“Il principo è buono ma attenti a come viene attuato”
27 Giugno 2008
È possibilista, Carmela Cavallo, capo del Dipartimento per la giustizia minorile: « Non sono negativa sulle proposte di Maroni. Forse la comunicazione è stata un po’ affrettata e ha provocato un certo choc per chi non è del campo. Ma per me, che ho lavorato per anni con i bambini rom, si tratta di una proposta condivisibile se attuata con modalità che tutelano l’infanzia. Il principio è buono, bisognerà prestare molta attenzione a come verrà messo in pratica » .
Lei è d’accordo sulla proposta di prendere le impronte digitali ai rom minorenni?
Si tratta di un procedimento non invasivo, che ha come obiettivo accertare l’identità del minore. Perché l’identità è un valore e solo se si possiedono un nome e un cognome si possono esercitare i propri diritti. Io mi metto dalla parte del bambino e parlo alla luce delle molte esperienze che ho vissuto: è capitato spesso di prendere in carico dei piccoli di sette, otto anni che chiedevano l’elemosina in strada. Venivano messi in comunità e poi scappavano, così sei mesi dopo li ritrovavi, con un altro nome, in un’altra parte della città. Avendo le impronte digitali potremo identificarli e aiutarli meglio.
E per quanto riguarda la decadenza della patria potestà?
I bambini hanno dei diritti: devono andare a scuola e non essere costretti a mendicare o rubare. Sicuramente vanno allontanati dai genitori, o da coloro che si spacciano come tali, se c’è uno sfruttamento nei loro confronti, come stabilisce l’articolo 330 del Codice civile. Ma la decadenza della patria potestà non deve essere automatica: ogni situazione va accertata singolarmente per verificare, caso per caso, le condizioni della famiglia
Ci sono dei rischi in questi provvedimenti?
Occorrono delle modalità che tutelino i bambini. La raccolta delle impronte digitali, ad esempio, non deve essere affidata esclusivamente alla polizia. Devono essere i servizi a occuparsene, all’interno di un contesto adeguato.
Non c’è la possibilità che la raccolta di questo dati si trasformi in una ‘ schedatura etnica’?
Penso che questi dati debbano essere custoditi in un archivio apposito, a disposizione esclusivamente di determinati servizi che si occupano della tutela dell’infanzia. È un processo che si può studiare.
Intervista di Ilaria Sesana per l’Avvenire del 27 giugno 2008