Domenica 14 gennaio, al Congresso dell’UMP che lo ha investito candidato alla presidenziale, Nicolas Sarkozy ha tenuto un discorso dalle forti tinte golliste, a cominciare dalla conclusione “vive la France, vive la République”, che de Gaulle usava al termine di ogni suo sermone.
È vero che “Sarko” ha ridotto il gollismo ad una esigenza morale, all’intendere «l’esercizio del potere come un dono di sé», alla «convinzione che la Francia è forte solo quando è rassemblée (altro termine caro al vocabolario gollista)», al «rifiuto della rinuncia», alla «rottura con le idee comuni e l’ordine stabilito qualora questi trascinino la Francia al declino».
Tuttavia, il candidato dell’UMP, dopo aver sciorinato la litania dei gollisti che lo hanno aiutato e sostenuto nella sua carriera politica, da Jacques Chaban-Delmas ad Achille Peretti, da Edouard Balladur a Jacques Chirac, ha ricordato il panteon della tradizione francese, passando da Georges Mandel a Jean Moulin, da Clemenceau a Giovanna d’Arco, affermando, in puro stile gollista, che «la mia Francia è il paese che fa la sintesi tra l’Antico Regime e la Rivoluzione», «è una nazione che rivendica la sua identità, che assume la sua storia». Al di sopra di destra e sinistra c’è lo Stato, che deve essere imparziale, c’è la Francia, che è un destino comune.
Gollista è il suo dosaggio dei valori di equità, ordine e merito con l’apertura all’innovazione e alla modernità. Gollista è la sua visione della Francia come aperta ed accogliente, ma allo stesso tempo esigente il rispetto dei valori e delle leggi della Repubblica. Gollista è il suo rifiuto della lotta di classe, il pragmatismo nel dichiarare che «l’ideologia non è la risposta a tutte le domande». Gollista è la sua volontà di restituire autorità ed imparzialità allo Stato e ai suoi funzionari.
Vi è, però, un punto sul quale Sarkozy sembra prendere le distanze dal credo gollista, le istituzioni. Si tratta di una questione già dibattuta all’interno del suo partito (Sarko ne aveva già parlato nel gennaio del 2006) e che lo ha visto opporsi alla chiracchiana Michèle Alliot-Marie (ora schieratasi per la sua candidatura), la quale, nel dicembre scorso, in nome dell’ortodossia istituzionale gollista si era scagliata contro un Presidente ridotto al rango di attore politico comune e sottomesso alle stesse pressioni di un parlamentare.
Nondimeno, non si tratta secondo le parole del candidato gollista di «una nuova rivoluzione costituzionale»: troppe volte ormai si è cambiata la Costituzione. Si tratta, piuttosto, di dare una nuova interpretazione della figura del Presidente della Repubblica, chiave di volta della struttura istituzionale della V Repubblica. Il Presidente versione Sarkozy dovrà «impegnarsi non solamente sulle grandi opzioni, ma anche su tutto ciò che concerne la vita quotidiana dei Francesi», ben diversamente dal Presidente alla de Gaulle, al di sopra dei partiti (almeno ufficialmente) e lontano dalla cucina politica quotidiana. Il Presidente sarkoziano pretende è «un Presidente che governa», non un arbitro, «ma un leader che dirà prima di tutto ciò che farà e soprattutto che farà in seguito tutto ciò che avrà detto». È un Presidente che non usa il Primo Ministro come scudo, ma che impegna la propria responsabilità davanti ai cittadini, attraverso il referendum, e davanti al Parlamento, davanti al quale deve spiegarsi, distante dal Presidente gollista custode della durata e della continuità delle istituzioni.
Proprio i cambiamenti annunciati nel
rapporto tra Presidente e Parlamento sembrano essere l’innovazione
principale della sua proposta e rispondono a preoccupazioni ben
presenti anche nel Partito socialista
Infatti, il Ministro
dell’Interno è facilitato nei suoi intenti dal permanere di un
dibattito sulle istituzioni, riavviato nel 1997 con l’inizio di una
coabitazione quinquennale (dibattito però sempre presente in Francia,
dove, per dirla con Raymond Aron, le crisi politiche sono sempre
interpretate in chiave istituzionale). Sarkozy può anche contare sulla
riforma del quinquennato (ossia la riduzione del mandato presidenziale
da sette a cinque anni), approvata tramite referendum nel 2000:
infatti, la conseguente coincidenza tra l’elezione presidenziale e le
legislative (che infatti seguiranno dopo poche settimane i due turni
della prima) rafforza il legame tra il Presidente e la sua (eventuale)
maggioranza.
L’interpretazione
che Sarkozy dà delle istituzioni francesi, che sembra guardare più
oltre-Manica che oltre-Atlantico, ha un duplice obiettivo. L’ultimo, in
termini di tempo, è quello di opporsi nella campagna elettorale alla
candidata socialista, Ségolène Royal, che cerca di accreditare
l’immagine di un Presidente sopra le parti e più attento alle grandi
questioni nazionali quali la politica estera. In secondo luogo, gli
permette di prendere le distanze dal modello di Presidente incarnato da
Chirac, criticato da molti per non essersi dimesso dopo la sconfitta
del “si” al referendum sul Trattato di costituzione europea, a favore
del quale si era impegnato in prima persona.
Resta da vedere se
le sue proposte hanno un carattere meramente tattico o indicano
veramente l’interpretazione che egli vuole dare alla sua (eventuale)
Presidenza.