Il problema della Libia resta la Francia
06 Agosto 2016
La situazione istituzionale libica è confusa. E continuerà ad esserlo ancora a lungo. Fayez al-Serraj non è a capo del governo di unità nazionale previsto dagli accordi di Skhirat, in Marocco, del dicembre 2015. Quello che presiede a Tripoli è più propriamente chiamato “governo nazionale dell’accordo (GNA)”.
Di fatto, il governo di Tobruk è ostaggio dell’ambizioso generale Khalifa Haftar, che comanda milizie autoproclamatesi “esercito nazionale libico”. Ne fanno parte molti ex-ufficiali di Gheddafi. E’ appoggiato dall’Egitto, dagli Emirati, dalla Russia e dalla Francia. Parigi, al solito disinvoltamente, ha riconosciuto Serraj, ma al tempo stesso, appoggia Haftar e le sue forze anti-islamiche.
Hafter vuole divenire ministro della difesa e comandante delle forze armate libiche. Controlla la Cirenaica, anche se attive nella regione sono tuttora vari gruppi islamisti non associati all’ISIS, ma ad al-Qaeda. L’intervento americano a sostegno delle forze di Serraj che da mesi cercano di conquistare Sirte, segna una nuova fase della guerra nel frammentato ginepraio libico. Il territorio è controllato da centinaia di milizie tribali e locali, che si contendono potere e ricchezza, quest’ultima prodotta ormai soprattutto dai traffici illeciti, dagli immigranti alla droga, alle armi.
Il problema della Libia non si risolve a Tripoli, a Bengasi o a Tobruk ma al Cairo e, soprattutto, a Parigi. L’Italia potrà concedere l’uso delle basi di Sigonella ed Aviano agli aerei Usa per tutto il tempo che il Pentagono considererà per eliminare le formazioni dell’Isis presenti in Libia. Eppure se il governo di Roma crede che i bombardamenti americani servano da soli a risolvere il problema libico sbaglia.
Il problema libico dunque non è l’Isis, che si può battere sul terreno lasciando che gli aerei di Barack Obama facciano il lavoro sporco, ma è la Francia e la sua decisione di arrivare a dividere la Libia almeno in due parti (Tripolitania e Cirenaica) pur di assicurarsi il petrolio della “quarta sponda”.
Dal 2011 ad oggi la situazione sul terreno libico è radicalmente cambiata, ma il nodo di fondo è rimasto lo stesso. Il Paese ha perso la sua unità, diviso com’è tra il governo di Tripoli, quello di Tobruk, le aree controllate dall’Isis e quelle tenute ben strette dalle varie tribù.