“Il problema non è come si danno i soldi ai partiti ma perché si danno”

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“Il problema non è come si danno i soldi ai partiti ma perché si danno”

13 Aprile 2012

“La discussione sul finanziamento pubblico chiama in causa innanzi tutto lo status giuridico dei partiti politici che, in base alle norme vigenti, sono associazioni private che, di fatto, svolgono però funzioni di natura pubblicistica”. Esordisce così Giuseppe Calderisi, parlamentare del Pdl noto per il suo impegno sulle tematiche istituzionali, in merito al dibattito in corso sulla modifica delle regole che disciplinano il finanziamento ai partiti.

“Oggi i contributi pubblici sono tutti erogati sotto la veste di rimborsi per le spese elettorali. Questa fu la risposta che diede il sistema politico dopo il referendum del ‘93 che abrogò a maggioranza schiacciante il finanziamento pubblico ai partiti e dopo che una legge del ‘97 tentò senza successo di recuperare le sovvenzioni attraverso il 4 per mille”.

Si trattò di un escamotage, di una sorta di raggiro linguistico?

“Il referendum aveva abrogato il finanziamento pubblico, ma non i rimborsi elettorali (che i radicali non avevano incluso nel quesito referendario). Rimborsi che costituivano allora una quota minoritaria dell’ammontare complessivo dei contributi pubblici.”

E cosa accadde?

“Si decise di stanziare 4 fondi: due per le elezioni di Camera e Senato, uno per le Europee e uno per le Regionali, ciascuno pari alla somma risultante dalla moltiplicazione dell’importo di un euro per il numero degli elettori aventi diritto al voto per la Camera dei deputati. Cioè circa 50 milioni di euro per ciascuno fondo, da suddividere tra i partiti in proporzione ai voti ottenuti, indipendentemente dalle spese elettorali effettivamente sostenute, e da erogare per il 40% nell’anno delle elezioni e per il 15% in ciascun anno della legislatura. Occorre anche precisare che questi fondi hanno già subito tre riduzioni ciascuna del 10%, operate una sotto il governo Prodi e due sotto il governo Berlusconi, dapprima a fine 2007, con la finanziaria del 2008, e successivamente con le manovre finanziarie del maggio 2010 e dell’agosto 2011. Quindi per le prossime elezioni il rimborso elettorale è già decurtato di un significativo 30 per cento.

In realtà vedendo i bilanci e i rendiconti delle spese che i partiti sono obbligati a presentare è risultato immediatamente evidente un elemento: che le spese sostenute sono sempre state di gran lunga inferiori al rimborso incassato.

“È vero, i “rimborsi” risultano essere maggiori delle spese dichiarate, addirittura fino a dieci volte, per alcuni partiti. E se, indubbiamente, occorre tener conto anche delle spese per le elezioni amministrative (per le quali non c’è rimborso), è evidente che i contributi pubblici servono a coprire le spese di gestione e delle attività politiche ordinarie dei partiti. Il che pone il problema della natura giuridica dei partiti politici.

Che cosa intende dire?

“Fintanto che i partiti sono considerati, come sono adesso, associazioni private che svolgono una funzione di natura pubblicistica solo nel momento delle elezioni, allora il contributo pubblico è giustificato solo come rimborso delle spese elettorali, ovviamente quelle effettivamente sostenute (entro un ammontare massimo). Il finanziamento pubblico per tutte le altre attività dei partiti sarebbe invece pienamente giustificato qualora si concedesse ai partiti una personalità giuridica, in relazione alla funzione pubblicistica e direi, anzi, costituzionale che essi svolgono. La questione fu già discussa in seno all’Assemblea Costituente (art. 49) dove fu proposta, in particolare, da Costantino Mortati. Fu il Pci, in particolare ad opporsi (temendo che il principio del “metodo democratico” esteso alla vita interna dei partiti potesse consentire di metterlo fuori legge, così come avvenne in Germania per i partiti estremisti). Il tema fu poi riproposto da Sturzo nel 1958 e in seguito anche da vari altri esponenti della cultura liberale, cattolica e laica. Ma quando, nel 1974, fu approvata la prima legge sul finanziamento pubblico dei partiti (la legge Piccoli) si scelse la strada del “finanziamento senza riconoscimento” anziché quella del “riconoscimento per il finanziamento”. Strada estremamente contraddittoria, da allora mai cambiata, neppure dopo il referendum del ’93.”

Siamo quindi di fronte a due possibilità: tornare a contributi pubblici limitati al rimborso delle spese elettorali effettivamente sostenute, senza riconoscere la personalità giuridica dei partiti, oppure prevedere il finanziamento pubblico vero e proprio a fronte del loro riconoscimento ?

“Per dare una risposta politica adeguata alla crisi in atto, una crisi che rischia di travolgere il sistema politico e con esso la nostra stessa democrazia, i partiti devono procedere a significative riforme istituzionali, ivi compresa quella del finanziamento pubblico e dell’attuazione dell’articolo 49 della Costituzione. Occorre uscire dalla contraddizione, non si può volere la botte piena e la moglie ubriaca. Se si vuole mantenere un finanziamento pubblico di ammontare pari o comunque vicino a quello erogato oggi bisogna necessariamente accedere alla concezione del partito come momento della vita istituzionale dello Stato e quindi prevedere l’obbligo di depositare uno statuto che risponda a requisiti minimi di democrazia interna, in particolare con diritti e doveri degli iscritti, garanzie per le minoranze, criteri per la selezione delle candidature, trasparenza dei bilanci. Ovviamente salvaguardando al massimo l’autonomia e la libertà di scelta del modello organizzativo che ciascun partito vuole darsi.

Oggi la proposta non va proprio in quella direzione. I partiti sembrano essersi messi d’accordo per aumentare il livello dei controlli e delle sanzioni o poco più. Che ne pensa?

Si tratta solo di un primo passo, alla Camera è stato già calendarizzato per l’ultima settimana di maggio l’esame delle proposte per l’attuazione dell’articolo 49. Nel Pdl ci sono varie posizioni. Mi auguro che il dibattito sia approfondito e serrato. Pd e Terzo polo hanno presentato le loro proposte, occorre che anche il Pdl definisca al più presto la propria.