e sarebbe "un atto di rottura".

I rapporti tra i due co-fondatori del partito unico restano quelli del muro contro muro, almeno per ora. I finiani, infatti fanno sapere di essere addirittura pronti a non votare le intercettazioni se prima il ddl non verrà cambiato. Lunedì  Bocchino, ieri Granata: ”Potremo anche votare l’eventuale fiducia se verrà messa ma non il provvedimento perché cosi’ com’è è un regalo alla mafia”, avverte il pasdaran finiano.

Che nei palazzi della politica tiri aria di trattativa tra i due big del Pdl lo si era capito dal fatto che ancora ieri  nessun gruppo alla Camera aveva chiesto la convocazione della conferenza dei capigruppo necessaria per calendarizzare il ddl in Aula. Sapere quando il testo arriverà all’esame dell’Assemblea, è basilare anche per la commissione Giustizia che deve fissare il calendario dei propri lavori e che ieri ha deciso di cominciare giovedì con la relazione. E relatore sarà la stessa presidente della commissione Giulia Bongiorno (finiana doc) che mette le mani avanti spiegando che cominciare subito "non significa che si farà presto. Significa solo che si intende approfondire di più".

Sul fronte della convocazione della conferenza dei capigruppo, inoltre, nella maggioranza si starebbe riflettendo sull’eventualità o meno di contingentare i tempi del dibattito. Se ciò non accadrà, il voto finale dovrebbe essere segreto. C’è già un precedente: l’11 giugno scorso, quando alla Camera si arrivò al voto segreto e ci furono almeno 17 deputati dell’ opposizione che votarono insieme al centrodestra.

Intanto la polemica sulle intercettazioni travalica i confini nazionali. Con un intervento a gamba tesa che suscita l’immediata reazione della Farnesina che parla di uscita "inopportuna", la responsabile Media dell’Osce Dunja Mijatovic chiede il ritiro del provvedimento o una sua modifica. Applausi dall’opposizione (per la Pd Finocchiaro l’appello Osce "rafforza le ragioni della nostra battaglia”), mentre dal Pdl arriva un coro di no.

Una cosa è certa: questo quadro di contestazioni diffuso, ovviamente, favorisce il gioco di Fini e dei suoi che a differenza della scorsa settinama quando dimostravano contrarietà su alcuni aspetti del provvedimento e avevano messo in campo gli esponenti più polemic – Fabio Granata, Carmelo Briguglio e Angela Napoli – oggi sembrano mostrare il volto più conciliante di chi vuole dispensare un buon consiglio e pare disporre di informazioni provenienti direttamente dal Colle. Come a dire: caro Silvio, se non ci dai retta vai a sbattere. Che è anche un modo apparentemente meno ostile per sostenere che 6 vale più di 94. Ma la vera partita si gioca oggi, a Palazzo Grazioli.