Il ‘piano Annan’ dell’Onu finirà (purtroppo) col ridare fiato ad Assad
28 Marzo 2012
Troppo bello per essere vero. Con l’accettazione ieri dei sei punti del piano Onu da parte del regime di Bashar al-Assad, si è registrato un “importante passo iniziale” nelle trattative per il cessate il fuoco, queste le parole dell’inviato delle Nazioni Unite per la Siria Kofi Annan. L’Onu si candida, insomma, a diventare il mediatore politico tra le fazioni coinvolte nel conflitto siriano, a patto che il governo di Damasco mantenga quanto promesso: collabori con Annan; ponga fine immediatamente alle violenze, ritiri gli armamenti pesanti dalle città di scontro; fornisca libero accesso garantito ai soccorritori nelle zone di conflitto; rilasci gli attivisti pacifici arrestati; garantisca libertà di movimento ai giornalisti oltre a quella di associazione e manifestazione per i cittadini.
Un cauto ottimismo viene espresso anche da Hillary Clinton, segretario di Stato degli Stati Uniti, che ha richiesto ad Assad l’attuazione immediata del piano Onu. I ribelli del Comitato Nazionale Siriano (Cns) esigono la deposizione di Assad come precondizione per l’avvio delle trattative: la stessa condizione prevista nella prima risoluzione dell’Onu, bocciata da Cina e Russia in quanto non dimostrativa del volere della popolazione siriana. Una condizione, quella delle dimissioni di Assad, che ovviamente non è contenuta nel piano Annan ma che getta una luce sinistra sul destino del dittatore, a questo punto incriminabile per i più svariati crimini di guerra presso il Tribunale penale internazionale, qualora dovesse rimettere il suo mandato.
Per il portavoce del ministro degli Esteri russo, Alexander Lukashevich, l’uscita di scena forzata del presidente Assad sarebbe quantomeno “dannosa”, mentre il presidente russo uscente Dmitri Medvedev chiarifica come “la deposizione di Assad non significhi la fine di tutti i problemi della Siria”. Anche l’Iran è contrario alla destituzione arbitraria di Assad. Una posizione non condivisa dal premier turco Recep Tayyip Erdogan, che tenterà di convincere il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad ad assecondare la posizione delle altre monarchie arabe della regione, in un incontro previsto per oggi a Teheran.
Anche il Libano si è ormai schierato contro il governo siriano. A seguito dello sconfinamento delle truppe lealiste avvenuto negli scorsi giorni e culminato negli scontri tra miliziani e ribelli a Qaa, il presidente libanese Michel Suleiman ha comunicato ieri che il Libano “non tollererà altre incursioni” militari sul suo territorio.
Nello scenario di una Siria post-Assad, il Cns è stato scelto come rappresentante formale del governo siriano sia dalla Lega Araba, riunita a Baghdad in questi giorni, sia dalla Turchia, che ospiterà il primo di Aprile l’incontro internazionale degli “Amici della Siria”, chiamato a proporre un’alternativa credibile al regime, sotto forma di un governo transitorio e il cui operato sarà in seguito valutato dalla popolazione (con elezioni libere?). Il dittatore siriano ha già dichiarato che rifiuterà in blocco ogni proposta mossa dalla Lega Araba.
Nonostante questa investitura, il Cns non sembra ancora una valida alternativa al governo di Bashar al-Assad: i ribelli sono divisi tra loro, inferiori militarmente, senza fondi adeguati e senza un vero e proprio coordinamento tra i partiti in causa. Nessun aiuto di tipo tattico-militare è previsto dall’Onu, che si limiterà a inviare forniture di medicinali, di cibo e a supportare le comunicazioni tra i vari settori. Benché, sia lecito dire visto gli ultimi sessanta anni di piani onusiani, l’aiuto politico delle Nazioni Unite ad Assad sia già sotto gli occhi di tutti.