Il Rapporto Caritas sulle povertà 2010 racconta una realtà che non decolla

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Il Rapporto Caritas sulle povertà 2010 racconta una realtà che non decolla

24 Marzo 2011

I dati del rapporto povertà 2010, lo studio annuale a cura di Caritas italiana‐ Fondazione Zancan, delineano un quadro tutt’altro che confortante. "Quanto manca della notte" è l’incipit che Monsignor Gianfranco De Luca ha evocato, nel corso della presentazione del rapporto, per cercare di spiegare una difficoltà latente, ma in aumento nel territorio della Diocesi di Termoli‐Larino, anch’esso colpito da un incremento del livello di povertà. "La pubblicazione del Dossier diocesano – ha spiegato don Ulisse Marinucci, direttore della Caritas di Termoli‐Larino – mostra una realtà critica. Alla Caritas si rivolgono sempre più nuclei familiari affaticati da problemi economici che scivolano progressivamente verso la cronicizzazione e, quindi, verso una potenziale irrisolvibilità. Agli interventi volti a garantire un minimo di stabilità familiare deve essere data precedenza assoluta".

I numeri dicono che le famiglie povere sono tali perché non hanno la forza di costruire dighe di protezione e di stabilire priorità affinché i figli camminino sulle loro gambe. L’istruzione, l’acquisizione di un mestiere, l’educazione al risparmio o semplicemente l’autonomia della dignità, che prescinde dalle apparenze, non è più un valore nel mercato globale. Don Ulisse Marinucci spiega poi, senza tentennamenti, che le nuove povertà travolgono le piccole imprese, il nucleo produttivo di una economia a cui si nega il ruolo storico di stabilizzatore sociale. Non essere nel mercato globale significa non essere nulla.

Per di più la crisi economica in Italia, in realtà, è stata contrastata da una formula sociale spesso sottovalutata: la famiglia. Si tratta di quella forma di microsocietà che ha consentito agli italiani, soprattutto nei piccoli territori, di tenersi aggrappati ad una zattera salvifica. E’ solo una delle possibilità, la più accessibile e la più ovvia. Perché dai dati si legge, molto tra le righe, che le nuove povertà trovano terreno paludoso dove il benessere degli oggetti e delle esigenze materiali non ha contribuito a produrre forza intellettuale e morale. Molti bisogni, molte certezze che non hanno allevato le nuove generazioni all’autonomia creativa, allo scatto solitario di chi parte da zero e va avanti sulle proprie gambe. Questo non deve suggerire la retorica rassicurazione dell’italiano che sa arrangiarsi. Piuttosto, pone il problema vero: il valore della qualità professionale che rimette ordine nel mercato del lavoro. Svilire le competenze in un meccanismo generale di improvvisazione crea quel cortocircuito disastroso: se rallenta l’economia, tutti sono indifesi e periscono perché fatalmente al traino di una nave che sembrava andare da sé.

Il campione analizzato nel territorio tra Termoli e Larino è di sole 306 persone, ma è sintomatico di ciò che accade nel basso Molise. Innanzitutto perché i due centri sono fortemente rappresentativi: Termoli è la porta aperta sul mare e la città delle aziende e del commercio, Larino e la sua cintura di piccoli paesi verso l’interno sono, d’altra parte, il Molise delle strade un po’ sconnesse e delle aziende agricole monofamiliari. E’ l’area del noto cratere sismico da cui i giovani fuggono, ma che ha la più alta percentuale di laureati e di studenti.

I dati confermano il trend dello scorso anno e attestano che sono aumentate le famiglie italiane in difficoltà rispetto a quelle immigrate. Una ipotesi per spiegare questo fenomeno: gli immigrati sono giovani, fanno mestieri come quello delle badanti, dei muratori o dei braccianti e ,forse, nei piccoli territori hanno qualche possibilità in più di integrazione morbida, di stabilizzazione lavorativa che li metta al sicuro dall’emarginazione.

Aumenta però, per tutti, la percentuale di poveri fra 50 e i 60 anni. Il precariato comincia ora a mostrare preoccupanti effetti in quella fascia d’età. Pur nell’emergenza, il cordone protettivo dei contributi versati ha permesso alle famiglie di contare anche sul piccolo, ma essenziale contributo economico dei nonni. Le future generazioni non avranno questa certezza ed è molto improbabile, se non si metteranno in campo politiche di sviluppo adeguate, che in questo territorio si possano creare fonti di sostegno alternativo. Del resto, la povertà, la malattia fisica e il disagio mentale, che sia temporaneo, patologico o indotto, espone a drammatiche difficoltà gli individui e pesa esageratamente sulle strutture sanitarie pubbliche e sui servizi sociali in genere. Un circolo vizioso che rischia di alimentare e incrementare una situazione di regresso anziché di progresso.