Il piano degli Stati Uniti? Mettere ko l’Euro per reindustrilizzare l’America

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Il piano degli Stati Uniti? Mettere ko l’Euro per reindustrilizzare l’America

30 Luglio 2012

Sembra un incubo lo stato attuale dell’Europa: debito, recessione, tasse alle stelle, decadimento dei processi di democrazia diretta a sigillo delle decisioni prese dai ‘grandi’ (molto mediocri) dell’Europa tecnocratica e a capo delle nazioni europee tutte, ricche e povere, grandi o piccole.

Se non fosse che le ragioni di tanta triste sorte son là sotto i nostri occhi – debito pubblico espressione di spesa pubblica fuori controllo, fisco oppressivo, sistema d’educazione nazionale marcio da decenni, controllo delle nascite, sgretolamento sociale e morale, solo per fare un piccolo vademecum dei mali italici ma che sono almeno in parte anche europei -, si sarebbe tentati di cedere alla lusinga tentacolare del ‘complottismo’, ovvero a quel piacere spasmodico checi spinge a trovare delle rapide ragioni intellegibili che spieghino il reale, storie di mani invisibili (non in senso smithiano del termine) che giocano a far male all’Europa e a voler decidere del destino dell’euro.

Sull’euro si può dire tutto e il suo contrario: che sia un’area monetaria non ottimale perché alla libera circolazione dei capitali non corrisponde un libero mercato del lavoro che segua i capitali nelle loro peregrinazione nell’area euro e nell’Unione europea. Si può dire anche che, come avevano previsto illustri economisti, l’euro avrebbe finito per creare più conflittualità intra-europea e non meno.

L’euro lo si può anche chiamare D-Mark, Marco tedesco, e forse non sarebbe errato (dovremmo prendercela con il presidente francese François Mitterand che non seppe negoziare comme il l’aurait fallu, come avrebbe dovuto, l’accordo franco-tedesco con il cancelliere Helmut Kohl riassunto nello scambio “riunificazione tedesca per europeizzazione del marco”).

Fatto sta che, di questi tempi, il fio del brutto e mal negoziato affare che si chiama moneta unica europea è facile ritrovarselo, da pagare, sotto gli occhi: un’Europa commercialmente, economicamente e, in ultima istanza, politicamente dipendente da Berlino (per citare Nigel Farage, Europarlamentare britannico dell’UKIP, “Viviamo in un’Europa a dominazione germanica, qualcosa che il progetto europeo avrebbe dovuto impedire”), oltre che un Euro sotto attacco speculativo e non molto amato neanche in Germania.

Vabbé, si dirà: sinora però di complotti neanche l’ombra, no? Beh, diciamo che v’è chi sostiene che dietro gli attacchi di quest’estate, così come dietro a quelli della precedente, quella del 2011, altro non vi sia che volute sferzate politiche all’Euro e al progetto politico europeo che vi soggiace ovvero tentativo di dare una qualche forma di soggettività economica e politica all’Europa sul piano internazionale.

Ora, ma chi dovrebbe volerlo il crollo dell’Euro e dell’Europa? La ferale Russia dello Czar Vladimir Putin? Macché. La sempre più assertiva Cina che vuole soffiare l’Europa quale area d’influenza economica, politica e culturale all’America? Sogni. Qualche emirato pieno zeppo di soldi in Medio Oriente? Non implausibile ma improbabile. Secondo la vulgata in circolazione, sarebbero, ebbene sì, gli Stati Uniti a voler la fine dell’Euro.

L’obiettivo di tanta pena? Beh, niente meno che la re-industrializzazione dell’America, da farsi con un grande attacco alle imprese europee le quali, una volta andato a picco l’Euro, sarebbero preda di una grande campagna M&A a stelle e strisce tra le rovine dell’Europa in recessione.

L’idea (si vuole caldeggiata in ambienti Repubblicani d’Oltre Atlantico) è di prendere ‘per un pugno di dollari’ una bella fetta della produzione ad alto valore aggiunto che il combinato disposto crisi fiscale – recessione farebbe crollare nelle nostre lande nei prossimi due anni e che gli americani sarebbero intenzionati a riportare spazialmente sul suolo americano.

Questo non solo per buttar giù il tasso di disoccupazione statunitense, ufficialmente al di sopra dell’8% (ma forse ben oltre il 10%, se si considera coloro che hanno smesso di cercare lavoro), ma anche per prepararsi al futuro match-race commerciale proprio con l’altro gigante industriale nel mondo, la Cina appunto.

E non si dica poi che di belle storie in giro non ve ne sono. Solo balle? Ma sì, solo delle mega bufale estive da colpo di sole in testa. Ci piace pensare (e sperare) che sia così.

Nel frattempo, tra un Draghi che dichiara che la Bce è “pronta a tutto” per salvare l’euro, un tandem Monti-Merkel che si ritrova dopo i tradimenti europei del premier italiano con François Hollande e Mariano Rajoy, e un Jean-Paul Junker, presidente dello Euro working group, che reitera il Draghi, tremiamo perché il peggio ha da venire e continua a frullarci per la testa che “a pensar male si fa peccato, ma spesso ci si azzecca”, anche quando si parla degli amici d’Oltre Atlantico.