Il progetto di legge firmato da Cazzola e Della Vedova
16 Luglio 2008
di redazione
Onorevoli colleghi ! L’unificazione del mercato del lavoro e il superamento dei tanti divari che lo caratterizzano, dipendono sicuramente da tanti fattori, tra i quali la differente disciplina della risoluzione del rapporto di lavoro. Sappiamo bene, a questo proposito, che il mercato del lavoro italiano vive una situazione di notevoli difficoltà. La nostra struttura economica e la nostra organizzazione produttiva e del lavoro si sono evolute con velocità via via crescente. Ma a questa accelerazione non sempre si è accompagnata anche una modernizzazione delle regole dei rapporti di lavoro e delle relazioni industriali.
Una delle priorità nella agenda della modernizzazione è certamente quella della flessibilità in uscita. Il nostro sistema è più rigido e antiquato di quello esistente in molti dei nostri partners europei. Oltre a ciò è chiaro che se abbiamo un alto tasso di rigidità in uscita rispetto alla disciplina del lavoro subordinato standard, a tempo indeterminato e iperprotetto i nostri datori di lavoro ricorreranno sempre di più al lavoro flessibile (ai contratti a termine, al lavoro interinale, alle collaborazioni coordinate e continuative, ecc., quando non al lavoro “nero”).
Si pone pertanto l’esigenza di affrontare nuovamente quanto previsto dall’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori del 1970. L’obbligo della reintegrazione dovrebbe restare solo in caso di licenziamento discriminatorio e quindi viziato da nullità radicale: non essendosi mai risolto il contratto, dovrebbe potersi dedurre il suo pieno ristabilimento. Per il resto dovrebbe potersi muovere come se avesse di fronte sempre una stabilità “obbligatoria” con la possibilità di condannare il datore di lavoro al pagamento di una indennità risarcitoria che ristori adeguatamente il lavoratore dal danno subito.
Ciò non significa affatto libertà di licenziare. Questa libertà sarebbe comunque impedita dalla stessa Carta Sociale Europea che vuole che i licenziamenti siano giustificati, e quindi sindacabili (articolo 24). Non sono questi i termini della questione.
La regola fondamentale resta quella per cui gli atti estintivi del rapporto di lavoro devono essere giustificati e motivati dal datore di lavoro, nonché sottoposti eventualmente al vaglio dell’autorità giudiziaria. Il giusto punto di equilibrio è una riforma legislativa che sostituisca la reintegra nel posto di lavoro (oggi quasi sempre automatica nei casi di licenziamento) con il pagamento di un indennizzo. Due proposte sarebbero davvero utili in proposito: rendere la reintegrazione non obbligatoria e allungare il periodo di prova, almeno fino a un anno. La flessibilità in entrata serve spesso ad aggirare il periodo massimo di prova (sei mesi): questo non lo dice nessuno ma sindacati e imprenditori sanno bene che è la verità.
Il miglior punto di osservazione resta l’Europa. Il prezzo più alto pagato dal nostro sistema è certamente quello dello svantaggio competitivo che sopportiamo rispetto alle imprese di altri paesi Europei. Il nostro ordinamento del lavoro non è in linea con quello degli altri Paesi in Europa. Dovremmo guardare con più attenzione alle soluzioni che già operano in altri Paesi, perché specie in fase di elaborazione progettuale possono essere molto utili. Molti ordinamenti europei non hanno l’istituto della reintegrazione sul posto di lavoro del nostro articolo 18 dello Statuto. Il Belgio ad esempio ha un sistema in cui in caso di licenziamento illegittimo il lavoratore può pretendere esclusivamente il risarcimento del danno subito. Così accade anche in Danimarca, dove per esempio il risarcimento non è certo di minima entità e può arrivare anche ad un anno di retribuzione e in Finlandia dove il lavoratore può pretendere in caso di licenziamento illegittimo oltre al risarcimento del danno anche una serie di interventi formativi a carico del datore di lavoro che gli consentano di conservare o gli permettano di migliorare il livello di professionalità acquisita.
Ma anche negli ordinamenti del lavoro più vicini al nostro, come in Francia e in Germania, non esistono normative comparabili con l’articolo 18 dello Statuto. In Francia ad esempio la pronuncia di illegittimità del licenziamento può comportare un ordine di reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro. Tuttavia il datore di lavoro non è tenuto a dar corso all’ordine di reintegrazione del conseil des prud’hommes, potendo liberarsi corrispondendo una indennità sostitutiva fino ad un massimo di 39 settimane di retribuzione. Similmente accade nel Regno Unito dove il datore di lavoro può sempre liberarsi versando una indennità risarcitoria. Mentre in Germania il datore può rifiutare la reintegrazione del posto di lavoro se dimostra l’impossibilità di mantenere in organico il lavoratore. Pensiamo poi all’ordinamento spagnolo, che si presenta di particolare interesse a riguardo. Il sistema spagnolo consente oggi la quantificazione anticipata del costo del licenziamento illegittimo come strumento per incentivare i rapporti di lavoro a tempo indeterminato. Il prestatore ha diritto di richiedere la reintegrazione nel posto di lavoro, ma il datore può opporre un rifiuto motivato corrispondendogli una indennità pari a 45 giornate lavorative per ogni anno di anzianità (fino alla concorrenza di 42 mensilità) più gli arretrati (questo ammontare è stato ridotto in tempi più recenti). Ma la tabella consente di valutare il contesto europeo con un sol colpo d’occhio
La tutela del licenziamento ingiustificato nell’Unione Europea
Paese
|
Periodo di prova (durata max per impiegati) |
Reintegrazione (obbligatoria per il datore) |
Risarcimento del danno alternativo alla reintegra (non per i licenziamenti discriminatori) |
Preavviso per la generalità dei dipendenti |
Austria |
1 mese |
Sì |
14 gg – 6 mesi |
|
Belgio |
6 mesi x RAL >33.677 euro; 12 mesi x RAL < 33.677 euro |
No |
6 mesi |
Operai 28-112 gg, impiegati 3 mesi ogni 5 anni |
Bulgaria |
Sì su richiesta del lavoratore |
30 gg – 3 mesi |
||
Cipro |
2 anni |
no |
24 mesi |
1- 8 settimane |
Danimarca |
no |
1- 6 mesi |
1 – 6 mesi |
|
Estonia |
4 mesi |
Sì su richiesta del lavoratore |
6 mesi |
2 settimane – 4 mesi |
Finlandia |
4 mesi |
No |
3 – 24 mesi |
14 gg – 6 mesi |
Francia |
No |
6 mesi + 1/10 o 2/10 della retribuzione mensile per ogni anno + 1/15 o 2/15 oltre il 10°anno (indennità di licenziamento) |
1 – 2 mesi |
|
Germania |
6 mesi |
Sì ma il giudice su richiesta delle parti può in alcuni casi non disporla |
2 settimane – 7 mesi |
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Grecia |
No |
30 gg – 24 mesi |
||
Irlanda |
No |
2 anni |
1 – 8 mesi |
|
Italia |
6 mesi |
Sì |
15 mesi alternativi alla reintegrazione a scelta del solo dipendente |
15 gg – 6 mesi |
Lettonia |
3 mesi |
Sì |
10 gg – 1 mese |
|
Lituania |
3 – 6 mesi |
Sì ma il giudice può condannare al solo risarcimento |
2 mesi |
|
Lussemburgo |
No |
5 – 25 mesi. danno patrimoniale 500 – 12.500 euro |
2-6 mesi. Oltre i 5 anni di anzianità il preavviso può essere prolungato sino a 18 anni (in alternativa all’indennità di licenziamento) |
|
Malta |
6 mesi |
Sì solo su richiesta del lavoratore |
34.940 ma non vi è un limite di legge |
1 – 12 settimane |
Olanda |
2 mesi |
Sì su richiesta del lavoratore ma raramente disposta |
Formula Cantonal Court: Anzianità adattata in base all’età x retribuzione mensile lorda x fattore di correzione in base al caso concreto |
1 – 4 mesi |
Polonia |
3 mesi |
Sì ma il giudice può condannare al solo risarcimento |
3 mesi |
2 settimane – 3 mesi |
Portogallo |
240 gg |
Sì |
15 – 45 gg di retribuzione per ciascun anno di servizio (minimo 3 mesi) |
|
Regno Unito |
Sì ma il datore può rifiutare la reintegra pagando un compenso aggiuntivo |
Indennità per le ipotesi di esubero e un’indennità risarcitoria pari nel max. a circa 90mila euro |
1 – 12 settimane |
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Repubblica Ceca |
3 mesi |
Sì su richiesta del lavoratore |
2 mesi |
|
Repubblica Slovacca |
3 mesi |
Sì ma il giudice può ritenerla non opportuna |
2 – 3 mesi |
|
Romania |
30 gg |
Sì su richiesta del lavoratore |
30 gg |
|
Slovenia |
3 mesi |
Sì ma il giudice può ritenerla non opportuna |
30 – 120/150 gg |
|
Spagna |
2 – 6 mesi |
No |
1 – 45 gg per ciascun anno di anzianità. Max 42 mesi |
15 – 30 gg |
Svezia |
6 mesi |
No ma sospensione del licenziamento |
16 – 32 mesi o 24 – 48 mesi se il lavoratore ha 60 anni o più. In aggiunta danno non patrimoniale di importo variabile (da 5.400 a 10.800 euro) |
1 – 6 mesi |
Ungheria |
3 mesi |
Sì ma il giudice può ritenerla non opportuna e condannare al solo risarcimento del danno |
2 – 12 mesi |
30 gg – 1 anno |
Note: lavoratori non dirigenti, licenziamento non discriminatorio o di lavoratore non rientrante in una categoria protetta.
Periodo senza protezione di legge. I Paesi che prevedono un’anzianità di servizio per il diritto all’indennità in caso di licenziamento sono: Danimarca (1 anno), Francia (2 anni), Germania (6 mesi), Grecia (2 mesi), Irlanda (1 anno), Regno Unito (1 anno).
Limite di n. dipendenti per la protezione. In alcuni Paesi hanno diritto all’indennità i dipendenti di aziende con un numero stabilito di lavoratori: 5 in Austria, 11 in Francia, da 5 a 10 in Germania, 15 in Italia, 5 in Portogallo.
Fonte: Iuslaboris-Il Sole 24 Ore
Il progetto di legge si compone di un solo articolo che modifica il comma 5 dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori (legge n. 300 del 1970), estendendo anche al datore di lavoro soccombente in giudizio la facoltà di corrispondere un’indennità risarcitoria pari a quindici mensilità di retribuzione globale anziché dare corso alla reintegrazione nel posto di lavoro. E’ fatta comunque salva la nullità dei licenziamenti discriminatori.
Art.1
Aggiungere al comma 5 dell’articolo 18 della legge n.300 del 1970 e successive modificazioni dopo le parole <retribuzione globale di fatto.> il seguente periodo:
Ferma restando la nullità dei licenziamenti discriminatori ai sensi di quanto stabilito dall’articolo 4 della legge 15 luglio 1966 n. 604, richiamato dall’articolo 3 della legge n.108 del 1990, è riconosciuta anche al datore di lavoro, soccombente in giudizio, la facoltà di corrispondere al prestatore di lavoro una indennità pari a quindici mensilità di retribuzione globale di fatto in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro.