“Il premier ha ragione: alcune inchieste di mafia sono uno spreco di soldi”
11 Settembre 2009
di redazione
Da magistrato e da politico su una cosa Alfredo Mantovano non transige: il tentativo di riesumare teoremi politici attraverso la riapertura di fascicoli sulle stragi di mafia, già chiusi quindici anni fa per la "friabilità" degli indizi accusatori, come i decreti di archiviazione e le sentenze hanno certificato. Ben vengano le indagini se emergono elementi nuovi, ma basta dietrologie ideologiche peraltro già sperimentate – e senza alcun esito – da certa magistratura militante, è il ragionamento del sottosegretario all’Interno. Glissa, invece, sulle frasi del presidente della Camera perchè "non mi interessa partecipare al gioco di chi sta con Berlusconi e chi con Fini".
Onorevole Mantovano, che idea si è fatto della querelle sulle stragi di mafia?
Sono polemiche che vengono da alcune testate giornalistiche – sempre le stesse – e che rilanciano sulla scena il collegamento tra alcuni magistrati, alcuni giornali e alcuni personaggi politici. La tesi espressa, neanche tanto implicitamente, è che Berlusconi sia il mandante delle stragi di mafia o comunque il garante di una trattativa Stato-Cosa Nostra per la quale sono stati pagati dei prezzi. Credo che tutti sappiano e se lo sanno forse bisognerebbe ricordarselo, che Berlusconi è stato indagato per otto anni come mandante delle stragi mafiose, prima a Firenze fino al ’98, poi a Caltanissetta dal ’98 al 2002.
Ma dove è il discrimine tra atto legittimo di un magistrato e tentativo di insinuare un teorema politico-giudiziario?
Per otto anni due distinte procure hanno indagato anche su quando è stata fondata Forza Italia per capire se per caso il suo avvio non avesse preceduto le stragi e per dare sostanza all’ipotesi per la quale Cosa Nostra si sarebbe prestata a preparare il terreno a un governo di centrodestra. Non si contesta ai magistrati di fare le indagini e se sono emersi elementi nuovi è doveroso andare a verificarli; si contesta a qualcuno di mettere in circolo una serie di notizie che riprendono la storia di Berlusconi mandante delle stragi di mafia. E uno di fronte a questa impalcatura dovrebbe stare tranquillo?
Lei ha letto le carte di Firenze e Caltanissetta?
Ho letto le settantadue pagine del decreto di archiviazione emesso dal gip di Caltanissetta. L’ultima pagina si conclude con la frase, cito testualmente, "friabilità degli indizi" e leggendo quei provvedimenti giudiziari si coglie anche il fatto che all’inizio, i pm credevano veramente all’ipotesi accusatoria di Berlusconi mandante delle stragi. Entrambe le indagini si sono concluse con decreti di archiviazione che con decine e decine di pagine di motivazione, hanno detto in modo incontrovertibile che gli indizi a carico di Berlusconi erano "friabili" e quindi si imponeva l’archiviazione. Il dovere della magistratura è indagare su tutto ciò che apre prospettive all’individuazione di responsabilità e nuovi colpevoli. E questo non è assolutamente in discussione, quanto piuttosto una ripresa mediatico-giudiziaria-politica di quella sorta di spada di Damocle fatta pendere sulla testa del presidente del Consiglio. Ora, questo non ha alcun riflesso in Italia perchè gli italiani sono informati e si documentano ma all’estero sì, e produce un riflesso di delegittimazione sulla scena internazionale.
Secondo lei ci sono elementi nuovi tali da far riaprire i dossier sulle stragi di mafia?
Se rispondessi significherebbe che ne sarei a conoscenza e così non è. Le mie fonti di informazione sono i giornali e i giornali, però, descrivono scenari del tipo chi ha rubato la 126 utilizzata per la strada di via D’Amelio oppure se esiste il papiello di Provenzano. Non mi sembrano novità.
Però la questione dello spreco di risorse pubbliche su questo tipo di indagini sollevata da Berlusconi non le è sembrata un’uscita improvvida?
Berlusconi dice una cosa di assoluto buon senso. Mi domando quanto sono costati in termini di spesa e di risorse umane i due procedimenti che hanno portato all’archiviazione nei confronti del premier e quanto più utile sarebbe stato destinare le stesse risorse alla lotta vera alla mafia. Mi domando quanto è costato allo Stato il processo Andreotti la cui resa peraltro è stata pari a zero, e quante di quelle energie potevano essere impiegate nel contrasto alla criminalità organizzata, a Palermo e in Sicilia.
Risponda lei.
Io so solo per cognizione diretta, che negli anni del processo Andreotti c’erano importanti fatti di mafia che a Palermo hanno avuto solo con un certo ritardo l’approfodimento giudiziario che meritavano.
Un esempio?
Mi viene in mente un’indagine che svolse la commissione parlamentare antimafia della quale io ero il relatore. L’indagine riguardava le infiltrazioni mafiose nei cantiere navali di Palermo che fece emergere complicità e collusioni istituzionali oltrechè la penetrazione di Cosa Nostra nel porto del capoluogo siciliano. Le numerose denunce presentate in origine alla procura di Palermo non ebbero seguito e la stessa procura dette impulso all’inchiesta solo dopochè la commissione antimafia pubblicò la sua relazione. Successivamente il nostro lavoro di approfondimento e verifica fu utilizzato dalla procura per arrivare ad arresti e condanne.
Cosa risponde a chi vi accusa di fare la difesa d’ufficio del "capo"?
La cosa che amareggia di più è che queste polemiche vengono rivolte a un uomo a capo di un governo che nei confronti della criminalità organizzata e mafiosa ha fatto più di qualsiasi altro esecutivo. Penso alle misure della legge sulla sicurezza che hanno permesso di sequestrare il triplo dei beni ai mafiosi rispetto a quanto fatto nel passato, di chiudere le maglie del 41 bis, di stabilire il principio che se un imprenditore che vince un appalto riceve una richiesta estorsiva, ha l’obbligo di denunciarlo, altrimenti perde quell’appalto. Questa è l’antimafia dei fatti, anche se a qualcuno continua a piacere l’antimafia delle parole.
Ma allora come spiega le parole del presidente Fini sulle stragi di mafia? Molti nel Pdl l’hanno letta come una sottolineatura inopportuna e ingenerosa.
Mi avvalgo della facoltà di non rispondere. Battute a parte, l’interpretazoine giusta di quel passaggio mi sembra sia quella del ministro Alfano che ha detto se ci sono fatti nuovi si indaghi ma questo non significa continuare a tenere sospesa sulla testa del presidente del Consiglio la spada di Damocle di un teorema mediatico, giudiziario e politico.