Il Quirinale e i palestinesi
20 Maggio 2011
L’Istituto Affari Internazionali ha notato il fenomeno per tempo, scrivendo sul suo sito web un articolo molto documentato dal titolo: “La stella del Quirinale sulla politica estera”. L’attivismo di Giorgio Napolitano sulla scena internazionale era già stato notato da molti ma gli ultimi ravvicinati episodi ne hanno fatto un “caso”.
I fan del Presidente della Repubblica, e sono vasta schiera, interpretano l’azione di Napolitano in politica estera come il provvidenziale soccorso alle lacune del Governo e della Farnesina e ne applaudono in ogni caso autorevolezza e tempestività. Ma c’è anche chi non può fare a meno di notare, che al di là del merito degli interventi presidenziali, si tratti comunque di uno sconfinamento dalle prerogative del Quirinale che non comprendono gli indirizzi di politica estera.
E’ invece evidente che per Napolitano coltiva anche al Colle una sua vecchia passione, eredità della sua militanza nel Pci dove a lungo ha ricoperto un ruolo da ministro degli Esteri ombra. Specie negli anni settanta Napolitano era un ottimo prodotto d’esportazione per il Partito Comunista Italiano che lo inviava tenere conferenze nelle più prestigiose Università del mondo, oltre ad essere il dirigente comunista con le migliori entrature nella politica americana.
Così oggi il presidente della Repubblica è particolarmente apprezzato dal presidente Usa, Barack Obama, tanto che l’agenda della sua visita a Washington nel maggio 2010 venne giudicata da molti più adeguata ad un capo di governo che a una figura di garanzia. Ma anche in Europa la sua opinione viene tenuta in gran conto in molte cancellerie. L’intervento italiano in Libia probabilmente avrebbe avuto caratteristiche diverse e più prudenti se non fosse stato per la convinzione con cui Napolitano ne parlò prima in Germania, durante un incontro con Angela Merkel, poi in patria a sostegno del passaggio alla piena operatività offensiva dell’aviazione italiana.
E’ forse questo entusiasmo e questa passione che hanno indotto il Presidente della Repubblica alla scelta quanto meno intempestiva di annunciare la decisione di promuovere la rappresentanza palestinese in Italia al rango di ambasciata durante la sua visita a Betlemme lo scorso 16 maggio. Certo la notizia ha fatto effetto e il presidente palestinese Abu Mazen non ha mancato di definirla tra gli applausi “un altro regalo che ci fa l’Italia”.
L’annuncio è parso fuori tempo e fuori luogo non solo perché arriva all’indomani della ritrovata unità tra Fatah e Hamas – quest’ultima tutt’ora presente nelle blacklist europee e americane delle organizzazioni terroristiche – e non certo all’insegna delle posizioni più democratiche: Hamas ha appena condannato l’uccisione di Osama bin Laden definendolo un “martire” e un “santo guerriero”. Ma la cosa che più ha colpito nella decisione di Napolitano di sollevare la questione durante il suo viaggio è il fatto che appena il giorno prima si era celebrata la “Nakba”, l’anniversario della nascita di Israele che i palestinesi celebrano come il “giorno della Catastrofe”. Il riconoscimento del Presidente della Repubblica è avvenuto dunque mentre ancora si contavano le vittime degli sconfinamenti illegali nel territorio israeliano, orchestrati dalla Siria e dall’Iran e messi in atto da Hezbollah e Hamas. Un’operazione che ha indotto molti a parlare del potenziale inizio di una terza intifada.
Non solo, la decisione del governo italiano, solennemente anticipata dal Presidente della Repubblica a Betlemme, si inserisce nel delicatissimo processo con cui l’Autorità Palestinese intende chiedere il riconoscimento della propria realtà statuale all’Assemblea Generale dell’Onu il prossimo settembre. Un’ipotesi che Israele paventa come una fuga in avanti della comunità internazionale in mancanza di visibili risultati nel processo di pace e che lo stesso Obama è molto tentato di ostacolare.
A tutti piace portare regali e ricevere applausi, ma in certi casi le conseguenze possono non essere quelle sperate.
(Tratto da Il Tempo)