Il problema di un nuovo debito è non avere idea di come impiegarlo
20 Ottobre 2020
La crisi scatenata dall’emergenza da Covid19 torna a farsi sentire sul piano sanitario: dati preoccupanti sulla diffusione del contagio disegnano un trend allarmante quanto alla pressione che si annuncia sulle strutture sanitarie.
La reazione messa in campo dal Governo si affida ad interventi – per molti aspetti condivisibili e opportuni, assai meno per altri – che cercano di spaziare tra i tanti profili investiti dall’emergenza, ma che si intersecano con il varo della manovra finanziaria per il prossimo triennio, imposto dalle scadenze nazionali ed europee.
È inevitabile, pertanto, che anche di fronte ad una preoccupante escalation sanitaria, che delinea un quadro che lo stesso Presidente del Consiglio non ha esitato a definire “critico”, l’analisi scivoli sul versante economico. Numeri e contenuti della prossima legge di bilancio e dei relativi provvedimenti collegati riflettono, infatti, il significato politico della risposta alla crisi economica e sociale scatenata dalla pandemia, con una urgenza rafforzata dalla ripresa dell’emergenza sanitaria.
Ovvio, pertanto, che in questo scenario torni di attualità l’esigenza di chiarezza in ordine alle scelte che il Paese intende affrontare su uno dei temi maggiormente dibattuti nei mesi passati, e poi rimasto in un limbo privo di soluzione. Ci si riferisce alle problematiche legate all’accesso, o meno, dell’Italia ai finanziamenti erogati dal MES.
L’ultimo (per ora) capitolo in ordine di tempo è rappresentato da quanto dichiarato dal Presidente del Consiglio in occasione dell’annuncio della nuova strategia del Governo sul fronte dell’emergenza sanitaria. Costituisce una novità significativa apprendere ora, con un non irrilevante mutamento di approccio rispetto alle più sfuggenti indicazioni del recente passato, che il Governo in carica potrebbe prendere in considerazione (anche) l’accesso al MES solo in caso di tensioni sul fronte della liquidità, valutando non risolutivo questo strumento. Ma per il resto, è stato dichiarato, si tratta di altro debito aggiuntivo; per questo non sarebbe allo stato valutato come una priorità in termini di scelte strategiche dell’esecutivo.
Siamo lieti che finalmente il Presidente del Consiglio, dopo avere per mesi ripetuto che nessuna opzione era a priori esclusa o abbracciata, e che tutte erano allo studio, finalmente abbia colto un aspetto non certo misterioso o celato del MES. E cioè che, come più volte si è avuto modo di precisare, non si tratta di accettare o meno un gentile omaggio graziosamente elargito da generosi e disinteressati compagni di ventura, rispetto al quale potrebbero adombrarsi ritrosie sdegnose e difficilmente giustificabili; bensì è nuovo debito per uno dei Paesi già maggiormente indebitati al mondo in termini di rapporto con il PIL.
Piuttosto, ancora una volta per provare a sciogliere il dilemma paralizzante sul MES, va ribadito che, provando a valutare gli elementi oggettivi ormai noti, si tratta di finanziamenti per un ammontare corrispondente a circa 37 miliardi di euro, da rimborsare con un tasso di interesse particolarmente vantaggioso. Si tratta di risorse che, banalmente, andranno restituite, quindi, con l’aggiunta di un ammontare di interessi certamente esiguo, anche rispetto ai valori correnti di mercato già indubbiamente bassi nell’attuale corso.
Il che offre una possibile chiave di lettura del nuovo atteggiamento espresso dal Presidente del Consiglio in argomento: il dato qualificante sopra evidenziato e ora esibito come ostativo rispetto alla possibile adesione di questo esecutivo, se non costituisce ovviamente la scoperta di un arcano misterioso, può aiutare a svelare un emblematico atteggiamento di fondo, se analizzato da una diversa visuale. Non trattandosi di contributi a fondo perduto, è verosimile che i fondi MES risultino poco graditi da parte dei sostenitori di una gestione delle finanze pubbliche insofferente ad ogni forma di stimolo per una maggiore disciplina fiscale. Tanto da potere sperare di sostituire quelle stesse risorse con disponibilità ritenute ben più libere da esigenze di rigorosa gestione in funzione del rimborso del debito.
Si tratta dell’eterno miraggio del “fondo perduto”, tanto frenato ed osteggiato dall’esecutivo nel rapporto con i contribuenti e le categorie produttive sommerse dalla crisi, quanto reclamato a ristoro dei bilanci pubblici nel rapporto con le istituzioni finanziarie e corrispondentemente esibito come patente di successo in quella sede.
Tuttavia, non va taciuto un dettaglio niente affatto irrilevante: i tanto agognati contributi derivanti dal Next Generation UE, il poderoso (questo sì) piano di sostegni finanziari delineato dalla Commissione UE nella scorsa estate, in maniera quanto mai singolare nelle ore finali della maratona notturna di trattative tra i governi nazionali e la Commissione UE erano lievitati rispetto allo scenario iniziale per l’Italia proprio dell’importo di 37 miliardi di euro. Curiosa corrispondenza di cifre, che aveva indotto a non pochi sospetti retroscenistici sulla intenzione di offrire in questo modo una agile via di fuga rispetto alla convenienza economica del debito aggiuntivo erogato dal MES.
Sennonché è davanti agli occhi di tutti lo stallo in cui si dibatte il confronto tra gli organi della complessa governance europea su Next Generation UE e bilancio dell’Unione, con ritardi sulla effettiva data di avvio dei programmi di sostegno, e quindi sulla concreta disponibilità di risorse che amplificano le preoccupazioni derivanti dalla mancanza di una strategia effettiva del governo italiano. Posto che una lista monstre delle spese più disparate rivela l’assenza di una reale valutazione strategica unitaria, e quindi la fragilità intrinseca di ogni pretesa di accesso a un complesso sistema di finanziamenti e contributi segnato da selezione all’ingresso e rigorosa verifica di attuazione in corso d’opera.
Così, di fronte ai rischi di lacerazione politica interna, la fragilità e debolezza della strategia del governo sul versante del Next Generation UE, in assenza di un processo di coesione nazionale che superi gli steccati di schieramento, rischia di rendere quanto meno lontana la effettiva disponibilità di risorse che si pensava di poter furbescamente conseguire aggirando il tema MES sì/MES no, ed evitando sul nascere la necessità di affrontare in maniera diretta la questione.
Le indicazioni offerte dal Capo del governo, ancora una volta senza fornire una risposta diretta e chiara sull’argomento, sembrano però ora caricare di incertezze ed insidie il ricorso a tale forma di finanziamento. Affermare, infatti, che l’Italia potrebbe prendere in considerazione anche questa eventualità solo nel caso in cui si registrassero tensioni di liquidità, significa amplificare lo stigma connesso alla misura. Un aspetto di non secondario rilievo proprio per il noto ammontare elevatissimo del nostro debito pubblico e per la complicata gestione delle corrispondenti esigenze di rifinanziamento costante.
Se la scelta potrà essere fatta solo in situazioni di emergenza finanziaria particolarmente gravi, a ben vedere si richiamano condizioni non diverse da quelle già previste per l’ordinaria funzionalità del MES, chiamato ad offrire una opportunità per i Paesi aderenti di fronte alle possibili difficoltà di accesso al mercato. Perdendosi, allora, ogni autonomia della linea di finanziamento messa in campo dal MES come risposta all’emergenza sanitaria. Cioè il dato sul quale maggiormente si era insistito per segnalare la novità rispetto all’ordinaria operatività dell’istituto.
Richiamare tale accento in questo contesto pare volere caricare la eventuale opzione di tutta la paralizzante problematicità dettata da esigenze tattiche di politica interna, che sembrano non minimamente scalfite neppure dalle sconvolgenti verità di una crisi mai vista prima da generazioni.
E intanto si continua a sfuggire all’unica necessità obiettiva che impone davvero il tema: e cioè verificare se davvero gli organi competenti dell’amministrazione di questo Paese siano in grado di delineare, articolare, realizzare, monitorare e gestire in senso proprio un programma di interventi per i quali si renda possibile e utile il ricorso al MES. Senza questo confronto manca del tutto l’analisi, paralizzata da pregiudiziali ideologiche.
Se davvero esiste un piano di interventi necessari e suscettibili di essere finanziati con le risorse che potrebbero derivare dal MES, come ridefinito per rispondere alla pandemia da Covid-19, è bene che lo si esibisca e lo si illustri come ineliminabile contributo di chiarezza al dibattito pubblico.
Purché non si pretenda di spacciare in questa veste tentativi di spese del tutto eterogenee rispetto alle finalità consentite. Richiamare le generiche esigenze finanziarie del settore della sanità per giustificare la scelta di accedere al finanziamento in esame, senza dettagliare quanto davvero in agenda e con quali caratteri di ammissibilità specifica, rischia di avere poco senso se quelle eventualmente disponibili sono risorse limitate a non più di due anni circa. Il risultato è che continuare a ribadire acriticamente mere esigenze di potenziamento dell’edilizia sanitaria o di una ripresa delle assunzioni di personale medico e paramedico significa, in realtà, non volere cogliere le caratteristiche del finanziamento stesso, che non potrà essere finalizzato a tali scopi proprio perché caratterizzati da assunzioni di oneri di lungo periodo, o permanenti, incompatibili con le caratteristiche dello strumento.
E qualunque buon amministratore dovrebbe sapere anche che ipotizzare di mettere in campo un programma di dotazione strumentale a medio termine per la sanità richiede parallelamente l’avvio di un piano di accantonamento finanziario a scopo di ammortamento: altrimenti, al termine della possibilità tecnica di utilizzo di quelle dotazioni ci si ritroverà di fronte ad un ancora più pericoloso vuoto della capacità di risposta sanitaria collettiva.
Che ci piaccia o no queste sono le regole. E questo impegna a mobilitare una più rigorosa capacità di analisi e selezione per verificare se davvero, ed eventualmente in che misura, esistano progetti rispondenti alle caratteristiche richieste per poter fruire di questa forma di finanziamento a tassi vantaggiosi.
Certamente una linea di finanziamento quale quella in esame potrebbe coprire le esigenze di vaccinazione di massa e straordinaria della popolazione. Oppure potrebbe offrire le risorse finanziare per sostenere una campagna massiccia di test diffusi in grado di esprimere una risposta proattiva alla diffusione del contagio; e magari evitare il ripetersi di indecorose (per non definirle altrimenti) situazioni quali quelle registrate proprio in queste settimane per effetto della impreparazione elevata a regola di condotta dei decisori pubblici nella risposta alla pressione sanitaria. E altre possibili finalizzazioni certamente potrebbero emergere se si mettesse da parte ciò che è estraneo alla dimensione squisitamente oggettiva e finanziaria dell’istituto.
Ma di questo non si parla nel dibattito degradato a più misera propaganda a fini interni.
Di fronte alla grandiosità della minaccia planetaria di una crisi economica e sociale quale quella scatenata dal Covid-19, più che affrontare in maniera trasparente e diretta la responsabilità della scelta, il nostro governo pare erigere i vessilli della propaganda, per una scelta che però dovrebbe coinvolgere la responsabilità dell’intero Paese, e non solo dell’esecutivo pro tempore.
È doveroso, invece, richiamare ancora una volta i nostri decisori pubblici al coraggio della responsabilità. Che non si ritrova in esibizioni di maniera, ma nella individuazione di programmi e progetti concreti ed effettivi, in grado davvero di impegnare gli stanziamenti eventualmente derivanti dai finanziamenti MES per la crisi pandemica.
Nel senso che è doverosa una definitiva operazione trasparenza che faccia finalmente mettere la parola fine al tergiversare attendista per mere esigenze di politica interna di corto respiro, poco edificante soprattutto di fronte alla drammatica grandiosità degli eventi da fronteggiare, e consenta di verificare senza distorsioni ottiche di sorta se ci sono le condizioni oggettive, prima delle opzioni politiche, per una scelta i cui effetti sono destinati a ricadere anche sulle generazioni future.
Sarebbe bello assistere alla sostituzione di tatticismi opportunistici per una più importante scelta di responsabilità nell’analisi e nelle strategie.