Il piano anticrisi del governo è troppo concreto per piacere all’opposizione
27 Luglio 2009
Il decreto anticrisi è stato approvato dalla Camera. In settimana, dopo il voto del Senato, chiuderà (insieme al Dpef) un’intera stagione che ha visto il Governo impegnato sul fronte della crisi. Durante il dibattito, un brillante deputato del Pd, Pier Paolo Baretta, capo gruppo in Commissione Bilancio ed ex segretario della Cisl, ha voluto fare un simpatico riferimento al protagonista del film “Oltre il giardino”, nel senso di paragonare il Governo e il premier Berlusconi al principale personaggio di quel film. Ovviamente, il deputato, nella metafora, ci ha messo un po’ di malizia perché Chance il giardiniere, interpretato da un grande Peter Sellers, diceva delle grandi banalità sulla crisi.
In un certo senso l’on. Baretta ha ragione. Il centrodestra, al pari di quel personaggio sempliciotto, è convinto che dopo l’inverno venga sempre la primavera (e che dopo la crisi tornerà la ripresa) secondo processi naturali che l’azione dell’uomo non può anticipare o ritardare più di tanto. Quelli del centrosinistra, invece, pensano ancora che sia necessaria una legge o un piano di sviluppo anche per fare sbocciare la stagione dei fiori. Il centrodestra crede nella “mano invisibile” cara ad Adam Smith, ha fiducia nelle forze vitali dell’economia e della società. L’opposizione passa da una visione catastrofista all’altra, perché, al fondo, il suo pessimismo non è altro che il riflesso della incapacità di capire ed interpretare questo Paese e di continuare a rappresentarlo non per come è – con tutti i suoi dannati problemi e le sue tremende contraddizioni – ma per come vorrebbe che fosse. Perché una società che non risponde ai suoi canoni è necessariamente condannata al declino.
Il dl 78 anticrisi è sicuramente un provvedimento importante che giunge alla fine di un semestre durante il quale la struttura produttiva e dei servizi ha rischiato ben più che il declino, fino a ritrovarsi adesso nelle condizioni di ripartire. Il Governo ha rifiutato, durante tutti questi mesi, le facili lusinghe del “bel gesto”, di presentare cioè – quando ancora non era possibile comprendere che cosa sarebbe successo all’indomani – un piano di risanamento e di sviluppo corredato dell’allocazione di risorse immaginarie, ma capaci di accendere la fantasia delle “anime belle”.
L’esecutivo ha adottato una strategia del just in time, intervenendo al momento opportuno ora in difesa delle famiglie più in difficoltà, ora garantendo il trattamento di integrazione salariale anche a quei lavoratori che ne erano privi, ora sostenendo alcuni comparti produttivi strategici.
E sempre assicurando sia un equilibrio tra entrate ed uscite ad ogni intervento, senza dover aumentare le tasse e ridurre la spesa sociale, sia la necessaria mobilità delle risorse disponibili sui punti di volta in volta prioritari, tanto al Nord, quanto al Sud.
Il dl 78 si muove, con maggiore forza ed organicità, all’interno di questa linea di condotta, con un impatto più generale. Mette in campo, insieme, una fiscalità agevolata per gli investimenti delle imprese, uno sblocco dei pagamenti della pubblica amministrazione, un allentamento del patto di stabilità con gli Enti locali. Preso da solo, ognuno di questi interventi può apparire inadeguato, ma non è così se si considera l’equilibrio nell’insieme.
L’opposizione – come se si dimenticasse della gravità della crisi – rimprovera al Governo un quadro di finanza pubblica molto serio, che dovrà essere affrontato in autunno, perché il Paese dovrà pure ridefinire – in tempi più lunghi di quelli individuati nella manovra triennale del 2008 – un percorso di rientro del deficit e di contenimento del debito. Ecco perché non ha senso insistere nelle reazioni che hanno accompagnato la norma sul rientro dei capitali dall’estero.
Il problema vero di questa misura non è dato dall’essere o meno etica, ma dalla concreta possibilità di avere successo. In quale altro modo potremmo reggere una situazione critica di finanza pubblica, nel tempo rapido che viene richiesto dalle cose, senza fare ricorso a strumenti come quello proposto dal Governo?
Dove e come si potrebbero trovare altrimenti – senza attardarsi in tiritere propagandistiche – parte di quei miliardi che occorreranno in autunno, in vista del 2010, se il Governo non intende – giustamente – peggiorare, con le tasse o con i tagli, la vita dei nostri concittadini ?
Da ultime vengono le pensioni. Prima ancora che gli effetti di misure stabilizzatrici della spesa – modeste, ma di carattere strutturale ed automatico – la vera novità è che il Governo (Dio benedica l’Europa e le sue istituzioni !) si è liberato delle riserve che aveva avuto nell’affrontare questa materia, nonostante le sollecitazioni a cui era sottoposto anche da parte di settori delle opposizioni. E’ uscito dalla Fortezza Bastiani in cui si era volontariamente recluso, come se l’emergenza condannasse alla paralisi delle riforme in materia di previdenza, mentre è vero il contrario.
Certo, nessuno deve illudersi – a partire dal Governo – che sia arrivata la fine della storia per un sistema pensionistico a cui vanno restituite maggiore flessibilità nelle scelte delle persone e maggiore equità e solidarietà nell’azione di tutela delle generazioni future. Ma anche i cammini più lunghi cominciano con un primo passo. E il Governo questo passo lo ha compiuto.