Il processo breve arriva al Senato e per i giudici parte la corsa contro il tempo
11 Novembre 2009
di Dolasilla
Il corrotto è stato trovato: l’avvocato inglese David Mills. Si tratta adesso di ricongiungerlo, prima che arrivi la legge sul processo breve, al suo corruttore individuato nel presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. E’ scattata ufficialmente ieri, al termine di un colloquio durato due ore tra Berlusconi e il presidente della Camera Gianfranco Fini, la corsa contro il tempo fra i magistrati milanesi e la maggioranza di governo. I primi devono arrivare alla scrittura e alla pronuncia della sentenza prima della prumulgazione della legge. La politica deve invece riempire di contenuti e di dettagli tecnici la cornice politica disegnata d’intesa tra il fondatore e il co-fondatore del PdL.
Il provvedimento sarà presentato al Senato oggi e conterrà una norma, ha spiegato il presidente dei senatori del PdL Maurizio Gasparri, che varrà anche anche per i processi in corso con tutta una serie di esclusioni, fra cui atti di terrorismo e reati di mafia. Ma non tutti potranno beneficiare di un’abbreviazione dei tempi. Una categoria ammessa è quella degli incensurati (e Berlusconi lo è).
E a proposito della presentazione, Gasparri precisa che con ogni probabilita’ "il ddl sarà presentato come iniziativa della maggioranza e io come capogruppo ovviamente lo firmerò". Naturalmente si farà prima una riunione con la Lega con la quale, peraltro, esiste già un’intesa politica.
Le modalità tecniche sono state definite in linea di massima: la durata dei processi è fissata in sei anni (due per ciascun grado); l’intesa prevederebbe il taglio di un quarto dei termini di prescrizione per i procedimenti pendenti relativi a reati di non grave entità commessi prima del 2 maggio 2006 (data in cui è entrato in vigore l’indulto). Anche questo tipo di prescrizione entrerebbe in funzione solo per gli incensurati e per reati che non riguardano atti di terrorismo e associazione mafiosa.
L’opposizione però ha già storto il naso. Nell’accordo vede una norma ad personam travestita da riforma della giustizia. Il punto sostanziale, da cui non sfuggono né opposizione né maggioranza, è un altro: qualunque norma intervenga sui processi in corso sarebbe infatti ad personam. Sia che arrivi prima della sentenza del Tribunale di Milano, di fatto bloccandola. Sia che arrivi dopo, di fatto agevolando la condanna del premier. Il cul de sac in cui si è infilata il quadro politico è esattamente questo.
Come può continuare l’opposizione a spiegare che contrasta le norme presentate in Parlamento perché non riguardano la totalità dei cittadini? Ammesso che esse riguardassero soltanto Berlusconi, come sostiene il Pd, approvarle o bocciarle vorrebbe dire, appunto, scegliere se continuare nella guerra al premier oppure cambiare il piano della contesa e trasferirla, una volta siglata la pax giudiziaria, sul terreno dell’azione di governo.
Tutti hanno preso atto che la minaccia della Ue di aprire una procedura di infrazione contro l’Italia per l’eccessiva durata dei processi, stimata in circa 7 anni contro i 4 previsti per il "giusto processo", è la spada di Damocle che pende sul Parlamento. Ne è consapevole anche l’opposizione, prigioniera dell’incubo berlusconiano costruito negli anni dal dipietrismo e dalle "sure" giustizialiste fiorite in Italia.
Per Bersani è una prova del fuoco. Deve riuscire in poche settimane a convincere il suo partito su un punto fondamentale: la giustizia italiana ha toccato nel tempo uno dei più alti livelli di inciviltà giudiziaria ed è soltanto una fabbrica di ingustizia. Va riformata, e Berlusconi non può essere l’ostacolo che blocca il Pd sulla spiaggia del dipietrismo. Se non si libera da questa logica, Bersani rischia di finire come tutti i suoi predecessori.