“Il prezzo che la Grecia pagherà per il ritorno alla dracma è l’iper-inflazione”
17 Maggio 2012
Il rischio di un’uscita della Grecia dall’eurozona tiene banco nel mega dibattito sul futuro dell’Europa. Se le prossime elezioni elleniche dovessero trasformarsi, come sembra, in un referendum a favore o contro l’euro, con connessa uscita dall’Ue, e il voto anti-europeo dovesse vincere, lo scenario di un ritorno della Grecia alla dracma diverrebbe inevitabile. Un sisma che arriva mentre a livello europeo la linea rigorista imposta dalla Germania della cancelliera Angela Merkel viene sfidata dall’insediamento del neo-presidente francese, il socialista François Hollande, fautore di una soluzione pan-europea alla crisi che accompagni al rigore misure di sviluppo.
Per capirci qualcosa di più l’Occidentale ha voluto parlare di Grecia, di eurozona, di crescita e rigore, con Fiorella Kostoris, economista e docente all’Università di Roma “La Sapienza”. Sulla Grecia, l’allieva del premio Nobel Franco Modigliani, non ha mezze parole: “Chi s’illude che un eventuale ritorno della Grecia alla propria valuta nazionale sia riproponibile in Italia, ha sbagliato i propri conti. Il prezzo da pagare sarebbe gigantesco”. E nel dibattito sulla crescita, Fiorella Kostoris ci dice che “bisogna agire dalla parte della domanda, aumentando la produttività”.
Partiamo dall’attualità ellenica. L’impasse nella quale versa la politica greca è grande. Secondo lei la Grecia resterà nella zona euro oppure no?
La permanenza della Grecia nella zona euro dipenderà prima di tutto dai greci. La Grecia farà quello che il suo elettorato vuole che faccia. Quindi non sarà l’Europa, il Fmi e chi più ne ha più ne metta, che potrà forzare la Grecia. Saranno i greci che decideranno se vogliono restare nell’euro oppure no. Le ultime elezioni hanno fatto emergere un quadro della situazione per la quale la maggior parte dei greci non sembra voglia rimanere nell’euro e nell’Ue. Staremo a vedere se lo stesso messaggio arriverà dalle elezioni del 17 Giugno prossimo, quando gli elettori greci saranno chiamati di nuovo a esprimersi.
Qualora effettivamente la Grecia uscisse dall’euro, è opinione diffusa che vi sarebbe un qualche effetto domino sul resto dell’Eurozona. Che impatto avrebbe in particolare sul resto dei paesi in crisi dell’Europa mediterranea?
Sicuramente vi sarebbe un effetto domino in un duplice senso. In primis, l’uscita della Grecia dall’euro, che spero non avvenga, determinerebbe una forte svalutazione della dracma rispetto all’euro, secondo una stima provvisoria, del 40% – 50%. Questo implicherebbe che i debiti pubblici greci, che sono per più di 3/4 dei debiti esteri, non verrebbero rimborsati, o sarebbero soggetti a un ennesimo giro di haircut. I possessori di titoli greci sarebbero danneggiati. Tra questi ci sono ovviamente anche le banche tedesche e francesi. Dunque l’effetto domino ci sarà e avverrà principalmente sul mercato dei titoli pubblici.
E il secondo senso?
In secondo luogo vi sarà un effetto molto negativo sull’economia greca. Forse all’inizio i greci si troveranno con qualche strumento di politica economica in più. La popolazione greca potrà forse inizialmente rallegrarsi visto che nel frattempo la politica monetaria sarà tornata nella mani della politica d’Atene. Ma dopo pochissimo vi sarà un’ondata d’iper-inflazione e allora inizieranno i guai. Ora qualche balordo del resto d’Europa potrebbe pensare che si potrebbe far lo stesso anche da noi in Italia, ritornando alla lira. Il problema è che da noi, ma anche in Spagna e Portogallo, sarebbe una catastrofe.
Perché una catastrofe? Ci spieghi…
Sa, di pulsioni antieuropeiste di questi tempi ve ne sono molte in giro per l’Europa. Sono figlie dell’ignoranza e della malafede di molti elettori. Il problema a questo punto è che non sono stati spiegati i reali costi dell’uscita dalla zona euro di paesi ad alto debito pubblico come la Grecia (160% debito/Pil) o l’Italia (120% debito/Pil). Un’eventuale uscita dall’unione monetaria per paesi come il nostro implica o che non si ripaghi il debito pubblico o che lo si ripaghi in parte, e allora ci si può aspettare che per molto tempo non ci venga più elargito alcun credito dall’estero, oppure che per ripagarlo ci impoveriremo ancora di più, visto che l’inflazione impoverisce le famiglie. Se poi le famiglie cercano di far aumentare i salari, si entra in una spirale salari-prezzi-svalutazioni che è un processo infernale da cui l’Italia e altri paesi, per fortuna, sono usciti. Se a qualcuno venisse in mente di far cadere il governo Monti – che a mio avviso è un esecutivo eccellente – perché per esempio qualcuno non vuol far passare la riforma del lavoro o per altri motivi, si deve assumere la responsabilità di spingere l’Italia verso uno scenario di tipo greco.
“Il governo Monti è un esecutivo eccellente” sostiene lei. Eppure molti criticano l’attuale governo per l’eccessivo ricorso al prelievo fiscale per far fronte alle emergenze di cassa e la timidezza sul fronte abbattimento della spesa pubblica. Non crede che anche in Italia sia giunto il momento di fare un po’ di politiche dal lato dell’offerta, abbassando tasse e riducendo la regolamentazione e dunque incidendo sui livelli di spesa?
Personalmente ritengo sia necessario smetterla di far credere che l’unico modo per far crescita sia quello di fare più spesa pubblica. E diciamo la verità: chi chiede oggi più sviluppo e meno rigore, chiede esattamente il deficit spending, la spesa con deficit. Dunque condivido l’idea che questa via non sia sempre giusta. Rispetto alla sua domanda, però, non condivido l’idea che in questo momento sia necessario fare politiche dal lato dell’offerta. Credo invece che la fase in cui viviamo sia contraddistinta da vari shock da domanda e non da offerta. Se gli shock vengono dalla domanda è la domanda che deve crescere. La supply-side economy, le politiche dal lato dell’offerta vanno bene in certi momenti, ma questo non è uno di quei momenti. Per questo sono contrarissima in questo momento ad avere dei vincoli costituzionali di pareggio di bilancio, questo perché la rigidità che impone tale strumento giuridico è limitante per alcuni paesi che hanno l’urgenza di rilanciare la domanda.
Quando pensa a politiche dal lato della domanda, a cosa si riferisce?
La politica del deficit pubblico deve essere tenuta sotto controllo. Un paese dall’alto debito pubblico come l’Italia non si può più permettere di fare deficit spending. La soluzione è fare politiche di rigore senza tassare ancora di più la gente e allo stesso tempo fare crescita chiedendo aumenti di produttività. Sono convinta che se facessimo in Italia un referendum a cui partecipassero solo i 25 milioni e più di italiani che lavorano, e chiedessimo loro: “Preferite essere tassati il 10% in più nei vostri redditi, oppure preferite lavorare 10 ore in più alla settimana e dieci giorni in più all’anno?”…
Che cosa risponderebbero?
Beh, sono convinta che la maggior parte dei lavoratori e delle lavoratrici opterebbe per maggiore lavoro piuttosto che maggiori tasse. Questo è un esempio che cade a pennello quando dico che c’è un modo inutile, se non dannoso, di fare rigore, e un modo utile e virtuoso di fare rigore. Nel primo caso, quello dell’aumento delle tasse sul reddito, si riducono le risorse disponibili delle persone e non si aumenta la produttività. Dunque si riduce il costo del lavoro per unità di prodotto solo abbassando il costo del lavoro. Nel secondo caso, invece, si lasciano invariati i redditi ma si ottiene una diminuzione del costo del lavoro non tagliando il costo del lavoro per unità di prodotto, bensì aumentando la produttività.
Secondo lei v’è modo in Italia di mettere in campo politiche del genere?
Incominciamo col dire che questo è l’unico modo per combinare rigore con crescita. Quanto alla sua domanda, credo che in Italia non vi sia la cultura politica necessaria per rilanciare la produttività in questo modo e non penso necessariamente ai partiti. Mi riferisco alla cultura dell’elettorato italiano. Per aver osato proporre di lavorare di più per rilanciare l’Italia, qualche anno fa, ho ricevuto le peggiori minacce della mia vita sulla mia email. Il problema degli italiani è che pensano che il salario sia dovuto. Un problema questo che non è solo italiano, ma che è anche di altri paesi europei.
Un’ultima domanda sull’Europa. L’arrivo del socialista François Hollande ha per l’appunto riaperto il dibattito sulla crescita. Secondo lei quale quadra sarà trovata a livello europeo tra Francia e Germania?
E’ probabile che si decida di far spendere in maniere diversa le risorse gestite dall’Ue. Visto che gli Stati non possono spendere di più, probabilmente verrà deciso di lanciare programmi pubblici finanziati con il bilancio comunitario europeo.
E gli eurobond?
Diciamo prima di tutto che cosa sono gli eurobond: sono titoli denominati in euro che si appoggerebbero sull’eurozona e sugli Stati europei con le economie più solide, Germania in primis. A mio avviso la carta “eurobond” è al massimo uno strumento temporaneo per far fronte alle difficile soluzione dell’ora. Di certo non si tratta di una soluzione di lungo periodo.