Il Pdl vota lo svuotacarceri ma col timore di regalare la sicurezza alla Lega

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

Il Pdl vota lo svuotacarceri ma col timore di regalare la sicurezza alla Lega

15 Febbraio 2012

Alla fiducia trasversale segue un voto che segnala scricchiolii nella maggioranza. Lo ‘svuotacarceri’ passa a Montecitorio ma lascia sul campo molti no e molte assenze tra i banchi dei due schieramenti, con defezioni più consistenti nel Pdl. Ventinove contrari, sei astenuti e quarantuno assenti (due in missione) sono i numeri che raccontano di malumori e insofferenze in un partito che (anche) sulla sicurezza ha vinto le elezioni e governato bene (Maroni all’Interno, Alfano alla Giustizia) fino a qualche mese fa. E nel quale molti vedono il rischio di lasciare troppa strada alla Lega, oggi all’opposizione e pure strumentalmente impegnata a intestarsi la golden share su un tema tanto delicato e sentito dall’opinione pubblica. Ricapitolando, su 211 parlamentari pidiellini è mancato il sostegno di 76.

La fiducia quasi ‘bulgara’ incassata dal governo Monti solo una settimana fa anche per superare l’ostruzionismo dei lumbard arrivati in Aula con centinaia di emendamenti per ritardare, o meglio, far scadere i termini entro i quali il provvedimento andava approvato, ieri non ha fatto il bis. Piuttosto ha evidenziato la difficoltà di molti parlamentari a sostenere un decreto che per dirla con Alfredo Mantovano l’esecutivo dei Prof, voleva far passare, punto e basta. L’ex sottosegretario all’Interno non ci gira intorno quando dice che “se si respinge un ordine del giorno in cui si chiede al governo l’impegno a riferire sui primi due mesi di funzionamento del provvedimento, vuol dire che c’è la volontà di fare approvare un provvedimento al buio per un atto di fede. Dal mio punto di vista gli atti di fede si fanno solo per i dogmi di santa Romana Chiesa e non per provvedimenti pasticciati in materia di giustizia”.

Parole di certo non tenere, pronunciate da un esponente di spicco del Pdl noto per la sua moderazione, che pur non favorevole al decreto del Guardasigilli Severino sul metodo e nel merito, aveva proposto atti migliorativi e legato fino all’ultimo l’indecisione tra astensione e voto contrario proprio all’atteggiamento (e dunque alla disponibilità)  che sugli emendamenti avrebbe tenuto l’esecutivo. Come Mantovano l’ex sottosegretario Alberto Giorgetti e diversi deputati pidiellini che nei commenti in Transatlantico non hanno nascosto la preoccupazione di finire per ipotecare parte del consenso degli elettori che il partito da sempre ha saputo fidelizzare puntando su un programma rigoroso e pragmatico in tema di sicurezza, tradotto poi in provvedimenti e risultati di rilievo (vedi il modello Caserta per la lotta alla criminalità organizzata o il giro di vite sul carcere duro per boss e malavitosi) dall’azione del governo Berlusconi.

Oggi, il timore maggiore è che per lealtà e senso di responsabilità nel sostenere il governo tecnico incaricato di portare fuori il Paese dalla crisi, si rischi di cedere quote consistenti di consenso a favore della Lega che dalla ‘più comoda’ poltrona dell’opposizione tenta di proporsi come unica depositaria della tutela dei cittadini. E la manifestazione di protesta organizzata dal Carroccio davanti a Montecitorio mentre in Aula si discutevano ordini del giorno ed emendamenti, è servita strumentalmente e mediaticamente a questo. Non a caso lo slogan di rito era: “Noi stiamo con Abele: votiamo contro un decreto indecente, che è un indulto mascherato, non risolve nessuno dei problemi, ma riduce i livelli minimi di sicurezza della gente”.

Il dubbio di fondo è: “Quanto la scelta di sostenere gli atti di questo governo ci costerà in termini di voti alle prossime elezioni?”. Più che un dubbio, la domanda ricorrente di quei pidiellini – chi in buona fede, chi un po’ meno – che avrebbero preferito tornare al voto dopo la caduta del governo Berlusconi, il cui livello di insofferenza – specie tra gli ex An – si sta facendo sempre più evidente e non solo in materia di sicurezza. L’altra lettura che motiva il voto contrario e soprattutto l’assenza di 41 deputati, si sofferma su un segnale che in qualche modo si è voluto mandare al governo per il no di Monti alla candidatura di Roma per le Olimpiadi del 2020, altro tema di giornata che ha scatenato una ridda di reazioni politiche.

Anche nel Pd non sono mancate le defezioni: su 206 deputati hanno votato in 179, i cinque radicali si sono astenuti (come peraltro già annunciato) e 25 non hanno partecipato al voto. Idem per 12 deputati di Popolo e Territorio. Il ministro Severino ha difeso il provvedimento dichiarando che non si tratta di un “indulto mascherato, nè una resa dello Stato alla delinquenza”. Ma a non convincere chi ha votato contro ci sono in particolare due aspetti: il ricorso alla detenzione domiciliare e il passaggio sulle camere di sicurezza nelle sedi delle forze dell’ordine dove dovranno essere trattenuti i fermati in attesa di convalida.

Nel primo caso si giudica il ricorso “troppo ampio”, nel secondo “inopportuno e costoso visto l’attuale inadeguatezza anche sul piano dell’assistenza sanitaria, delle strutture che dovrebbero essere utilizzate, anzi attrezzate, per accogliere le persone in arresto col conseguente impiego in ruoli di vigilanza da parte delle forze dell’ordine che di fatto verrebbero sottratte ad altri compiti prioritari, quali quello del controllo del territorio”, è il ragionamento dei pidiellini più critici.  

E critico è pure Antonio Di Pietro per il quale il decreto “è di per sè criminogeno e rende un governo pavido correo dei delinquenti”. Diversa la posizione della maggioranza del Pdl che con Enrico Costa (commissione Giustizia) considera il provvedimento “non uno svuota carceri ma un salva carceri. Nessun delinquente finirà per strada e questo decreto rappresenta un ponte verso un sistema carcerario in cui la pena non è solo espiazione, ma anche recupero e in cui la custodia cautelare prima del giudizio deve essere un’eccezione”. Per il centrista Roberto Rao il testo approvato rappresenta “il primo passo davanti all’emergenza” e auspica “misure organiche per modificare in modo strutturale il sistema giudiziario italiano”. Sulla stessa lunghezza d’onda il Pd Emanuele Fiano: “Questo decreto rappresenta un nuovo inizio e serve alla sicurezza di questo Paese”.

Dibattito aperto, politica divisa.