Il PdL si prepara a tagliare il nastro: l’Udc non può mancare
22 Gennaio 2009
Riceviamo e volentieri pubblichiamo l’intervento del Ministro per l’Attuazione del Programma Gianfranco Rotondi sul futuro del Pdl.
Il cristiano entra in politica se avverte che la somma delle sue opere buone è inferiore al bene che il Signore domanda al suo impegno: la politica è la carità in un solo gesto, perciò ne è la forma più esigente.
Non è obbligatorio che i cristiani diano vita a un loro partito ma non è neppure vietato. Ci sono cristiani in tutti i partiti ma c’è una sola politica di ispirazione cristiana, quella dei partiti democristiani. La Democrazia Cristiana esiste in tutto il mondo, dunque essa non è stata un episodio italiano causato dal Muro di Berlino tant’è che in Germania, a tanti anni dalla caduta del Muro, è tornato al governo un partito democristiano.
La Democrazia Cristianaè una grande idea della storia. Le grandi idee evolvono, si adeguano ai tempi. Non muoiono mai.
In Italia la Dc è stata sciolta con la nascita del partito Popolare il 18 gennaio 1994. Invero l’attività della Dc è stata sospesa, ma oggi può essere il tempo di un nuovo cominciamento. Come? Partendo da quello che può e deve essere il Popolo delle Libertà.
Quindici anni fa Mino Martinazzoli rivolgeva un appello “a quanti hanno passione civile”. Lo rinnoviamo oggi correggendo quello che per noi fu l’errore: non bisognava sciogliere bensì rinnovare e rilanciare la Democrazia Cristiana. Non mettiamo tra parentesi tutti questi anni: sono stati il decennio dei cespugli, delle divisioni. Molti in questi anni si sono illusi di riunire i democristiani: nessuno ci è riuscito. Noi non ci proveremo neppure. Questo stato precisa solo un tempo e un luogo in cui la Dc si rinnova senza mascherarsi: rispettiamo i democristiani impegnati sotto altre sigle, ma noi riprendiamo a far politica con la nostra identità. Siamo democratici cristiani.
Insomma, siamo l’ultima colonna di un esercito battuto ma non disarmato, i ragazzi della Dc appunto, quelli che non si rassegnano all’inglorioso epilogo.
Dopo la Dc c’è un solo gigante che è Silvio Berlusconi. Il suo genio ha evitato all’Italia nel ’94 l’avvento del comunismo giudiziario peggiore di quello ideologico. Da democristiano berlusconiano evito di sbrodolarmi nelle lodi del mio presidente del Consiglio. Andiamo all’incompiuta: fin qui né Berlusconi, né i suoi critici sono riusciti a costruire un partito forte come la Dc e, dunque, potenzialmente duraturo come la Dc. Forza Italia è arrivata al 25 per cento, il PdL al 40, ma a Berlusconi non basta perché lui ha l’occhio lungo e sa che nella storia restano i partiti che prendono un voto in meno o un voto in più del 50 per cento.
Il PdL nasce con questo obiettivo ed è ancora una volta un’intuizione solitaria di Silvio Berlusconi. Un partito così in Italia può vincere per tre decenni ma deve essere come diceva Tatarella, il più democristiano dei destri: lui sognava un partito che prendesse tutti i voti dei democristiani, dei missini e di quelli che non erano di sinistra. Il vecchio Pinuccio contava sino al 65 per cento, Silvio è più prudente: per il PdL vuole superare quota 50. E, allora, ragazzi, c’è poco da fare gli schizzinosi: senza l’Udc l’impresa è complicata, magari ci si riesce ma ci vuole più tempo e per le Europee non ce la facciamo. Pensate che figura fa l’Italia se invece la lista del Ppe sfonda il 50 per centro dei voti e si presenta in Europa col bilancio di un governo che gira al massimo. Alemanno dice che il Ppe non è solo la casa dei democristiani. Verissimo.
Il Ppe in Europa è l’unione dei partiti democristiani e dei partiti conservatori, con proporzioni di quattro a uno a favore dei democristiani. D’accordo che in Italia dal ’93 i democristiani hanno fatto un partito a testa che non contano più un tubo. Ma è pensabile di fondare in Italia il Ppe senza di loro? Sissignori, nel PdL c’è la mia Dc e al governo mi sto dando da fare, ma nemmeno io – che di carattere non sono modesto – posso pensare di rappresentare da solo un mondo residuale ma complesso come gli ex democristiani. Dunque, c’è poco da discutere: bisogna aprire all’Udc e c’è solo da guadagnarci. Diranno di si? Benvenuti. Il PdL è casa loro come mia, di La Russa, di Verdini, di Caldoro e della Mussolini e di chi ci vuol venire perché il partito non è ancora nato. Del resto, o adesso o mai più, vale per noi e per l’Udc. Fra pochi mesi si voterà alle Europee e in centinaia di comuni e province. Un anno dopo si vota in tredici regioni. Davvero pensiamo che l’Udc se ne stia a bagnomaria governando con noi comuni, province e regioni e rimanendo all’opposizione in Parlamento? O, davvero, Casini pensa che noi ci teniamo per cinque anni i suoi predicozzi di oppositore e continuiamo a fare con lui l’alleanza sul territorio?
La nostra scommessa è il bipartitismo che non è un’invenzione italiana ma la politica europea di oggi. Auguri a Veltroni per il suo Pd, la nostra sfida è il PdL che dovrà accogliere l’Udc da subito e prendere atto definitivamente di una risposta negativa che onestamente fin qui non è arrivata.
Obiettivamente Casini ha anche un’altra opzione che è quella di allearsi con Veltroni facendo il nuovo Prodi, e cioè il cattolico che mette il cappello sulla revence della sinistra contro Berlusconi. Per carità, in politica tutto si può fare, ma all’Udc auguriamo di meglio e cioè di concorrere con noi alla ricostruzione di un sistema-Paese e di ritrovarci, cattolici e laici, in un grande partito italiano che raccolga il meglio dell’eredità democristiana e resti in campo per molti decenni. L’alternativa è fare noi un PdL sbilanciato a destra, Casini un centro senza voti, restare divisi e vederci ogni tanto ai funerali dei grandi della Dc che, a differenza nostra, hanno fatto meno cronaca e più storia.
* Gianfranco Rotondi è segretario della Democrazia Cristiana per le Autonomie