Il prezzo della nuova pace è la supremazia di Hezbollah

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Il prezzo della nuova pace è la supremazia di Hezbollah

16 Maggio 2008

 

Dopo una settimana di scontri e 100 morti, le parti politiche libanesi hanno trovato un accordo. Grazie alla mediazione della delegazione della Lega Araba, guidata dal premier del Qatar Hamad bin Jasem al Thani, il Libano torna a sperare. Tutte le parti si sono impegnate a rinunciare alle armi per la risoluzione delle loro controversie politiche, i miliziani hanno riposto il kalashikov, i blocchi stradali sono stati rimossi e l’aeroporto è stato riaperto. Queste le conseguenze immediate dell’intesa. A livello politico è stata inoltre concordata l’apertura di una serie di colloqui che si terranno da oggi a Doha, nella capitale qatarena, per arrivare alla costituzione di un governo di unità nazionale e alla promulgazione di una nuova legge elettorale. Una volta raggiunta l’intesa sulla formazione del nuovo governo, lo scoglio che di fatto ha paralizzato la vita politica libanese negli ultimi 18 mesi, sarà la volta del generale Suleiman, sul cui nome da tempo c’è l’accordo per una sua elezione alla carica di presidente della Repubblica. 

Tutto bene quel che finisce bene, allora, se non fosse per un “piccolo” particolare la cui lettura non può giustificare entusiasmi eccessivi. L’accordo, difatti, parla esplicitamente di governo di unità nazionale, ovvero di governo nel quale la minoranza, al momento Hezbollah, avrebbe diritto di veto: l’obiettivo al quale il Partito di Dio, assieme ai suoi alleati di Amal e dei cristiani del generale Aoun, aveva sempre puntato e su cui finora non era stato possibile superare la resistenza di Siniora. Godere di un potere d’interdizione su qualunque scelta del primo ministro, garantendo così la salvaguardia dei propri interessi, è pertanto un punto a favore di Hezbollah. Se a questo aggiungiamo il ritiro dei provvedimenti che avevano scatenato le violenze – lo smantellamento della rete telefonica clandestina e la rimozione del generale Wafiq Shuqeir da capo della sicurezza dell’aeroporto di Beirut – la vittoria del Partito di Dio è totale. Appena annunciato il raggiungimento dell’accordo, i sostenitori di Hezbollah sono scesi in strada a Beirut dando vita a caroselli di auto e sparando al cielo lunghe e ripetute raffiche di mitra. Così in Libano, e in tutto il Medio Oriente, si celebrano le vittorie. 

Adesso gli amici dell’Occidente in Libano sono più deboli. Da questo dato di fatto deve partire una riflessione che guardi con realismo a quanto è accaduto nel Paese negli ultimi tre anni. Dopo il ritiro siriano e l’assassinio dell’ex premier Rafik Hariri, Europa e Stati Uniti avevano tentato di recuperare il Libano appoggiando sunniti e drusi. L’Italia è stata persino il primo Paese a correre in aiuto di Siniora, subito dopo la guerra con Israele di due anni fa, facendo sbarcare i propri Marò nella sacca di Tiro, ma dopo di allora poco è stato fatto per potenziare seriamente il suo governo. Al di là delle parole e della solidarietà politica, non ci sono stati aiuti economici di rilievo e le forniture militari alle Forze Armate libanesi sono stati risibili. E’ stata messa in piedi la missione UNIFIL, ma con un mandato e un’aerea di responsabilità limitati. A sud del Litani l’autorità governativa è inesistente e i principali interlocutori dei caschi blu sono Hezbollah e Amal. Alla prova dei fatti, il governo Siniora si è rivelato per quel che era: una compagine debole incapace di imporsi su Hezbollah e garantire ordine e sicurezza. Un non governo, cioè. 

Vedremo quello che succederà adesso. Se nascerà davvero un governo di unità nazionale, con un peso preponderante dei filo-siriani e un effettivo potere di veto, o se invece lo stallo, dopo gli entusiasmi iniziali, continuerà. In entrambi i casi, Europa e Stati Uniti dovranno ricominciare da capo. E’ chiaro, il primo scenario è peggiore, perché è senz’altro un bell’esercizio d’ipocrisia parlare con un governo dominato da Hezbollah e far finta che dietro il Partito di Dio non ci siano Siria e Iran. Se l’Occidente vuole continuare ad avere voce in capitolo in Libano dovrà entrare nell’ordine d’idee che la musica è tornata quella antecedente alla rivoluzione dei Cedri del marzo 2005, per cui nessuna politica in contrasto con gli interessi siriani d’ora in poi sarà possibile. Ma anche il secondo scenario richiederà un nuovo approccio. Siniora è stato lasciato solo e i risultati si sono visti. Bisogna fare qualcosa in più e mostrare maggiore coraggio, ripartendo dall’unico strumento che oggi l’Occidente ha in Libano: UNIFIL. Non sarà un granché, ma al momento non ne esistono altri.