Il problema è il capitalismo di Stato e non la spesa in Difesa
14 Febbraio 2012
di E.F.
Ieri il ‘Corriere della Sera’ ha pubblicato un pezzo a firma Marco Nese “Fregate, sottomarini e caccia Quelle pressioni di Merkel e Sarkò per ottenere commesse militari”, nel quale si dà conto di come i governi tedesco e francese abbiano ‘ricordato’ al governo Papandreou nel corso degli ultimi due anni – lo stesso lasso di tempo durante il quale la Grecia era osservato speciale per la crisi dei propri conti pubblici –, gli impegni assunti dal precedente governo Kostas Karamanlis e non solo nell’acquisto – o nelle promesse di acquisto – di prodotti di difesa (fregate, sottomarini appunto, ma anche carri armati e sistemi missilistici).
L’accusa del pezzo del Corriere (non è il primo sulla faccenda: se ne sono già occupati largamente i giornali ellenici oltre che il Die Zeit e il WSJ) è che Germania e Francia, ovvero Merkel e Sarkozy, abbiano barattato la concessione degli aiuti UE alla Grecia con il rispetto di commesse greche precedentemente contratte – o addirittura nuove – con le industrie belliche franco-tedesche.
Ora, gli americani hanno una espressione forte per esprimere un pizzico di sprezzo da affibbiare agli argomenti altrui, ’So, big deal!’. Il problema non è tanto la spesa in armamenti della Grecia (l’occhiello del pezzo di Nese sul ‘Corriere’ recita "Il bilancio della Difesa ellenico a livelli record"), sulla cui minore o maggiore opportunità gli unici chiamati a decidere sono soltanto i cittadini greci, i quali lo fanno con uno sguardo alla propria storia, alle proprie priorità strategiche e su linee di demarcazione politico-partitiche la cui legittimità è totalmente sottratta al giudizio politico europeo, anche in presenza di un governo tecnico. Si chiama sovranità ed è intimamente connessa con la sicurezza nazionale di qualsiasi comunità. Un ragionamento che resta valido anche in tempi di rivolte urbane, di saccheggiamenti, di maxi-tagli alla spesa pubblica, d’austerità, e di governi non eletti direttamente dal corpo elettorale.
Il problema sta altrove. Ma andiamo per ordine. Il governo di Kostas Karamanlis, premier di centrodestra greco tra il 2004 e il 2009, segnava tra le proprie priorità nell’azione di governo la spesa appunto in difesa e prima di lui anche il premier socialista Kostas Simitis tra il 1996 e il 2004. In momenti diversi, i due governi avevano predisposto commesse militari significative.
Simitis in particolare aveva fatto una promessa d’acquisto per 90 eurofighter del consorzio franco-tedesco-spagnolo EADS nel 1999. Per non essere da meno, Kostas Karamalis – in buoni rapporti con la Cancelliera tedesca Merkel – ordinò 170 panzer Leopard 2 alla Krauss-Maffei-Wegmann, un’industria bellica tedesca. Ancora sotto Giorgios Papandreou, la Grecia ha acquistato 223 vecchi carri armati classe M109 dallo stock di mezzi blindati della Bundeswehr, l’esercito tedesco e un sottomarino classe 214 dalla ThyssenKrupp.
La Grecia prima della crisi spendeva il 6% della proprio Pil in difesa. Nel 2010, in piena crisi, Atene ha speso più del 3% del proprio Pil in difesa, una percentuale rispetto al prodotto nazionale ancora oggi tra le prime al mondo.
Ora tutto lo scandalo starebbe, almeno stando a quel che si legge tra le righe degli articoli apparsi in Europa sull’argomento, in quegli “inviti” fatti alla Grecia dai governi di Francia e Germania -in tandem per quel che riguarda EADS e a livello bilaterale per i rispettivi prodotti militari nazionali – ad acquistare e pagare i mezzi già in possesso dalla Grecia o per i quali Atene aveva fatto promessa d’acquisto.
Ciò sarebbe avvenuto, si riporta tanto sul Corriere quanto sul Die Zeit, ancora in varie occasioni durante tutto il 2011, quando il primo ministro era il socialista Giorgios Papandreou, il quale a dire il vero aveva in uggia tanta spesa militare. Quello appena trascorso è stato un anno piuttosto delicato per Atene nel quale la Grecia è stata costantemente in negoziato tanto con l’Unione Europea quanto e soprattutto con Parigi e Berlino per l’ottenimento dei fondi per il piano di salvataggio.
Se effettivamente fosse dimostrato che il governo greco abbia ricevuto pressioni sul fronte commesse dai governi francese e tedesco, ciò sarebbe un’ulteriore riprova della totale arroganza delle leadership di Parigi e Berlino, soprattutto alla luce del ruolo che queste due nazioni pretendono di giocare dentro l’UE. Dato però che indignarsi per una mezz’ora è la soluzione più semplice, sul banco degli imputati dovrebbe finirci, più che il personale politico – per definizione in transito -, il capitalismo di Stato, quello dei settori detti "strategici" come difesa e energia, e le corruttele che esso produce, specialmente quando regolatore e erogatore del bene e/o servizio coincidono con lo stesso funzionario o eletto.
Il problema, in summa, non sono le retro commissioni che pure ci saranno state (un caso su tutto quell’ex ministro della difesa greco Apostolos Tsochatzopoulos), nè le pur immorali pressioni che il governo greco possa aver subito da Parigi e Berlino su questo fronte, ma è la mancanza di trasparenza prodotta dallo Stato che produce le armi e che "chiede" (?) ai propri politici di venderle durante le visite ufficiali o addirittura nel bel mezzo di una problem solving crisis com’è quella greca.
A ciò si aggiunga l’ipocrisia (che si trasforma in ancora maggiore opacità e vischiosità) che fa prevalere un’immagine sporca dell’industria bellica tanto diffusa in parte dell’opinione pubblica europea e che la relega lontana da un regime di controllo pubblico, in un settore del mercato di beni e servizi che da sempre è stato volano di crescita economica e di sviluppo tecnologico (Jean Klein, professore di Strategia a Parigi I amava ripetere che "il Rinascimento italiano fu tale perchè gli italiani costruivano meglio degli altri le armi, e facevano tecnologia").
Se la politica degli Stati uscisse dal business delle armi e operasse su di esso un completo riordino della disciplina operativa quanto a circolazione di informazioni, prodotti e capitali, senza demonizzazioni pubbliche e anzi in piena legittimizzazione della necessarietà di un’efficiente industria bellica, queste ondate d’indignazione sul business politico delle armi non esisterebbero. I gruppi dell’industria bellica europea come EADS, ThyssenKrupp, Krauss-Maffei-Wegmaan, Diehl BGT Defence, così come Thales, BaE Systems e via discorrendo, sarebbero pienamente incentivate ad operare alla luce del sole, senza l’aiuto della politica.
Infine, quanto al rimprovero in auge di questi tempi – e implicitamente rivolto alla Grecia nel pezzo di Nese – sugli eccessivi investimenti in difesa, per capirne l’infondatezza basti andarsi a leggere questo bello studio pubblicato da Stratfor nel 2010 “The Geopolitics of Greece: A Sea at its Heart”. La storia nazionale greca, la vicinanza con una potenza espansionista di ieri, l’Impero Ottomano e di riflesso con una Turchia ottomanizzante in rinascita oggi, oltre alla necessità di esercitare un controllo su più di 6000 isole, rende necessario un cospicuo investimento greco in difesa.
Come ha affermato Dimitrios P. Droutsas, ex ministro degli esteri greco, citato proprio nel pezzo del Die Zeit dello scorso 5 Gennaio: “Da ministro degli esteri ogni pomeriggio ricevevo un report dal Dipartimento della Difesa con un elenco delle violazioni turche del nostro spazio aereo. .. Che ci piaccia o meno, la Grecia sarà costretta ad avere un esercito forte”.