Il Pdl rompe con la Lega ma fa i conti con il voto e i capricci di Casini
07 Marzo 2012
Titoli di coda su 18 anni. The end Pdl-Lega. Angelino Alfano archivia la pratica a un mese dalle amministrative seppure spera ancora in un margine di recupero, risicatissimo. Chissà se il dossier si riaprirà tra un anno, per ora è un ciclo politico che si chiude. Il leader del partito punta la barra al centro, a quel partito dei moderati che potrebbe diventare la cifra del nuovo centrodestra nella sfida elettorale decisiva: le politiche. E’ un altro passaggio significativo che avviene in mezzo alle turbolenze di un partito in fibrillazione su più fronti: i malumori forzisti per le fughe in avanti degli aennini sui congressi e su come sostenere il governo Monti, la sfiducia e i timori per una debàcle al voto di maggio che potrebbe provocare una scomposizione degli attuali assetti, il complesso dialogo con Casini che pretende di dettare le regole del gioco.
I conti, quelli veri, si faranno nel 2013 ma intanto Alfano sa che proprio sul sostegno al governo dei Prof. si è consumato lo strappo definitivo con una Lega che si è messa ostinatamente all’opposizione. Ricucire quello strappo è sempre più difficile anche per le intemerate quotidiane di un Bossi che minaccia il premier e poi è costretto a correggere il tiro. Alfano annuncia che alle amministrative “gli elettori ci vedranno senza la Lega al Nord, anche se ancora nutriamo qualche speranza…”. Il prezzo pagato è “altissimo. Per sostenere Monti abbiamo perso un alleato, sacrificando i nostri interessi per il bene dell’Italia”. Lo afferma nella consapevolezza – che è poi anche un po’ la preoccupazione di fondo di molti pidiellini – per la quale se il Pd in qualche modo è riuscito a mantenere un’alleanza, il Pdl ha mandato in pezzi la sua e nel frattempo non ha ancora guadagnato quella con Casini. Un rischio calcolato, certo, ma l’incognita maggiore resta la reazione dell’elettorato di centrodestra, tanto è vero che Alfano spera che il dazio pagato venga compreso e in qualche modo ricompensato nelle urne.
Non è così scontato, per tre motivi. Il primo: dopo la caduta del governo Berlusconi (mai sfiduciato) il disorientamento del popolo di centrodestra è ancora altissimo, anche perché se l’accelerazione sui congressi e le primarie (nelle città al voto in maggio) hanno portato l’idea di una nuova stagione e certificato un’elevata partecipazione (vedi il caso Puglia), è altrettanto vero che in alcuni casi hanno trasmesso l’immagine di competizioni basate più su competizioni localistiche tra candidati che sull’offerta politica in sé. Come nel caso Lecco, certamente marginale rispetto al quadro nazionale, eppure emblematico di cosa si muove nel territorio. Qui è accaduta una ‘scissione’ tra soci fondatori del Pdl, tutta giocata sul mancato accordo attorno a un candidato unitario per il congresso provinciale. I forzisti vicini all’ex ministro Vittoria Brambilla hanno rotto con la componente aennina accusata di voler imporre il proprio candidato e hanno fondato “Forza Lecco”, versione alquanto nostalgica dell’ormai vecchia Forza Italia. L’intento è lo stesso: riaffermare lo spirito del ’94 ma intanto ci si divide e si crea un caso che nel mare magnum degli scontenti potrebbe, secondo alcuni parlamentari lombardi, portare ad emulazioni in altre città e aggiungere confusione alla confusione.
Il secondo motivo: l’offerta politica del Pdl. Fa i conti con un dato di fatto: Monti funziona perché “sta interpretando la linea politica che avremmo dovuto portare avanti noi”, sintetizza Giorgio Stracquadanio che con alcuni berluscones della prima ora come Guido Crosetto e Isabella Bertolini, non andrà alla Scuola di formazione politica del partito voluta da Bondi, al via da giovedì a sabato a Orvieto con le conclusioni finali affidate al Cav. “Non vado mica alle riunioni dei caduti…è un riunione dedicata ai già ministri…”. Riferimento volutamente irriverente ma per il deputato pidiellino deluso eppure sempre “superfalco berlusconiano” come si definisce, il punto è che “non si può continuare a tenere la testa girata all’indietro”, perché “con la caduta di Berlusconi si è chiusa l’epoca che ha visto due grandi leader carismatici guidare due processi di cambiamento: la rivoluzione liberale e quella federalista. Purtroppo non sono state portare a termine né l’una né l’altra; oggi il quadro è totalmente cambiato e forse bisognerà pensare a scomporre gli attuali partiti per ritrovarsi su un nuovo asse: riformatori e conservatori”.
Anche perché “in questa fase della vita politica dell’Europa in cui Draghi giustamente invoca la necessità di un nuovo modello, la Lega che vuole mantenere le pensioni di anzianità e ciò che dice Vendola, non sono poi così agli antipodi”. C’è poi un altro aspetto che la componente più berlusconiana segnala con preoccupazione: “I grandi partiti, Pd e Pdl, hanno esaurito le loro ragioni sociali e lo dimostra l’esito delle primarie del centrosinistra a Palermo dove ha vinto il candidato che guarda a uno schieramento più ampio e paradossalmente lo fa presentandosi in una competizione dove la coalizione è già definita”. Non c’entra neppure Casini “anche lui appartiene al passato”, c’entra piuttosto come si rilancia un progetto politico.
Considerazioni che sollecitano un cambio di passo nella linea di Alfano, anzi un “passo più deciso e più politico” e fanno il paio con malumori e timori per l’esito delle amministrative. Test marginale, molto calato nelle realtà locali si sa, e tuttavia indicatore non solo degli umori dell’elettorato ma anche degli effetti che a seconda di come andrà il voto potrebbero ricadere sugli assetti dei partiti che oggi sostengono il governo Monti.
Non la pensa così Maurizio Sacconi che manda un messaggio a Bossi e Casini: “Tutti quelli che muovono da una cultura liberale e solidale devono avvertire la responsabilità di non consegnare l’Italia a forze di diversa matrice. Per questo faccio appello tanto alle forze moderate di centro tanto alla Lega di non rendersi complici della vittoria della sinistra, a partire dai comuni”. Messaggio per l’oggi e per il domani.
Più che alla Lega alla quale non chiude del tutto la porta, Franco Frattini considera invece ‘una priorità’ lavorare sul patto con l’Udc per il partito dei moderati e su questo stringere i tempi, magari già per le amministrative. Ma nel Pdl c’è chi invoca un passo alla volta, ritenendo più prudente attendere l’esito del voto di maggio. Il ragionamento di alcuni berluscones suona così: “Se alle amministrative il partito tiene, è chiaro che il confronto con Casini sarà condotto mettendo sul piatto anche questo dato”. Come a dire: attenzione, la fretta rischia di portare acqua al mulino dell’Udc, non del Pdl.
Il terzo motivo: il gioco al rialzo di Casini nella costruzione del Ppe italiano. Prima pone la pregiudiziale berlusconiana, poi caduto Berlusconi dice che il Pdl non può stare più con la Lega e infine – cronaca di ieri – sentenzia: “Con Alfano e Bersani lavoriamo serenamente per sostenere il governo. Ma certo, non si può rimarginare in un giorno la frattura degli anni scorsi, ci vuole una seria autocritica verso la gestione del paese negli anni del governo Berlusconi”. Messaggio al Pdl.
In tutto questo mare magnum, Alfano deve tenere unito un partito che si mostra ancora confuso e disorientato. Vale per il voto di maggio ma soprattutto per la sfida del 2013.