Il populismo alla Grillo e la lentezza operativa della politica
10 Settembre 2007
Se nei prossimi giorni e nelle prossime iniziative il
successo degli strampalati comizi di Beppe Grillo dovesse ripetersi e magari
ampliarsi, ci sarebbe da riflettere con una
punta di serio allarmismo. Gli sberleffi ai politici sono da sempre il piatto
forte e a buon mercato di guitti, demagoghi e capi popolo. E tanto più
riscuotono successo quanto la classe politica è, come oggi, inetta, vecchia e
screditata. Fino ad ora, però, la diffusione della demagogia trovava il proprio
ostacolo nel fatto che anche la sua presa aveva un limite costituito dagli alti costi di trasmissione
del messaggio, dai limiti fisici della sua diffusione e dalla lentezza che, in
un ambiente politicamente ostile che controllava i media, incontrava la sua
propagazione. Il che dava la possibilità ai partiti e alle organizzazioni
politiche avvedute di correre tempestivamente ai ripari e di riassorbire lo
strappo. In genere senza eccessivi traumi. In mancanza di crisi economiche e
sociali, e di eventi esterni devastanti, non era facile scuotere le radici del
sistema politico.
Con internet,
ampiamente sfruttato da Grillo e dalla sua organizzazione, tutto questo
appartiene al passato. Milioni di persone hanno potuto seguire in diretta lo
svolgimento dell’evento bolognese ed altre lo potranno fare grazie appunto ad
internet che aggiornerà costantemente il messaggio originario adeguandolo in
tempo reale alle critiche e alle novità. A tale velocità della critica il
sistema politico è largamente impreparato.
Ad un
discredito di fondo che viene riscontrato ormai da anni da osservatori ben
diversi da Grillo — e l’ultimo esempio è il successo del volume La casta di
Rizzo e Stella — si associa la cronica incapacità di cimentarsi con successo
col critico che sa usare spregiudicatamente i media e le possibilità che
offrono, e la ben più grave difficoltà della politica di dare in tempo reale
risposta ai problemi sollevati. Di conseguenza il tempo che la classe politica
impiega a dare risposta alle critiche e a riacquistare così un minimo di
credibilità è tutto tempo regalato ai suoi avversari.
Ma se quella
di Grillo è l’espressione più palese di una radicale contestazione della
politica nel suo complesso, forse non è ancora quella più pericolosa. Il
rischio reale è infatti che quella stasi nella quale è piombata l’Italia, e che
trova espressione nelle difficoltà che
incontra il centro destra a trasformarsi in tempi brevi in un partito unico
nell’ambito del Ppe, o in un partito federato, ma, soprattutto, anche se si
tratta di cosa apparentemente diversa e sicuramente più seria, nelle dichiarazioni di Prodi e di Padoa Schioppa
secondo i quali la prossima finanziaria sarà caratterizzata da un mancato
aumento di tasse e di debito pubblico. Ovvero dall’incapacità di dare una
risposta a quelli che sono i problemi e le richieste del paese e il risultato
penoso della prevista mancata crescita del Pil .
Questioni come
si è detto profondamente diverse, ma dalle quali traspare con una certa
chiarezza l’incapacità di dare risposte in tempi brevi e di incidere sulla
realtà modificandola in una direzione. Una crisi profonda, che secondo un
numero crescente di preoccupati osservatori, potrebbe avere un unico esito: dar
vita ad un “commissariamento tecnocratico” dell’Italia.
E così, forse
involontariamente, l’impasse di un paese che non crescendo è destinato a
declinare, si associa e si fonde col discredio di cui l’iniziativa di Grillo è
espressione. Finendo per favorirla, e per favorire sbocchi politici
emergenziali di dubbia legalità democratica ma che poi si mostreranno, tanto
per cambiare, costituzionalmente inattacabili.
Il che pone a
tutti più di un problema. Che il nostro sistema politico possa lenire la sua
cronica lentezza operativa con una svolta presidenzialistica (il sistema
adottato da tanti altri paesi occidentali) è forse l’unica ipotesi realistica e
praticabile. Anche se purtroppo non in
tempi brevi. Opporsi ad essa significa lavorare per accelerare il disfacimento
del sistema per fini assai poco chiari. Pensare con Grillo e coi suoi
consiglieri politici che la soluzione possa essere il ripristino delle
preferenze è soltanto ridicolo.
Che questo
stato e questo modello politico siano in crisi non è in discussione. Ciò su cui
si dovrebbe invece discutere con una certa serietà è se tale crisi possa essere
superata eliminando la stessa politica come partecipazione alle scelte
pubbliche. Lo spazio della demagogia inconcludente è dunque illimitato quanto
pericoloso se non si hanno soluzioni. Ed in Italia di soluzioni condivise non
se ne vede nessuna all’immediato orizzonte, soprattutto dopo che Prodi, con
l’esigua e dubba maggioranza conseguita alle elezioni, ha chiuso tutte le porte
al dialogo istituzionale mettendo involontariamente in evidenza la palese
incapacità della sua rafazzonata maggioranza di fare una qualsiasi riforma
seria. Aumentare le tasse senza migliorare lo stato, quello che una volta si
chiamava “il sistema”, significa così lavorare per Grillo.