Il problema infrastrutture blocca l’Abruzzo, Pescara ancora alle prese con il dragaggio
19 Aprile 2011
di V. F.
La missione, possibile, stavolta è quella di salvare il porto canale di Pescara. L’insabbiamento sta diventando un vero e proprio dramma che rischia di sancire l’atto di morte di una infrastruttura fondamentale per la città e per l’intera Regione.
Dopo mesi il dragaggio è ancora bloccato. Il macchinario che tratta i fanghi è stato spento e per riattivarlo bisognerà attendere l’arrivo dei tecnici dal Belgio. Tutto fermo fino a martedì dopo Pasqua. Lo scalo quindi è impraticabile e la marineria minaccia di abbandonare definitivamente il porto per trasferirsi ad Ortona e Giulianova. Così ieri in Consiglio comunale è andata in scena l’ennesima bagarre. Gesti plateali, striscioni dell’opposizione e persino la comprensibile dichiarazione del sindaco di Pescara, Luigi Albore Mascia, di incatenarsi al fianco dei pescatori.
Perché, anche se immancabilmente, l’opposizione sta cavalcando strumentalmente il problema, quella per il Porto di Pescara è una battaglia trasversale che riguarda – e che deve riguardare – tutti e che sta a cuore a tutti. I nervi sono tesi, certo, la situazione sembra precipitare di giorno in giorno e come al solito le responsabilità hanno radici profonde. In questa chiave va letto anche lo scambio di accuse che c’è stato tra il presidente della Regione, Gianni Chiodi, e il sindaco di Pescara. Perché in questi casi una parola è poca e due sono troppe e il malinteso è dietro l’angolo. L’amministrazione comunale e il governo regionale ce la stanno mettendo tutta, ma i dubbi su come la vicenda sia stata gestita da enti esterni, restano.
Una matassa difficile da sbrigliare, perché la loro parte hanno cercato di farla tutti: la Regione da un parte e il Comune dall’altra. Per questo nessuno ci sta sentirsi colpevole e così va in scena la parodia del tutti contro tutti. Ma il problema esiste e va risolto. E di certo i maledetti fanghi che stanno soffocando il Porto non si sconfiggeranno con lo scambio di accuse. Ciò che ora serve è la condivisione, un fronte comune di tutte le istituzioni coinvolte, che sappiano fare la voce grossa per rivendicare le giuste prerogative. Perché tra balletti di responsabilità e lungaggini burocratiche, culminati con il dietrofront del commissario straordinario per il dragaggio, Alessandro Goio, a rimetterci è solo il tessuto economico e sociale abruzzese.
A voler essere precisi, il dragaggio è un affare di competenza esclusiva del Provveditorato alle opere pubbliche. Ma ancora di più, il porto di Pescara è uno scalo marittimo di rilevanza nazionale e per questo della questione dovrebbe farsi carico lo Stato. La Regione ha già stanziato dei fondi, pur non avendone l’obbligo, che però non sono sufficienti per i necessari interventi di carattere strutturale. Ora, quindi, la responsabilità deve passare ai ministeri competenti. E infatti tra giovedì e venerdì è fissato l’incontro con il ministro alle Infrastrutture e ai Trasporti, Altero Matteoli, e il Capo della Protezione civile, Franco Gabrielli. Un’occasione importante, alla quale le istituzioni locali tutte, dai parlamentari abruzzesi ai consiglieri regionali e comunali, devono presentarsi parlando all’unisono.
La questione del porto in realtà non è altro che un aspetto della più grave situazione in cui versano le infrastrutture nella Regione. Eppure c’era un tempo in cui l’Abruzzo era il Nord del Sud; in cui era la prima regione a lasciare la Cassa del Mezzogiorno. Oggi l’Abruzzo arranca per recuperare un deficit di infrastrutture che lo allontana pericolosamente dal Nord dell’Italia. E il fatto che sia in “buona” compagnia (di Calabria, Basilicata, Molise) non è una consolazione. Le infrastrutture sono linfa vitale per il territorio, eppure qualche giorno fa un servizio de IlSole 24 ore ha tracciato una preoccupante mappa delle regioni senza strade e senza reti, evidenziando un “gap infrastrutturale” tra il nord e il sud del paese preoccupante. E in gioco non c’è solo lo sviluppo economico, ma anche la coesione e la solidarietà sociale.
Oggi a tutti questi mali tenta di porre rimedio il federalismo fiscale e in particolare il decreto in questi giorni all’esame della Bicamerale. L’obiettivo è “accorciare” l’Italia e per farlo il decreto punta sulle risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione (ex Fondo per le aree sottoutilizzate). Per accedervi è necessario presentare progetti strategici che saranno oggetto di contratti istituzionali, chiamati a responsabilizzare le istituzioni coinvolte, che saranno sostituite da commissari governativi in caso di inerzia. Con una consapevolezza in più, dunque. Che la prima infrastruttura è la responsabilità.