Il rapporto di Petraeus mette a nudo l’imperialismo iraniano

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Il rapporto di Petraeus mette a nudo l’imperialismo iraniano

25 Settembre 2007

di Barry Rubin

Il rapporto del generale David H. Petraeus sulla guerra in Iraq era atteso da tutti a Washington. Le aspettative si sono fatte via via sempre più importanti, come se Petraeus dovesse liberare messianicamente l’America da un problema in apparenza irrisolvibile. Adesso Petraeus ha finalmente parlato e ha fatto un buon lavoro. Nella sua analisi e nel suo piano ci sono alcuni paradossi, ma vista la natura della questione era inevitabile che ci fossero.

Per i democratici, desiderosi di ritirare i soldati americani dall’Iraq, Petraeus è diventato una specie di tormento. Allo scopo di dimostrare il loro patriottismo e il loro sostegno alle truppe, inizialmente lo hanno elogiato. Ora, però, non condividendo alcune delle cose da lui dette, stanno dando prova di grande vigliaccheria nel trovare pretesti per criticarlo.

Petraeus ha affrontato tre temi chiave.

Primo, ha detto che il “surge” sta funzionando. I terroristi sunniti sono stati costretti alla ritirata. In considerazione di come sta cambiando il corso degli eventi, alcuni leader delle tribù sunnite e persino ex rivoltosi hanno cambiato sponda. Nella battaglia contro le milizie sciite radicali, sono stati catturati i leader di maggior spicco. “Gli obbiettivi militari del surge sono stati in gran parte raggiunti”, conclude.

Secondo, grazie ai progressi fatti, a metà 2008 sarà possibile avviare il ritiro di una parte del contingente americano.

Terzo, gli Stati Uniti in Iraq stanno combattendo una guerra contro l’Iran. Il Corpo delle Guardie della Repubblica Iraniana ha addestrato, armato, finanziato e persino guidato gli estremisti sciiti che “hanno assassinato e rapito i leader del governo iracheno, ucciso e ferito i nostri soldati con ordigni esplosivi a tecnologia avanzata forniti dall’Iran, e bombardato i civili in maniera indiscriminata… E’ sempre più evidente… che l’Iran… stia cercando di trasformare le forze radicali sciite irachene in una forza simile ad Hezbollah allo scopo di realizzare i propri interessi e di combattere una guerra per procura contro lo stato iracheno e le forze di coalizione in Iraq”.

Petraeus è riuscito da solo a cambiare la direzione del confronto sull’Iraq negli Stati Uniti? E’ difficile da credere, ma quel che è certo è che sta avendo un effetto dirompente. Il suo giudizio equilibrato rafforza, allo stesso tempo, la convinzione nelle possibilità di successo, la speranza che la fine della missione è vicina e i presupposti alla base della guerra per cui è necessario combattere un nemico pericoloso che deve essere fermato.

Tutto ciò è davvero impressionante, e anche se alcuni punti di questa analisi possono essere contestati e Petraeus avesse in qualche modo torto, quello che ne viene fuori, in circostanze così difficili, è comunque il miglior piano d’azione possibile. Ovviamente, impegnando più un numero maggiore di soldati e continuando l’offensiva, l’esercito statunitense ha ottenuto più successi. Tuttavia, per lo stesso motivo, ci si può aspettare una vittoria relativa solo nel caso in cui prosegua tale impegno ad alto livello.

Contemporaneamente, gli insorti potranno trovare nuove soluzioni per contrastare i successi americani, cercheranno di sabotare qualsivoglia forma di stabilità e di sopravvivere alla resistenza degli Stati Uniti. Quanti hanno lasciato le file dei ribelli non torneranno indietro finchè continueranno a trarre vantaggio dalla loro scelta. La società irachena non è cambiata e la battaglia tra sunniti e sciiti per il potere non ha ancora una soluzione. Va inoltre considerato che il conflitto per il momento è a bassa intensità per il fatto che la maggior parte delle forze sciite sta risparmiando munizioni e truppe per una futura guerra civile.

Le conclusioni di Petraeus hanno pertanto qualcosa d’ingenuo e illusorio. Nondimeno, ed è cosa molto più importante, il generale ha aperto una finestra di opportunità che offre agli Stati Uniti una giusitificazione per il ritiro nel contesto di una vittoria e non di una sconfitta. Quindi Petraeus ha ridotto la distanza tra coloro che vogliono continuare a combattere indefinitamente e coloro che vogliono invece il ritiro immediato.

La guerra in Iraq può essere salvata in termini politici solo se l’opinione pubblica americana crede che gli Stati Uniti abbiano fatto il proprio dovere, mantenuto le promesse e indebolito gli insorti al punto da poter affidare la direzione della guerra al governo iracheno e ritirare la maggior parte del proprio esercito in un periodo ragionevole di tempo. Con un po’ di fortuna e un’esecuzione efficace sul campo, gli Stati Uniti possono ancora uscire fuori dal caos iracheno in buone condizioni.

Tuttavia, c’è ancora il terzo elemento dell’analisi di Petraeus. Il generale ha chiaramente e onestamente detto alla popolazione americana e al mondo che la guerra è stata così lunga, sanguinosa e terribile perché l’Iran e la Siria hanno cercato di fare dell%E2