Il problema non è Karzai ma se l’Afghanistan vuole la democrazia
21 Ottobre 2009
Obama, Ban ki Moon, Solana, giudicano positivamente che Karzai abbia accettato il verdetto della commissione elettorale indipendente, il ballottaggio del prossimo 7 novembre. Il presidente afghano ha evitato una messinscena in stile iraniano, ma non ha fatto una bella figura con il suo popolo. La commissione ha decretato che un milione di schede e più sono state contraffatte. Dopo il riconteggio, il suo avversario Abdullah ha guadagnato tanti punti percentuali da meritarsi un’altra chance.
Karzai probabilmente continuerà a definirsi il ‘presidente di tutti’, anche se in realtà è l’espressione del blocco di potere pashtun che ha monopolizzato la storia politica del Paese. Il suo rivale invece piace per il carisma, perché ha combattuto con i Mujaeedin ed è un seguace del comandante Massud – ammazzato dai Talebani poco prima dell’11 Settembre. Se il sale delle democrazie è la possibilità di un ricambio politico, i tagiki, che appoggiano lo sfidante e rappresentano il secondo gruppo etnico del Paese, potrebbero cogliere l’opportunità di un cambiamento.
Ma che effetto avrà la notizia dei brogli sulla popolazione di una giovane democrazia come quella afghana? Quante persone torneranno a votare a novembre? Il vuoto delle prossime settimane favorirà la guerriglia e i Talebani? L’alternativa al ballottaggio è un governo di coalizione, annunciato e poi smentito nella giornata di ieri. Si dovrebbe modificare la Costituzione ma il complicato patchwork afghano, le divisioni tribali fra pashtun, tagiki, uzbeki, azari, sono un ostacolo.
Dobbiamo chiederci se i Paesi occidentali abbiano usato l’approccio giusto in Afghanistan. Se il popolo afghano accetterà fino in fondo l’idea di democrazia che gli è stata insegnata in fretta e sulla punta delle baionette, producendo anche un’elezione fraudolenta. (Non poteva essere altrimenti con le schede elettorali trasportate a dorso di mulo e i capi-villaggio che davano precise indicazioni su chi andare a votare.) Ma se gli afgani dovessero rinunciare a questa democrazia ancora imperfetta l’alternativa sarebbe il ritorno all’Emirato talebano.
Resta una terza ipotesi per l’America e i suoi alleati. Un approccio su scala locale e provinciale, attento ai sistemi tradizionali del potere afgano, che enfatizzi il ruolo dei malek e degli elder, dei leader anziani e dei capi-villaggio, coinvolgendoli in una partita più ampia a cui partecipino i militari della Coalizione, l’esercito e la polizia afghani, le Ong e i contractors. Dovrebbe essere un processo limpido che individui figure il cui profilo si sottragga al crimine e alla corruzione. Per creare forme di governo locale funzionanti la soluzione è una sola, aumentare la presenza militare. Obama però non ha ancora deciso se invierà i rinforzi chiesti dal generale McChrystal. “Lo farò dopo il ballottaggio,” ha detto ieri.